L'attesa del ritorno

L’attesa nella certezza del ritorno: la fede

 

Sembrerà ovvio, ma la prima cosa che è richiesta al credente nell’attesa, è la fede nella promessa del ritorno del Signore.

Senza questa fede non esiste attesa, perché non vi è nulla da attendere.

La fede nel ritorno del Signore deriva dalla fede incondizionata nella veridicità della Scrittura come parola di Dio.

Posto questo punto fermo: “la Bibbia è verità”, non possiamo che constatare che il ritorno di Cristo è un avvenimento dato per certo, descritto da Gesù stesso prima dell’ascensione, dagli angeli e dagli apostoli poi (Matteo 24:30-31; Giovanni 14:2-3; Atti 1:11; 1 Tessalonicesi 4:15-17; Giacomo 5:8 …).

Il fatto che il Signore ritardi il giorno del suo ritorno non deve far vacillare la nostra fede (2 Pietro 3:9).

Se il ritardo rende meno vigile l’attesa potrebbe capitare a noi ciò che è capitato al servo della parabola (Luca 12:45-46).

 

L’attesa nell’ubbidienza e nella santificazione

 

Nel momento in cui vi è la certezza che il Signore ritornerà, è necessario che il credente non si faccia cogliere impreparato.

Pietro nella sua seconda epistola dice: “Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati immacolati e irreprensibili nella pace” (2 Pietro 3:14).

Nella prima epistola di Pietro troviamo: “Come figli ubbidienti non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza…” (1 Pietro 1:14).

Non siamo più nell’ignoranza, ora abbiamo piena consapevolezza di quale sia la volontà di Dio per noi; cosi come un figlio con il proprio padre, sappiamo quali sono le cose che lui non vuole che facciamo e quelle che invece gli sono gradite.

Questo salto di qualità, dall’ignoranza alla conoscenza, provoca un altro salto di qualità che Paolo descrive con l’atto di spogliarsi del vecchio uomo e di rivestire l’uomo nuovo (Efesini 4:20:24).

Che cosa comporta praticamente tutto ciò Paolo lo spiega nei capitoli successivi.

Parallelamente e quasi sovrapposta alla via dell’ubbidienza, vi è la via della santificazione.

Il versetto precedentemente letto in 1 Pietro, infatti continua dicendo: “… ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta”.

La Bibbia considera la santificazione una cosa indispensabile, della quale non si può assolutamente fare a meno: “Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore” (Ebrei 12:14).

 

 

L’attesa nella preghiera

 

Noi viviamo in un periodo in cui Cristo non è più sulla terra, nonostante, in qualche modo, sia sempre vicino a noi (Matteo 28:20) soprattutto quando ci riuniamo nel suo nome (Matteo 18:20).

Sappiamo, però, che ritornerà, e, per guidarci nell’attesa, abbiamo lo Spirito Santo.

Questo Spirito Santo, come spirito di adozione, ci spinge a rivolgerci a Dio come a un padre (Romani 8:15), ci aiuta nella preghiera (Efesini 6:18; Giuda v. 20) e sopperisce alla nostra incapacità di pregare come si conviene (Romani 8:26).

Pregare vuol dire colloquiare, comunicare con Dio. E’ come se ogni credente avesse una linea telefonica privata perennemente collegata con l’Onnipotente. Quasi sempre usiamo solo in minima parte tutte le possibilità e tutte le benedizioni che ci potrebbero venire da questo privilegio.

Gesù propone anche delle parabole ai discepoli “per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi” (Luca 18:1).

Paolo più volte esorta a perseverare nella preghiera (Colossesi 4:2; Romani 12:12; 1 Tessalonicesi 5:17).

 

 

Il credente e il mondo

 

L’attesa nella predicazione

 

Il credente è chiamato a vivere l’attesa del ritorno del Signore impegnandosi nell’evangelizzazione.

Le persone che non si sono convertite non hanno altra prospettiva che la condanna eterna, ma la fede spalancherebbe loro la via della salvezza.

Il credente ha il dovere di metterne in guardia il più possibile, di essere disponibile a diventare uno strumento di Dio per guadagnarli all’Evangelo; in altre parole è chiamato a predicare la grazia.

Gesù auspica che ci sia molta gente disponibile a lavorare nell’opera evangelistica: “Ben è la messe grande, ma pochi sono gli operai…” (Matteo 9:37-38).

Il credente non può sottrarsi al dovere dell’evangelizzazione. Ognuno di noi dovrebbe far sue le parole di Paolo: “Perché se evangelizzo non debbo vantarmi, poiché necessità me n’è imposta; e guai a me, se non evangelizzo!” (1 Corinzi 9:16).

Nella scrittura si parla di annunzio, di evangelizzazione (annunzio di buone notizie), di predicazione, di proclamazione.

In ogni caso chi predica è visto come l’araldo, il banditore che grida forte, a tutti, la notizia che gli è stato detto di annunziare.

Alcuni pensano, forse non a torto, che i credenti possano collaborare ad affrettare il ritorno del Signore (2 Pietro 3:12) adoperandosi a predicare il vangelo fra tutte le genti (Marco 13:10).

 

 

L’attesa e la parola profetica

 

Contemporaneamente all’annunzio della salvezza, la chiesa e i singoli credenti sono chiamati ad esortare al ravvedimento senza il quale non può esserci il perdono (Atti 2:38; 3:19).

Non si può chiamare al ravvedimento senza spiegare da che cosa bisogna ravvedersi, quindi senza una inequivocabile condanna del peccato.

Nell’Antico Testamento questo compito veniva svolto dai profeti, fino a Giovanni il battista e a Gesù stesso.

Il messaggio profetico consisteva spesso nel chiamare Israele a confronto con Dio e, davanti ai suoi sviamenti e alle sue infedeltà, nell’annunzio del giudizio e l’invito al ravvedimento.

La parola profetica va portata avanti dalla chiesa in mezzo alla società in cui vive con determinazione e coraggio.

Talvolta l’affermazione che il credente non deve fare politica e deve essere separato dalle cose del mondo diventa un ottimo alibi per evitare di prendere posizione contro il peccato che ci circonda.

Ma se il peccato non viene smascherato, additato e condannato diventa difficile predicare un ravvedimento non si sa bene da che cosa.

 

 

L’attesa e la buona testimonianza

 

Infine, oltre che con l’evangelizzazione e con il messaggio profetico, il credente è chiamato a dare testimonianza con la propria vita.

In mezzo al mondo dobbiamo, come si dice comunemente, dare buona testimonianza, perché sono le nostre opere, prima ancora che la nostra predicazione, a testimoniare presso le persone che ci circondano (Colossesi 4:5; 1 Timoteo 3:2,7; Filippesi 2:14-15).

La nostra vita dovrebbe essere coerente, amorevole, umile, irreprensibile, una luce che brilla nel mondo.

 

 

Il credente e la chiesa

 

L’attesa nella comunione e nell’amore fraterno

 

Dio, nella sua bontà, non ha lasciato i credenti da soli, ma li ha posti in una chiesa locale dove possono essere ammaestrati, consolati ed edificati.

La chiesa locale è la famiglia del credente sulla terra ed il credente deve sforzarsi di vivere in essa come vivrebbe nella propria famiglia.

La comunione tra i credenti deriva dal fatto che essi hanno in comune delle cose: sono partecipi della medesima grazia (Filippesi 1:7), del medesimo Evangelo ( 1 Corinzi 9:23), della medesima promessa(Efesini 3:6), della medesima gloria (1 Pietro 5:1).

Ancora di più, sono insieme partecipi della comunione con Cristo e con il Padre (1 Giovanni 1:3).

Avendo in comune le cose fondamentali della nostra esistenza ed essendo figli dello stesso Padre, la nostra comunione diventa una comunione fraterna.

I credenti devono attendere il ritorno del Signore vivendo nella chiesa in pace (1 Tessalonicesi 5:13), cercando di mantenere il vincolo della pace.

“Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace” (Efesini 4:1-3).

La pace è uno dei frutti dello Spirito, così come lo è l’amore (Galati 5:22).

L’invito all’amore fraterno è uno dei più pressanti del Nuovo Testamento: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri” (1 Pietro 4:8).

Solo così potremo essere riconosciuti discepoli di Cristo (Giovanni 13:35), perché se non amiamo i nostri fratelli non possiamo neppure affermare di amare Dio (1 Giovanni 4:7-21).

Questo concetto dell’amore fraterno non ha bisogno di molte spiegazioni, perché è di facilissima comprensione anche se, purtroppo, di meno facile applicazione.

 

 

L’attesa e il lavoro nella chiesa

 

Nella chiesa lo Spirito Santo distribuisce dei doni, delle capacità, ad ogni credente, perché vengano usati per il bene e per l’utile comune (1 Corinzi 12:7 e segg.).

I doni vanno ricercati (1 Corinzi 14:1) e non vanno trascurati (1 Timoteo 4:14).

Attendendo il ritorno del Signore il credente è chiamato ad usare i doni che Dio gli dà (Matteo 25: 14-30) svolgendo con diligenza il compito che Lui gli ha affidato (Matteo 24:45-51).

 

 

 

E’ necessario vegliare

 

Gesù per primo esorta i suoi a vegliare nell’attesa del suo ritorno (Matteo 24:42, 44; 25:13; Luca 12:35).

Paolo incoraggia a vegliare stando fermi nella fede (1 Corinzi 16:13), pregando (Efesini 6:18), stando sobri (1 Tessalonicesi 5:6).

In Apocalisse c’è un monito per chi non veglia (3:3) e una promessa per colui che invece veglia (16:15).

Cosa si intende esattamente con il termine vegliare?

Penso che si possa riassumere con le cose che abbiamo appena detto: vivere l’attesa del ritorno di Cristo vegliando vuol dire mantenere salda la fede, fare la volontà di Dio, santificarsi, perseverare nella preghiera, evangelizzare, proclamare la volontà di Dio, dare buona testimonianza, vivere nella chiesa in comunione fraterna e nell’amore, lavorando per l’utile comune.

 

 

Infine, l’attesa del ritorno del Signore non può essere l’attesa rassegnata e passiva di chi attende l’ineluttabile, ma deve essere vissuta nell’ardente speranza che quel giorno sia imminente per poter finalmente andare tutti insieme con Gesù.

L’attesa non deve essere quella che si vive nei confronti di un eventuale ladro che viene di notte, ma quella nei confronti dello sposo che sta per arrivare, del grido che si udrà: “Ecco lo sposo, uscitegli incontro!” (Matteo 25:6).

La Rivelazione si chiude dicendo:

Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni”. E chi ode dica: “Vieni” …Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”.

Amen! Vieni, Signore Gesù!

Giovanni 14:2-3

Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinchè dove sono io siate anche voi

Atti 1:11

Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù che vi è stato tolto ed è stato elevato in cielo, tornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo

2 Pietro 3:9

Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento

Matteo 28:20

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente

Matteo 18:20

Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro

1 Tessalonicesi 5:17

Non cessate mai di pregare

2 Pietro 3:12

mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio…

Marco 13:10

E prima bisogna che il vangelo sia predicato fra tutte le genti

Filippesi 2:14-15

Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute, perché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo a una generazione storta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo

Matteo 24:42

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà.