Vita di Pietro (2)

Secondo Periodo: dall’Ascensione alla Conferenza di Gerusalemme (anni 30-49)

 

 

                La Pentecoste

 

                All’inizio del Libro degli Atti troviamo gli Apostoli che, tornati a Gerusalemme, non riescono a distogliersi dall’idea del Regno, del quale per altro, durante le apparizioni di quei quaranta giorni, Gesù aveva continuato a parlare (At 1:3). In fondo essi in quel regno avrebbero dovuto occupare dei posti importanti: “Ma insomma, spiegati meglio, Signore; ci vuoi dire finalmente se questo regno lo realizzerai subito, oppure dovremo aspettare ancora?”. La risposta del Risorto li lascia ancora di più nell’imbarazzo: sembra di capire che nemmeno lui lo sa! Gesù parla invece del compito missionario che li attende (erano sì o no gli Apostoli che si era scelto?), e della prossima discesa dello Spirito Santo. Poi Gesù viene elevato in cielo, e gli “undici”, attoniti, lo guardano scomparire per sempre in una nuvola.

                Ma Pietro che, perdonato da Gesù, aveva ripreso la sua posizione di leader, ha una preoccupazione: gli Apostoli che il Maestro si era scelto erano dodici (come le tribù d’Israele), e ora invece sono rimasti in undici. Occorre perciò ricostituire quanto prima il numero di dodici. Così, invece di pensare a cose più importanti, Pietro si dà da fare con gli altri per tirar le sorti su un certo Mattia, arrampicandosi anche sui vetri per giustificare questa scelta con argomenti tratti dai Salmi (At 1:15-26). Che cosa ne sarà poi di questo “dodicesimo apostolo”? Non lo sappiamo, perché di lui non si sentirà più parlare né negli Atti né nelle Epistole.

                Ma insomma, quand’è che Pietro comincerà a diventare “più spirituale”? E’ ovvio: quando verrà riempito dallo Spirito Santo, nel giorno della Pentecoste. Com’è noto, l’azione dello Spirito si manifestò sia nei riguardi dei fratelli riuniti nella “sala di sopra”, che poi scesero in piazza (rumore di vento, lingue di fuoco, parlare in altre lingue), sia verso i Giudei convenuti a Gerusalemme per la Pentecoste, che li udirono parlare ciascuno nella propria lingua natia (quelli, ovviamente, ai quali lo Spirito aveva aperto la mente; gli altri li derisero considerandoli ubriachi).

                Ed ecco che Pietro, stando in piedi e chiesto il silenzio, fa il primo discorso della sua vita, che suona pressappoco così: “Dico a voi tutti: guardate che quel Gesù che avete crocifisso era il Cristo!”. Ora per afferrare il significato del discorso di Pietro bisogna capire il significato della parola Cristo, che è una parola greca che corrisponde all’aramaico Messia. Nelle nostre traduzioni, se uno legge superficialmente, o se dà il testo a un non credente sperando che quello capisca, si trova in difficoltà. Ma quelli che ascoltavano Pietro capivano benissimo, perché lui parlava in aramaico, e stava dicendo che Gesù era il Messia. “Avete capito  -  diceva  -  che avete crocifisso proprio il Messia, quello promesso dai profeti? Adesso però sappiate che Dio lo ha risuscitato dai morti e lo ha costituito Signore di tutti. Perciò ravvedetevi, e i vostri peccati saranno perdonati”. Questo fu in sintesi il discorso di Pietro, costellato di citazioni dell’Antico Testamento. Dice Atti 2:41 che quelli che accolsero la sua parola furono battezzati; e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone. Pietro fece questo suo primo discorso che erano circa le nove del mattino, il giorno della Pentecoste dell’anno 30. Quello fu un giorno importante per la storia dell’umanità, perché quel giorno a Gerusalemme nacque la Chiesa (che all’inizio ovviamente si componeva solo di Giudei). Molti studiosi ritengono che fu proprio in quell’occasione che Pietro usò la prima delle chiavi del regno che Gesù gli aveva fornito (cfr. Mt 16: 19a).

 

                La guarigione dello zoppo e il discorso nel Tempio

 

                In seguito troviamo Pietro che insieme a Giovanni si reca al Tempio, dove si imbatte in un tale che era zoppo fin dalla nascita e che chiedeva di essere aiutato. E allora Pietro, anziché fargli l’elemosina, gli dice: “No, soldi non te ne do, ma quello che ho te lo do: nel Nome di Gesù, àlzati e cammina”. Ed ecco che quello zoppo si mette a saltellare tutto contento, e poi non si stacca più da Pietro e Giovanni. Intanto, nel Tempio, si trovava una moltitudine che aveva assistito al miracolo. E allora Pietro approfitta dell’occasione per ripetere anche a loro il discorso che aveva fatto alla Pentecoste: “Guardate che quel Gesù che voi avete crocifisso, era il Messia. E adesso il Signore lo ha risuscitato dai morti, e noi ne siamo testimoni”. E poi aggiunge: “Ed è Lui che con la sua potenza ha fatto camminare quest’uomo”. Il risultato fu che se ne convertirono altri duemila. Però le autorità si arrabbiarono e Pietro e Giovanni furono gettati in prigione (At 3:1 - 4:3).

 

                L’arresto e il primo discorso al Sinedrio

 

                Il motivo dell’arresto fu che avevano insegnato al popolo senza autorizzazione. Il giorno seguente i sacerdoti li mandano a prendere e li scongiurano di rispondere a questa domanda: ”In nome di chi, con il potere di chi avete guarito quello zoppo?”. Questo in effetti era il problema. Essi avevano eliminato Gesù, ed ecco che ora questi due pretendevano di perpetuarne la memoria operando miracoli in suo nome.

                L’occasione è troppo ghiotta e Pietro non se la lascia sfuggire. Così, “pieno di Spirito Santo” (At 4: 8), ripete ancora una volta: “Quel Gesù che voi avete crocifisso, era il Messia, e Dio lo ha risuscitato. E’ per la sua potenza che quest’uomo compare guarito davanti a voi”. (Questo è noto come il “primo discorso davanti al Sinedrio”). E’ durante questo episodio che Pietro e Giovanni vengono riconosciuti come “popolani senza istruzione”, ma tuttavia in possesso di una sapienza superiore (At 4:13). (La parola greca idiotes significa “persona senza istruzione, rozzo, semplice”; Diodati aveva tradotto “idioti”). I sacerdoti non potevano negare l’evidenza del miracolo, tuttavia volevano evitare che la notizia si diffondesse ulteriormente. Così dicono a Pietro e Giovanni: “Guai a voi se andate ancora a raccontare queste cose. Che cosa volete, mettere a rumore tutta la città? Ne avete già fatte troppe. Adesso basta!”. Ma Pietro e Giovanni rispondono: “Giudicate voi se dobbiamo dare retta a voi, o a Dio!” (At 4: 19).

 

                Il discernimento degli spiriti

 

                Pietro e Giovanni tornano in libertà. La chiesa si stringe attorno a loro. E viene realizzata spontaneamente, senza riserve, una cosa straordinaria, che in seguito, nella storia del cristianesimo e non solo, sarà considerata assurda e utopica: la “comunione dei beni”. Ciascuno dà secondo le sue possibilità, e ciascuno riceve secondo il suo bisogno. Gli Apostoli controllano che ogni operazione venga eseguita con onestà e correttezza. Ed è qui che c’è l’episodio della condanna di Anania e Saffira da parte di Pietro. Quei due si erano messi d’accordo per ingannare gli Apostoli, e mal gliene incolse, perché furono stroncati all’istante. Questo fatto dimostra che Pietro sapeva distinguere se uno mentiva oppure no, ossia possedeva il dono del “discernimento degli spiriti” (At 4:23 - 5:11).

 

                L’ombra di Pietro

 

                In Atti 5:15 troviamo che a Gerusalemme “sempre di più si aggiungevano [alla chiesa] uomini e donne in gran numero, che credevano nel Signore; tanto che portavano perfino i malati nelle piazze, e li mettevano su lettucci e giacigli, affinché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra ne coprisse qualcuno”. La credenza secondo cui l’ombra aveva poteri magici, sia benefici che malefici, era diffusa nel mondo antico, e potrebbe spiegare la ragione per cui la gente agiva in quel modo. (Dello stesso tipo di fede nei poteri di Paolo si parla in Atti 19:12). Secondo Marshall (Atti degli Apostoli, GBU), “Luca riporta questo particolare come una prova specifica di quale fosse la fama acquistata da Pietro fra la gente”.

 

                Ma Pietro possedeva davvero questi poteri miracolosi? Sorprende che Luca, così critico verso la magia pagana, abbia ammesso l’efficacia, nel ministero apostolico, di simili credenze magiche in una forma cristianizzata. Ma forse (dice Marshall) a volte Dio si degna di scendere al livello di esseri ancora rozzi nel loro modo di pensare, ma tuttavia in possesso di una robusta fede, come capitò alla donna colpita da emorragia che toccò la veste del Signore (Lu 8:43-48).

 

                Il secondo discorso di Pietro al Sinedrio

 

                In Atti 5:17-42 è riferito che Pietro e gli altri Apostoli continuarono a predicare il Vangelo imperterriti, senza tener conto dell’ordine che avevano ricevuto dal Sommo Sacerdote e da tutto il Sinedrio (perché non li ritenevano più in possesso dell’autorità). Così furono di nuovo arrestati, e Pietro ripeté le cose che aveva già detto in precedenza: “Ma lo volete capire! Ve lo abbiamo già detto una volta, e questa è la seconda. E poi, è inutile che ci venite a raccontare che noi dobbiamo stare zitti, perché noi obbediamo a Dio, e non a voi!”. Ed è durante questo episodio che avvenne quello che si chiama il “Consiglio di Gamaliele”. Quel Gamaliele che era stato il precettore di Paolo (un rabbino molto importante, che qualcuno ritiene fosse addirittura un “discepolo occulto”), dopo aver fatto uscire ovviamente gli Apostoli e parlando solo ai suoi colleghi, disse: “Attenzione, se quello che questi stanno facendo è dagli uomini, cesserà di per sé, e non c’è bisogno che voi vi diate tanto da fare. Se invece è una cosa che viene da Dio, e noi non possiamo saperlo, è inutile che vi mettiate in testa di stroncarla. Non vorreste certo mettervi contro Dio!”.

 

Nel Libro degli Atti, dopo il capitolo 5, la storia di Pietro si interrompe, e dal capitolo 6 al 9 vengono descritti altri avvenimenti, che storicamente possiamo datare fino all’anno 36Istituzione dei Diaconi, Martirio di Stefano, Filippo e l’Etiope, Conversione di Saulo. C’è però la parentesi At 8:1-25, con la persecuzione della chiesa, la predicazione in Samaria e l’episodio di Simon Mago in cui Pietro fu protagonista e che ora brevemente descriveremo.

 

 

                L’episodio di Simon Mago

 

                Troviamo questo strano personaggio che esercitava le sue “arti magiche” in Samaria prima che Filippo vi giungesse a predicare il Vangelo (At 8:9-11). Qualche tempo dopo, arrivano in Samaria anche Pietro e Giovanni, i quali imposero le mani a coloro che avevano creduto perché ricevessero lo Spirito Santo (At 8:14-17). La cosa piacque moltissimo a Simon Mago, il quale offrì del denaro agli Apostoli perché fosse concesso anche a lui il potere di far scendere lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani. La risposta di Pietro è nota: “Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai creduto di poter acquistare con denaro il dono di Dio” (At 8:20).

                Il fascino di Simon Mago ha percorso i secoli. Molti gli hanno attribuito caratteristiche gnostiche. Nel libro apocrifo Atti di Pietro, scritto verso la fine del 2° secolo, è raccontato il suo “certame oratorio” con l’Apostolo (ne daremo qualche cenno alla fine della Terza parte di questo studio). La cosa notevole è comunque che nel corso del Cristianesimo è stato definito “simonia” il commercio delle cose sacre, per analogia col peccato di quell’antico mago di Samaria. Per esempio, Dante parla dei “simoniaci” nel XIX canto dell’Inferno. Uno dei dannati è il papa Bonifacio VIII, il banditore del “primo Giubileo” del 1300.

 

                Il colloquio di Pietro e Paolo a Gerusalemme

 

                In Atti 9:23-30 è raccontato che Paolo, dopo esser fuggito da Damasco (fu calato dalle mura in una cesta), si recò a Gerusalemme. In effetti Paolo aveva desiderio di incontrare Pietro, come racconta lui stesso in Ga 1:18,19. Ciò avvenne tre anni dopo la sua conversione, cioè nell’anno 38. Evidentemente la fama di Pietro si era già diffusa nelle altre città. Paolo si incontrò anche con Giacomo, definito “il fratello del Signore”, che probabilmente godeva anch’egli di gran prestigio nella chiesa di Gerusalemme. Certamente Pietro raccontò a Paolo i fatti della vita di Gesù (che Paolo non aveva conosciuto di persona), e forse gli riferì anche l’episodio della Ultima Cena, che in seguito Paolo rielaborò secondo 1 Co 11:23 ss.

 

                I miracoli di Lidda e Ioppe

 

                A un certo punto Pietro lascia Gerusalemme e se ne va in giro, come il Signore aveva ordinato: “Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, in Samaria, e fino all’estremità della terra”. E a Lidda opera una guarigione miracolosa, e a Ioppe addirittura la risurrezione di una certa ragazza che si chiamava Tabita (At 9:32 ss). Quindi Pietro continua ad usare il dono delle guarigioni, come aveva fatto la prima volta alla Porta Bella del Tempio, quando aveva guarito lo zoppo. Come lui stesso aveva dichiarato in quell’occasione (At 3:12,13; 4:9,10), era per la potenza di Gesù Risorto che potevano aver luogo quei miracoli.

 

                Il battesimo di Cornelio  (Atti cap. 10,11)

 

                Dobbiamo cominciare dalla famosa visione sulla terrazza di Ioppe, dove Pietro abitava in quei giorni in casa di un certo Simone, conciatore di pelli (At 9:43). Per comprendere i fatti occorre però capire che cosa pensavano e facevano i credenti di Gerusalemme. I cristiani della chiesa di Gerusalemme, siamo abituati forse a considerarli l’esempio degli esempi, perché stavano sempre insieme, mangiavano insieme, pregavano, facevano la Cena del Signore, ed erano assidui al Tempio. E questo noi a volte lo interpretiamo dicendo: “Vedete, prendiamolo come esempio, dobbiamo essere assidui alle riunioni!”. Già, ma quelli andavano al Tempio, perché loro si ritenevano Giudei. Sì, Giudei diventati cristiani  -  premesso che non si chiamavano affatto cristiani, perché questo nome fu dato per la prima volta ad Antiochia  -  Giudei che avevano accettato la “Nuova Via”, ma rimasti Giudei al cento per cento! E così continuavano ad andare assidui al Tempio. E non gli passava neanche per la mente che potessero essere salvati anche dei non Ebrei!. I Gentili, ossia i non Ebrei, non potevano essere salvati, secondo loro. E questa non era un’opinione del popolino: era l’opinione dei sommi Apostoli. E anche Pietro la pensava così. Quando il Signore, per fargli cambiare idea, gli fece vedere quel telo pieno di animali che calava dal cielo, animali per lo più considerati impuri dalla Legge, Pietro disse: “Ma no! Non voglio neanche sentirne parlare! Guai a me se faccio una cosa simile!”. Perché il Signore gli aveva detto di mangiare degli animali che secondo la Legge di Mosè non potevano essere mangiati. Il Signore gli voleva far capire che le cose stavano cambiando. Non pensiamo che interessasse a Dio che Pietro, in quel momento, anche se aveva fame, dovesse mangiare degli animali considerati impuri. Era un altro l’insegnamento! Dio gli voleva dire: “Smettila di considerare contaminati altri uomini che non sono Giudei. E’ ora che tu cambi idea”. Così, con l’esperienza del centurione Cornelio, Pietro capì quello che il Signore gli voleva insegnare. Ma lo capì solo lui. Invece la chiesa di Gerusalemme lo accusò dicendogli: “Ti sei contaminato perché hai mangiato con loro!”. E Pietro dovette giustificarsi davanti a tutti i fratelli di Gerusalemme per ciò che era avvenuto (Atti cap. 11). Perché quello era uno dei problemi della chiesa di Gerusalemme. Dicevano: “Noi, sì, abbiamo accettato la Nuova Via. Abbiamo capito che quel Gesù che i nostri compatrioti hanno ucciso era il Messia. E ora, ecco, noi siamo tutti contenti di sapere che è risuscitato, perché Lui era veramente il Messia”. E non si muovevano da quel punto.

                La predicazione a Cornelio da parte di Pietro viene considerata come l’impiego della seconda chiave del regno, di cui Gesù aveva fornito l’Apostolo.

 

 

                La missione umanitaria di Paolo e Barnaba da Antiochia a Gerusalemme (Anno 40)

 

                Ad Antiochia per la prima volta il Vangelo fu predicato in modo esteso anche ai Gentili, da parte di alcuni Ciprioti e Cirenei (la predicazione di Pietro a Cornelio dobbiamo ritenerla un episodio isolato). E ad Antiochia si costituì una chiesa numerosa, composta da Ebrei e Gentili convertiti, i quali avevano comunione fra loro. Questo fatto preoccupò non poco la chiesa di Gerusalemme (At 11:22), che incaricò Barnaba di indagare e riferire. Come è noto, Barnaba andò ad Antiochia e, convinto che quella era opera di Dio, andò a cercare l’aiuto di Paolo, che si era rifugiato a Tarso. Così Paolo e Barnaba lavorarono assieme ad evangelizzare Ebrei e Gentili, e lì per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani (At 11:26).

                Poco dopo, arrivò ad Antiochia un profeta della chiesa di Gerusalemme ad invocare aiuto per i poveri di quella comunità, in occasione di una carestia. E i fratelli di Antiochia raccolsero offerte e le inviarono a Gerusalemme per mezzo di Barnaba e di Paolo (At 11:29,30). In quest’occasione certamente Paolo e Pietro si videro di nuovo, ma di questo incontro non è rimasta traccia né negli Atti né nelle Lettere.

 

                L’arresto di Pietro e la sua liberazione miracolosa (anno 43)

 

                Nel capitolo 12 degli Atti c’è l’episodio dell’arresto di Pietro da parte di Erode  -  uno dei tanti Erodi di cui parla il Nuovo Testamento. Questo è l’Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande (quello della strage degli innocenti, che era suo nonno), e nipote anche di Erode Antipa detto il Tetrarca (quello del processo a Gesù, che era suo zio). Dunque, Pietro era dentro la prigione, a Gerusalemme, e stava lì in attesa di essere giustiziato, perché Erode aveva fatto già uccidere Giacomo (che non è il Giacomo capo della chiesa di Gerusalemme, al cui fianco c’erano gli anziani, ma era il fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo). Ma torniamo a Pietro. Come sappiamo, egli fu liberato miracolosamente. E’ utile ricordare che mentre lui era in prigione c’era la chiesa (una parte dei credenti, non erano certamente tutti i tremila o cinquemila), c’era un gruppo che si era radunato in casa della madre, probabilmente vedova, di quel giovane Giovanni Marco, che poi troveremo affiancato a Paolo e Barnaba nel primo viaggio missionario. E lì c’è l’episodio della serva Rode, che merita di essere riferito con qualche dettaglio. Dunque, dicevamo del gruppo di credenti radunati in casa di una sorella, la mamma di Giovanni Marco, probabilmente vedova, ma anche benestante, perché aveva della servitù. E mentre Pietro era in prigione, questi credenti pregavano in modo molto convinto nella casa di questa sorella. Questo dice il testo. Poi, come sappiamo, Pietro fu liberato miracolosamente, e pensò di recarsi a casa di costoro. Arrivò lì, e c’era la porta chiusa, e cominciò a bussare. E gridava: “Apritemi, sono Pietro!”. E appunto, andò vicino alla porta la serva Rode, un personaggio minore di cui ci è conservato il nome in questo episodio bellissimo. La serva Rode, dunque, capì che quello che c’era dietro la porta era Pietro, ma per l’emozione si dimenticò di aprire e corse a riferirlo a quelli che erano riuniti in casa. E quelli per tutta risposta le dissero: “Ma tu sei pazza, ma come è possibile. Avrai preso un abbaglio. Quello, tutt’al più, è il suo angelo custode!”. Tralasciando di parlare qui delle credenze sull’angelo custode, puntualizziamo questo fatto: la serva Rode aveva capito che quello che stava alla porta era Pietro, mentre quelli che stavano pregando per la sua liberazione non ci credevano, perché la cosa era troppo grande per loro. Eh, si fa presto a dire “fede”!.

                Pietro, dopo, si allontanò da Gerusalemme perché, comunque, anche se era stato liberato miracolosamente dalla prigione, Erode era sempre lì, e siccome aveva deciso di ucciderlo, era meglio per Pietro di allontanarsi il più possibile. Quindi se ne andò e disse a quelli che stavano lì: “Io me ne vado il più lontano possibile. Voi dite pure che sono uscito dalla prigione. E, mi raccomando,  fatelo sapere a Giacomo!”.

 

 

                Visita di Pietro ad Antiochia e scontro con Paolo (anni 45-48)

 

                Partiti poi Paolo e Barnaba per 1° Viaggio missionario, troviamo Pietro che si reca in visita ad Antiochia (Ga 2:11 ss), e non si fa scrupolo di aver comunione (cioè, di entrare in casa e di mangiare insieme) con persone non giudaiche. (Pietro probabilmente, dopo l’episodio della sua liberazione miracolosa, aveva lasciato Gerusalemme, la cui chiesa rimase così affidata ai superstiti apostoli e ad alcuni anziani sotto la supervisione di Giacomo). E, tornati dal Viaggio anche Paolo e Barnaba, tutti godono di quella atmosfera magnifica di comunione fraterna fra cristiani. Però la notizia di ciò che stava capitando ad Antiochia  -  l’ebreo Pietro aveva comunione con i Gentili!  -  non tardò ad arrivare alle orecchie di quelli di Gerusalemme, e allora alcuni da parte di Giacomo (cioè giudeo-cristiani fra i più radicali) si recarono ad Antiochia. La pressione e l’intimidazione furono talmente forti che la comunione cessò, Pietro si ritrasse e perfino Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia (Ga 2:13). E allora Paolo si spazientì, ed affrontò Pietro davanti a tutti, accusandolo duramente. L’episodio è riferito con ricchezza di dettagli dallo stesso Paolo nella lettera ai Galati scritta circa 6 anni dopo da Efeso, sapendo che anch’essi avevano dovuto cedere alle pressioni dei giudeo-cristiani della chiesa di Gerusalemme.

                In sintesi, se il Primo Problema della chiesa di Gerusalemme (all’epoca di Cornelio) era stato che “i Gentili non possono essere salvati”, il Secondo Problema fu: “Non sta bene che Giudei e Gentili convertiti abbiano comunione tra loro”.

 

                La Conferenza di Gerusalemme (anno 49)

 

                Questa famosa Conferenza, secondo una ricostruzione accettata da molti studiosi, avvenne dopo il primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba. Essa fu indetta per decidere se i Gentili convertiti dovevano sottoporsi alla legge mosaica e quindi diventare anche proseliti giudei. Questo viene definito il Terzo Problema della chiesa di Gerusalemme. In effetti il quesito veniva posto in forma molto più radicale: secondo Atti 15:1, alcuni venuti dalla Giudea avevano affrontato i Gentili convertiti della chiesa di Antiochia dicendo: “Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati”. Atti 15:5 dice che questi credenti così intransigenti provenivano dalla setta dei farisei, e ciò spiega il loro attaccamento alla forma. Ma, come sappiamo, sia per il discorso di Pietro, sia per l’iniziativa di Giacomo, fu mitigata l’imposizione ai Gentili.

                In occasione di questa conferenza Paolo si incontrò nuovamente con Pietro, che era evidentemente rientrato a Gerusalemme, e anche con Giacomo e Giovanni, reputati insieme a Pietro le colonne di quella chiesa. E in quell’occasione i tre di Gerusalemme diedero la mano di associazione a Paolo e Barnaba, riconoscendo che il Signore aveva affidato a questi l’incarico di predicare ai Gentili, mentre a loro era stato riservato il compito di evangelizzare gli Ebrei. Di questo incontro parla Paolo in Ga 2:1-10, precisando che avvenne quattordici anni dopo (la sua conversione), cioè nell’anno 49.

 

                La Conferenza di Gerusalemme è l’ultima occasione in cui si parla di Pietro nel Libro degli Atti. Con essa ha termine quello che abbiamo definito il Secondo Periodo della vita dell’Apostolo.

 

 

                                                                                        Davide Valente