LA DOTTRINA DI CRISTO

 

LA  DOTTRINA  DI  CRISTO

 

La persona e l’opera di Cristo

 

Sommario PRIMA  PARTE

 

1.      Cristo come Essere divino e come Figlio di Dio

 

1.1   La Sua preesistenza

1.2   La Sua divinità

1.3   Cristo come Figlio di Dio

 

2.      L’Incarnazione

 

2.1   Lo scopo dell’incarnazione

2.2   I fatti essenziali

2.3   Il concepimento miracoloso e la nascita verginale

 

3.      La divinità e l’umanità nel Signore Gesù

 

3.1 Kénosis

3.2 Unione ipostatica

3.3 La comunione delle proprietà

 

4.      La vita di Cristo

 

4.1   Gli attributi personali

4.2   I titoli di Cristo

4.3   Lo scopo della Sua vita

 

5.      La morte di Cristo                                                                  SECONDA   PARTE

 

5.1   Il pensiero evangelico

5.2   Illustrazioni scritturali

5.3   Il significato dell’”espiazione”

5.4   Teologia dell’espiazione

 

6.      La discesa agli “inferi”

 

7.      La risurrezione e la glorificazione di Cristo

 

7.1   Il significato della resurrezione

7.2   Le prove della resurrezione

7.3   Il corpo della resurrezione di Cristo

7.4   L’ascensione e Cristo nel cielo

 

8.      L’opera di Cristo

 

8.1   Come profeta

8.2   Come sacerdote

8.3   Come Re

 

 

1.      Cristo come Essere divino e come Figlio di Dio                                PRIMA  PARTE

 

1.1     La Sua preesistenza

 

Non vi è forse dottrina che sia stata così combattuta nel corso dei secoli quanto la dottrina relativa alla “divinità di Cristo”  Ma era chiaro il disegno dell’Avversario: dimostrare inconsistente tale verità avrebbe significato minare alla base la persona e l’opera di Cristo ed il cristianesimo stesso.

La minaccia maggiore pervenne dall’arianesimo, un movimento che nel quarto secolo dell’era cristiana sosteneva che Cristo non fosse Dio nel senso più completo, ma fosse in un certo senso in subordine rispetto al Padre (cioè inferiore a Dio), perché creato dal Padre e non avesse un’esistenza propria, possedendo gli attributi divini in maniera limitata.

Il culmine fu raggiunto nel corso di un concilio tenuto a Nicea, dove prevalsero gli ortodossi: l’arianesimo fu condannato e fu affermato solennemente che Cristo era:

 

“…Dio vero da Dio vero, generato non fatto (cioè “increato”), della stessa sostanza del Padre”.

 

A questa dichiarazione si connetteva la questione definita “Filioque”(=e dal Figlio), con la quale si affermava che lo Spirito Santo procede tanto dal Padre quanto dal Figlio, in quanto lo Spirito Santo è tanto lo Spirito del Padre quanto lo Spirito di Cristo, poiché esiste un solo ed un unico Spirito. Si considerino i testi:

 

Ef 4:4 “Vi è un corpo unico ed un unico Spirito…”

1 Co 12:12 “Noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito…”

1 Co 12:11 “Tutte queste cose le opera quell’uno e medesimo Spirito…”

 

L’unione del Figlio col Padre nel mandare lo Spirito promesso ai discepoli esclude pertanto ogni differenziazione o subordinazione.

 

Ancora oggi gli Unitariani, un movimento che opera sulla costa orientale degli Stati Uniti (Boston)  negano la divinità di Cristo.

Occorre quindi tenere nella massima considerazione le affermazioni bibliche concernenti la  esistenza di Cristo prima della Sua incarnazione, per esempio il testo: “Egli è avanti ogni cosa”  (Col 1:17) ed alla Sua associazione con Dio il Padre nel lavoro della creazione. Per esempio: “Senza la Parola non è stata fatta nessuna delle cose create” (Giov 1:1-3).  In caso contrario tutte le affermazioni riguardanti la venuta di Cristo sulla terra per rivelare il Padre verrebbero ad essere invalidate.

 

A conclusione di questo paragrafo, si considerino i seguenti testi a proposito dei quali non può sussistere alcun dubbio circa il loro significato:

 

-          “…Prima che Abramo fosse nato, Io sono” (Giov  8:58)

-          “…Padre, glorificami tu presso Te stesso della gloria che avevo presso di Te avanti che il mondo fosse” (Giov 17:5)

-          “…affinchè vedano la mia gloria che Tu mi hai data, poiché Tu mi hai amato avanti la fondazione del mondo” (Giov 17:24)

-          “Il Quale (Gesù), essendo in forma di Dio non reputò rapina l’essere uguale a Dio…” (Fil 2:6)

-          “mediante il quale (Dio) ha creato i mondi…” (Eb 1:2)

-          “Io sono l’Alfa e l’Omega… l’Onnipotente” (Ap 1:8)

-          “Io (la Sapienza) ero presso di Lui (Dio) come un artefice” (Prov 8:30).

 

1.2     La Sua divinità

 

Gesù non solo la fece intendere, ma la proclamò più volte.  L’accusa principale al Suo processo fu che Egli si era fatto “Figlio di Dio”.  Ed Egli non lo negò.  Quando Pietro dichiarò che il Cristo era Figlio di Dio, Gesù confermò nella sostanza l’affermazione del discepolo.

 

I due appellativi “Figlio di Dio” e “la Parola” consentono di affermare:

a)      Egli fu una manifestazione della Divinità, una “Immagine di Dio”, attraverso la Quale Dio si rivelò agli uomini pur senza mostrarsi loro, cosa d’altra parte impossibile;

b)      Egli è uguale al Padre, nel senso che è espressione della Persona e della gloria di Dio.

 

Al Concilio di Nicea fu affermata la “identità di essenza”   col Padre, nel senso che Cristo non è solo “somigliante al Padre”, ma è “una sostanza col Padre”.

Si legga, ad esempio, Giovanni 14:9-11, dove Gesù afferma : “Io sono nel Padre ed il Padre è in Me”,  ed Ebrei 1:3 dove si afferma che Egli è  lo splendore della gloria e l’impronta della essenza di Dio.  Si consideri anche Colossesi 2:9 dove si conferma che “in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità”.

 

1.3     Cristo come Figlio di Dio

 

La Sacra Scrittura usa per definire l’origine di Cristo la parola “generato, non fatto”, per dire che Cristo non è stato creato come gli angeli, gli uomini e tutto il resto.  Ma in che senso va inteso questo termine?

Dio proclamò: “Tu sei mio Figlio: oggi ti ho generato” (Sl 2:7, Eb 1:5).

Ma cosa significa “generato”?   E perché “oggi”?  Non lo sappiamo; è un mistero.  Non è rivelato.

Cristo è Figlio, in quanto Dio si manifesta come Padre nella Trinità.  Ma il Figlio è coeterno col Padre, su questo non c’è alcun dubbio.  I testi già letti lo confermano più volte.

 

Alcuni pensano che il testo: “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato” si riferisca solo alla incarnazione ed alla natura umana di Cristo, ma il Figlio di Dio fu tale prima che il tempo cominciasse, cioè dall’eternità.  Il passo di Ebrei 1:8: “Egli (Dio Padre) dice del Figlio: il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli…”  contraddice infatti tale opinione.  Ed anche il primo capitolo dell’ev. di Giovanni afferma la stessa cosa, quando parla della Parola (il Logos) fatta carne e che ha abitato fra noi come “l’unigenito venuto da parte del Padre”.

Il termine “unigenito” non è quindi riferito ad un periodo di tempo particolare, ma rifletteva uno dei caratteri della seconda Persona della Trinità. Si consideri anche: Mr 1:11 “Tu sei il mio diletto Figlio: in te mi sono compiaciuto”  e Mr 9:7 “Questo è il mio diletto Figlio: ascoltatelo”.

 

Al processo di Gesù tutti dissero: “Sei tu dunque il Figlio di Dio? Ed egli rispose loro: Voi lo dite, poiché io lo sono” (Lc 22:70).

“Nessuno ha mai veduto Dio; l’unigenito Figlio che è nel seno del Padre è colui che l'ha fatto conoscere"”(Giov 1:18).  “I Giudei più che mai cercavano di ucciderlo perché, non soltanto violava il sabato,, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Giov 5:18).

“Chi ha veduto Me ha veduto il Padre…non credi tu che Io sono nel Padre e che il Padre è in Me?” (Giov 14:9,10). Queste parole, rivolte da Gesù al discepolo Filippo, sono di una chiarezza disarmante quanto all’essenza; diverso è il discorso quando si passa alla ricerca del loro significato intrinseco.

 

L’ap. Paolo, a sua volta, dice di Gesù: “…nato del seme di Davide secondo la carne, dichiarato (manifestato, rivelato, fattosi conoscere) Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santità mediante la resurrezione dai morti” (Ro 1:4), aggiungendo che Dio ci ha “…riscossi dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Suo amato Figlio”  (Col 1:13).     Pare di capire che – perché era Figlio di Dio – possedeva lo Spirito di santità, risorse dalla morte ed a Lui appartiene un Regno: cioè si considerano gli effetti, non  le cause e le origini, che restano un mistero non rivelato.

 

2.      L’Incarnazione

 

2.1     Lo scopo dell’incarnazione

 

Perché Dio si è incarnato nella persona storica di Gesù Cristo?

La Sacra Scrittura indica nella  redenzione degli uomini lo scopo dell’incarnazione.  Per diventare “l’ultimo Adamo”, il capostipite di una nuova razza di redenti, fu necessario che Cristo prendesse un corpo simile al nostro, manifestando la più completa ubbidienza alle richieste divine.

             La Sua attuale opera di intercessione come Sommo Sacerdote è resa più efficace dal fatto che Egli stesso “è stato tentato come noi”, partecipando alle nostre infermità.

            Il Signore Gesù fu la “Parola” nel senso che proveniva da Dio e tutte le cose vennero all’esistenza grazie a Lui, perché Dio disse : “E la cosa fu”,  Dio parlò “e la cosa sorse”.

            Dio si incarnò nella persona fisica di Gesù perché solo così poteva manifestarsi in una maniera comprensibile agli uomini, rivelando loro la saggezza e l’amore di Dio.

 

2.2     I fatti essenziali

 

E’ importante avere ben chiaro che l’incarnazione di Cristo non intaccò affatto la Sua divinità.  Egli, pur essendo uomo sotto ogni aspetto, non venne infettato dal germe del peccato che ha corrotto l’intera umanità.

Cristo quindi ebbe veramente un corpo umano ed un’anima razionale, escluso il peccato; in questo senso Egli è il “secondo Adamo”.

Nel contempo Egli conservò pienamente la natura divina.

 

2.3     Il concepimento miracoloso e la nascita verginale

 

La Scrittura dichiara  che la Madre di Gesù fu una vergine, che il concepimento fu miracoloso e che l’agente ne fu lo Spirito Santo.  Ciò lo avrebbe preservato dall’essere infettato dal virus del peccato.    In questa maniera Dio avrebbe fatto in modo che avesse inizio un nuovo principio ai fini della salvezza dell’uomo.  In altri termini, Dio ricomincia da capo, dando inizio ad una nuova generazione dove è Dio che opera senza alcuna collaborazione dell’uomo.

 

Anche Maria è passiva, mentre tutta l’iniziativa è di Dio. Si leggano i testi di Isaia 63:4,5  ed Ezechiele 34:12,15.  E’ Dio che opera e la nascita verginale è la prova e la dichiarazione che Dio agisce da solo.   E’ quindi fuori di ogni rivelazione della Scrittura l’idea cattolico-romana della “cooperazione” di Maria nell’opera della redenzione umana.

Cristo aveva quindi in Sé due nature: una divina, trasmessagli dallo Spirito Santo ed una umana, acquisita dalla madre Maria, ma era una sola Persona.

Egli differì da noi, perché non derivava da nessun padre umano e perché era libero dal peccato, sia ereditato che acquisito.

 

 

3.      La divinità e l’umanità nel Signore Gesù

 

3.1     Kènosis

 

Con questo termine si intende l’”annichilimento di Sé” del Signore Gesù di cui parla l’ap. Paolo in Filippesi 2:7, quando Gesù “annichilì Se stesso, prendendo forma di servo”, pur essendo uguale a Dio.

Sono state formulate molte ipotesi circa questo fenomeno, per spiegarlo.

Privò Egli Se stesso della divinità? Oppure rimase in possesso di tutti i Suoi attributi divini, ma rinunciò al loro uso e li nascose agli occhi degli uomini?

Rifiutò l’uso della Sua onniscienza e della Sua onnipotenza attraverso un atto della Sua volontà, quando nacque?  Mise da parte la Sua essenza divina che riacquistò alla maturità, oppure la personalità divina Gli fu restituita gradatamente con lo sviluppo umano?

La Sua divinità era forse sottoposta alla Sua umanità, o viceversa?

 

Sono queste tutte ipotesi formulate ma non sostenute dalla Sacra Scrittura. Non vi è nessun momento in cui gli attributi divini di Cristo fossero abbandonati ed ogni teoria che violi l’integrità della divinità di Cristo è evidentemente insoddisfacente e non scevra di obiezioni.

 

L’unica spiegazione plausibile potrebbe essere (ed il condizionale è d’obbligo) la seguente: la natura divinamente perfetta di Cristo (con il possesso di tutti i suoi attributi) era così unita con una natura perfettamente umana, che una Persona divino-umana si sviluppò con l’elemento divino, controllando il normale sviluppo dell’elemento umano.

 

Occorre avere l’umiltà di dire che non si può affermare nulla di più se non si vuole rischiare di cadere in errore.   Il testo di Filippesi 2:7 non investe il problema degli attributi divini: indica semplicemente l’umile rinuncia morale di sé, implicita perché “essendo uguale a Dio, prese forma di servo”.

 

3.2     Unione ipostatica

 

Con questo termine si intende l’unione delle due nature (la divina e l’umana) in una stessa persona.

            Alcuni hanno azzardato l’ipotesi che certi atti o certe parole fossero divini ed altri puramente umani, ma ciò non ha alcun fondamento.   Al contrario, la combinazione delle due nature in una sola Persona ebbe in Cristo la sua più elevata espressione.

            Si consideri il valore di un simile risultato pensando che Cristo, nel corpo della Sua resurrezione, ha portato una forma umana  ed una natura umana fino al trono di Dio.

 

            Ciò che ci deve riempire di stupore è che anche noi siamo portati ad avere un’unione vitale con Cristo in quanto partecipi della natura divina quali figli di Dio, destinati a raggiungere una conformità ancora più completa con la Sua immagine e somiglianza.

            Occorre comunque precisare che in Cristo le due nature, pur essendo unite, non erano mescolate o alterate nelle loro proprietà individuali; che non risulta vi fossero trasferimenti di attributi da una natura all’altra, tale da mostrare la divinità ridotta entro limiti umani o certi caratteri umani esaltati a livello divino; infine che l’unione delle due nature non era assimilabile a quella dello Spirito di Dio nel cristiano, ma era un’unione personale piena e completa che fece affermare a Gesù:

 

                        “Io e il Padre siamo una stessa cosa”.

 

3.3     La comunione delle proprietà

 

Con questa espressione si intende l’intercambiabilità e l’intercomunicazione che esiste fra le qualità e le esperienze di due nature, riguardo all’unità della Persona.

In Cristo l’armonia fra le due nature era perfetta e reale, non artificiosa né artefatta, come fosse l’unione di due elementi incompatibili.

Come vi furono nei seguaci dell’arianesimo e negli Ebioniti i negatori della divinità di Cristo, vi furono i Doceti che negarono la Sua vera umanità, affermando che la vita terrena di Gesù Cristo non fosse altro che un’illusione ed un’apparenza, cioè che non fosse stato il Cristo divino a soffrire la fame ed a patire e morire.

Non esistono teorie interamente soddisfacenti. La Sacra Scrittura ci presenta un Cristo che è insieme Dio e Uomo.

 

I primi cristiani dovettero lottare parecchio contro gli equivoci e le eresie dei primi secoli della storia della Chiesa, prima che venissero fissati con chiarezza i concetti sulla persona di Gesù Cristo, ciò che avvenne nel Concilio di Calcedonia nel quinto secolo, dove venne chiaramente enunciata la dottrina delle due nature unite in una sola Persona (unione ipostatica)

A conclusione di questo paragrafo, si consideri l’affermazione dell’ap. Paolo:

 

“…i padri dai quali è venuto, secondo la carne, il Cristo, che è sopra

tutte le cose Dio benedetto in eterno” (Romani 9:5).

 

 

4.      La vita di Cristo

 

Lo studio della vita di Cristo quale risulta dagli Evangeli è molto proficua per i credenti che desiderano analizzare il carattere e gli insegnamenti del divino Maestro.   Occorre comunque sempre verificare sui sacri testi affermazioni od azioni attribuite al Signore Gesù.

 

4.1     Gli attributi personali

 

Fra la molteplicità di attributi, appare interessante l’espressione circa la Sua crescita “in sapienza e in statura” (Luc 2:52).

La Sua umanità era perfetta; le parole di Luca descrivono la Sua crescita umana normale, ma non negano affatto che Egli avesse attributi divini.

Che Egli avesse una conoscenza superiore a quella umana è dimostrato dal fatto che conosceva i pensieri dei discepoli, mentre col Padre aveva una relazione filiale.

 

Circa l’affermazione che “in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare” (Eb 4:15), possiamo domandarci in qual senso vada intesa tale affermazione.  Dalla Scrittura si deduce che Egli poteva essere tentato per il tramite della Sua natura fisica quanto lo fu Adamo.

Essere tentato non è peccato, ma lo è consentire alla tentazione con la propria volontà.  Gesù scelse di non peccare con la propria volontà che mantenne integra.  Ciò è dimostrato dal fatto che potè dire al Padre: "Non la mia, ma la Tua volontà sia fatta” (Luc 22:42).

 

Circa la Sua onnipresenza, alcuni ritengono che la Persona divino-umana del Signore fosse limitata riguardo alla Sua onnipresenza divina.  Ma la dichiarazione: “l’Unigenito Figlio che è nel seno del Padre” (Giov 1:18) pare controbatterla.

In ogni caso noi, nel nostro pensiero, localizziamo la presenza della Divinità sul Suo trono o nelle assemblee degli adoratori, pur continuando a credere alla Sua onnipresenza.

 

4.2     I titoli di Cristo

 

Fra la molteplicità di titoli ne ricordiamo quattro:

 

-          il Figlio di Dio,  di cui si è detto ampiamente in precedenza, usato quaranta volte nelle Sacre Scritture;

-          il Figlio dell’Uomo, con il quale Gesù chiamò Se stesso almeno ottanta volte nei Vangeli. In questo modo Egli intendeva identificarsi con i figli degli uomini;

-          il Secondo Adamo, con il quale Gesù voleva stabilire l’inizio di una nuova generazione umana stabilita su nuovi principi;

-          la Parola, riferita prevalentemente ai fatti della Creazione di cui l’apostolo Giovanni parla diffusamente nel 1° capitolo del suo evangelo.

 

4.3     Lo scopo della Sua vita

 

Quale significato ed importanza ha la vita di Cristo per il credente?

Non vi è alcun dubbio che tutta la Sua vita fu vissuta dal Signore Gesù sotto l’ombra e l’attesa del sacrificio, motivo centrale ed inderogabile di tutta la Sua missione.

            Ma non dobbiamo sottovalutare le ragioni per cui la vita di Cristo doveva essere perfetta, specialmente per ciò che riguarda la Sua ubbidienza:

 

a)     in primo luogo essa rappresentava l’offerta sacrificale illustrata dagli innumerevoli sacrifici dell’antica alleanza. E’ nota l’insistenza del Vecchio Testamento sulla purezza delle vittime per il sacrificio;

 

b)     in secondo luogo essa doveva rappresentare l’ubbidienza perfetta del Nuovo Adamo rispetto alla disubbidienza del vecchio Adamo;

 

c)     infine, la Sua vita perfetta Gli consentì di divenire per il Suo popolo un mediatore ed un sommo sacerdote qualificato, come afferma il testo di Ebrei 2:17-18: “…Egli doveva esser fatto in ogni cosa simile ai suoi fratelli, affinchè diventasse un misericordioso e fedele sommo sacerdote…ed in quanto egli stesso ha sofferto essendo tentato, può soccorrere quelli che sono tentati”.

 

 

 

 

 

5.  La morte di Cristo                                                                  SECONDA  PARTE

                                                                                                         (La dottrina di Cristo)

            La dottrina dell’espiazione è il fulcro della fede cristiana. Spesso opinioni errate o discutibili dipendono da scarsa conoscenza dei fatti descritti e dei termini usati dalla Sacra Scrittura.

            Vi è anche spesso confusione su ciò che riguarda la natura della giustificazione divina e dell’atto di redenzione.  Il sacrificio espiatorio di Cristo è una cosa troppo sublime per essere offuscato o menomato anche in buona fede da credenti entusiasti che si lasciano talora guidare da opinioni personali non sufficientemente basate sulla Sacra Scrittura.

 

5.1     Il pensiero evangelico

 

Qual è il concetto evangelico centrale su questo argomento?  Esso può essere formulato in questa maniera: la missione suprema del Figlio di Dio fu la redenzione dell’uomo per mezzo della vita di perfetta ubbidienza che culminò nel “sacrificio di Se stesso offerto una volta per sempre” e che costituì un’oblazione ed una soddisfazione completa, perfetta e sufficiente, per i peccati di tutto il mondo.

 

La morte di Cristo fu un esempio di perfetta ubbidienza alla volontà di Dio; fu:

-          rappresentativa nel senso che gli uomini, convinti dalla Legge del loro fallimento sotto il vecchio patto, trovano vita nel nuovo patto fatto col Suo sangue;

-          propiziatoria, nel senso che alla croce Dio si incontra con l’uomo peccatore per redimerlo;

-          vicaria e sostitutiva, perché Cristo sostituì il peccatore sulla croce e morì sostituendosi a lui nelle conseguenze del peccato.

 

Questo rende possibile la scoperta del mistero più profondo della morte del Salvatore, che è la meraviglia suprema della grazia di Dio, il dono di Dio a favore degli uomini, che è il vero fulcro del cristianesimo. La morte del Salvatore offrì a Dio una soddisfazione completa ed una espiazione completa per il loro peccato, che sola può aprire la via alla riconciliazione con Dio che trasforma la vita dell’uomo.

 

5.2  Illustrazioni scritturali

 

E’ noto il richiamo costante della Scrittura ad esaminare le espressioni e le illustrazioni impiegate per l’esposizione della dottrina.

Nel Nuovo Testamento è ricorrente l’uso di termini quali: “sacrificio”, “spargimento di sangue”, “propiziazione”, “riscatto”.   Tali termini vanno interpretati tenendo presente l’uso che se ne fa nell’Antico Testamento.  D’altra parte ciò rientra nelle buone regole dell’esegesi dei testi, ossia di una corretta interpretazione: il Nuovo Testamento va interpretato alla luce del Vecchio Testamento.

         Nel Vecchio Testamento va sottolineata la ricorrenza di due concetti fondamentali:

 

-          in primo luogo la redenzione è legata allo spargimento del sangue

-          secondariamente nell’ uso delle vittime animali è sempre presente il concetto della sostituzione.

 

Il libro del Levitico è ricco di riferimenti in proposito quando illustra le regole che governavano gli antichi sacrifici ed i sacerdoti addetti alle offerte.  Cristo voleva dare un insegnamento in accordo con essi come risulta da numerosi testi, come pure dagli scritti di Paolo, di Giovanni, di Pietro e della lettera agli Ebrei, che dichiarano che la morte di Cristo era il compimento di ciò che era stato insegnato sui sacrifici nel Vecchio Testamento.

 

5.3  Il significato della parola “espiazione”

 

La parola “espiazione” non è la traduzione precisa della parola ebraica usata nel Vecchio Testamento e che significa “coprire”.  La parola “espiare”, che ha in sé il senso di “riparare”, porta anche quello di “riconciliare”, concetto sviluppato poi nell’uso cristiano della “riconciliazione con Dio in Cristo Gesù”.

 

L’insegnamento del Vecchio Testamento era che “i sacrifici animali, se accompagnati dalla fede dell’offerente, facevano una copertura per il peccato”.   Ricordiamo l’espressione del Salmista: “Beato colui il cui peccato è coperto” (Sl 32:1).

 

Dio però non aveva un vero compiacimento nei sacrifici animali, se non nel fatto che il peccatore manifestava la sua fede nel perdono di Dio.  L’osservanza rituale in sé non era gradita a Dio (si pensi ai rimproveri di Gesù all’indirizzo dei Farisei), tuttavia anche i profeti la seguivano e la praticavano.

 

Gli autori del Nuovo Testamento erano fondamentalmente unanimi nel dare la massima importanza alla morte di Cristo.  Una cosa è certa: l’insegnamento di Cristo ed il pensiero apostolico confermano le due concezioni del Vecchio Testamento: la remissione dei peccati  ha come base lo spargimento del sangue e vi è un processo di sostituzione per il quale  Cristo agisce a nostro vantaggio nell’opera della nostra redenzione.

 

5.4  La teologia dell’espiazione

 

Occorre fare uno sforzo per poter abbandonare il punto di vista personale e vedere le cose dal punto di vista divino, tenendo presente che Dio è sovrano in tutto ciò che concerne l’uomo ed il mondo.

 

a) Che cos’è l’espiazione per Dio?  E’ l’evento supremo della storia del mondo. In essa Dio prova “piacere” e si compiace.  La chiave di comprensione di ciò risiede nell’ubbidienza perfetta di Cristo fino alla morte sulla croce.  Qualcuno ha detto che era la prima volta che la volontà di Dio era interamente “fatta in terra come in cielo”.

In essi la Sua giustizia perfetta ed il Suo amore non sono in opposizione: la remissione dei peccati deriva infatti dalla Sua giustizia quanto dal Suo amore. Al Calvario “la benignità e la verità si sono incontrate; la giustizia e la pace si sono baciate” (Sl 85:10).

Dio, il Datore della  Legge violata dall’uomo è soddisfatto dall’ubbidienza perfetta di Cristo e dalla Sua sottomissione volontaria alla morte.  

Alla croce, Egli si assunse la nostra “responsabilità legale”, soddisfacendo interamente il Reggitore delle leggi dell’universo.   Questa responsabilità legale è interamente rimossa dal peccatore, in quanto Dio ha accettato l’opera di Cristo consistente nel dono della Sua Persona che, essendo senza peccato, aveva un valore infinito.   E’ solo su questa base che Dio può manifestare una misericordia che perdona, senza passare sopra alla Sua santità ed all’odio che ha per il peccato.

 

b) Che cos’è l’espiazione per l’uomo?                  La dimostrazione suprema

dell’amore di Dio verso l’uomo peccatore deve portare a considerare tutta la ripugnanza della santa natura di Dio per il peccato dell’uomo.  Ciò deve portarci al pentimento verso Dio ed alla fede verso il Signore Gesù Cristo.

 

L’espiazione considerata esegeticamente.  Dalla lettera agli Ebrei appare con chiarezza il triplice aspetto del ministero di Cristo:

 

a)        come Sacerdote, quale rappresentante e sostituto che agisce a favore degli uomini Egli è autorizzato ad assicurare la riconciliazione fra Dio e gli uomini attraverso l’espiazione dei peccati per mezzo di una vittima sostitutiva.  Nel Vecchio Testamento le vittime erano illustrazioni temporanee dell’unico vero sacrificio operato da Cristo, che offrì il proprio sangue prezioso ed attraverso questo sacrificio ha reso perfetti quelli che sono santificati (Eb 10:14).  Questo sacrificio ha rimpiazzato tutti gli altri e nessun altro sarà più necessario.

 

b)        Come sacrificio. Nel Vecchio Testamento l’intenzione del sacrificio era di rendersi propizio Dio attraverso la “copertura” dei peccati.  Questa espiazione era realizzata attraverso una punizione vicaria, sostituendosi la vittima all’offensore ed il risultato era il perdono dell’offensore e la sua redenzione.

 

c)        Come Redentore.  Redentore significa “Liberatore”.  Da cosa ci libera Cristo?  Dalla condanna della Legge (Gal 3:13); dagli obblighi della Legge (Ga 4:5, Ro 6:14); dal potere del peccato (Tit 2:14, 1 Pie 1:18,19); dal potere di Satana (At 26:18, Eb 2:14,15); dall’ira a venire (! Tes 1:10).

 

 

6.      La discesa agli “inferi”

 

Sul periodo intercorrente tra la morte e la resurrezione di Cristo sono state scritte molte cose che devono essere prese con estrema cautela.

            Innanzitutto occorre precisare che l’espressione del “Credo” che dice che Cristo “discese all’inferno”  non è esatta e non rende il senso che deve avere.

 

            Gesù non è sceso “all’inferno” inteso come luogo di punizione, ma nel luogo di attesa dei trapassati, chiamato anche il “luogo dei dipartiti”: questo è il significato del termine greco “Ades” ed ebraico “Sheol”, che significa appunto “soggiorno dei morti”.  Questo era quello che era chiamato il “seno di Abramo” per i credenti dell’Antico Testamento e che divenne il “Paradiso” quando Cristo lo visitò e lo sarebbe stato da quel momento in poi per tutti coloro che si sarebbero “addormentati in Gesù” (Luc 23:43), secondo la promessa fatta da Gesù sulla croce al ladrone pentito.

           

            Cristo, con la vittoria sulla morte, ha affermato la propria sovranità sul regno della morte che ha perso il proprio pungiglione.  Ciò significa che per il credente la morte non è più il “re degli spaventi”, perché ogni esperienza in merito è stata provata da Cristo, per cui il credente può serenamente attenderne il momento.

 

            Ogni altra illazione sul cosiddetto “stato intermedio” non è sufficientemente provata dalla Scrittura e quindi occorre riconoscere che di più il Signore non ha ritenuto opportuno rivelare.

 

7.      La risurrezione e la glorificazione di Cristo

 

La risurrezione di Cristo è stata definita uno dei due punti cardinali della dottrina cristiana, di cui l’altro è evidentemente la morte di Cristo.

Essa fu una delle più grandi riscoperte dei teologi della Riforma.

 

7.1     Il significato della risurrezione.

 

La risurrezione di Cristo è stata il  centro della prima predicazione apostolica, in quanto rappresentava una “giustificazione” di tutta la vita terrena del Signore Gesù.    La risurrezione dalla morte “giustificava” l’insegnamento del divino Maestro e la Sua “ubbidienza fino alla morte”, in quanto atto del Padre nel quale Cristo appariva come vittorioso su ogni potenza ostile, ivi compresa la morte stessa.

 

Quindi, per prima cosa, la risurrezione è la giustificazione del Suo Servo fedele, come Signore e Cristo, come il Messia che era stato promesso.

 

In secondo luogo, la risurrezione era un segno dell’approvazione divina del servo sofferente, era l’imprimatur di Dio sul servizio della Sua ubbidienza e della Sua morte.   Il risultato era la salvezza ed il perdono dei peccatori proclamati nel Nome di Gesù.

 

In terzo luogo la risurrezione confermava i credenti nella loro fede in Dio e nella Sua potenza, dando loro la certezza della loro salvezza.   Infatti è scritto che  “se mentre eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Suo Figliuolo, tanto più ora, essendo riconciliati , saremo salvati mediante la Sua vita” (Ro 5:10).

 

In quarto luogo la risurrezione di Cristo è il segno  e la garanzia della risurrezione del corpo di tutti coloro che sono “in Cristo”, determinando in loro un atteggiamento nuovo nei riguardi della morte.

 

In quinto luogo l’ascensione e la glorificazione di Cristo seguite alla Sua risurrezione completano lo schema di “morte-risurrezione-glorificazione”  che costituiscono il piano divino per la “identificazione” dei credenti con Cristo. Come Cristo e con Cristo il credente diviene “morto al peccato” e “vivente a Dio”, come viene proclamato nel messaggio del battesimo.  La conseguenza è l’appello alla santificazione per coloro che “sono stati risuscitati con Cristo” e l’esortazione ad “avere l’animo (la mente) alle cose di sopra”.

 

In sesto luogo la risurrezione di Cristo toglie la fede cristiana dalla sfera della speculazione filosofica e del moralismo e la rivela come l’azione di Dio per la salvezza della razza umana.

 

7.2     Le prove della risurrezione

 

Le argomentazioni più importanti sono legate ai seguenti fatti:

 

a)          il rivoluzionario cambiamento nell’atteggiamento dei discepoli, la cui maggioranza non era disposta a credervi, non avendo compreso le profezie di Cristo sulla sua risurrezione;

b)          il fallimento dei Giudei nel trovare il corpo del Signore. La scusa del “corpo rubato” è ridicola, di fronte alle precauzioni prese dalle autorità. Il silenzio dei Giudei è significativo quanto il parlare dei cristiani;

c)           le apparizioni ad individui isolati ed a gruppi numerosi (cinquecento persone) avvenute in circostanze differenti ed in tempi diversi;

d)          la sopravvivenza e lo sviluppo della chiesa appena nata e l’impatto avuto sulle civiltà del mondo, ivi compresa la civiltà romana, forte di oltre mille anni di predominio nel mondo.

 

7.3     Il corpo della risurrezione di Cristo

 

La Sacra Scrittura ci avverte che la nostra mente umana non può comprendere completamente la vera natura del corpo della risurrezione, per cui occorre cautela.

Dagli evangeli apprendiamo comunque senza alcun dubbio che:

 

a)     il corpo di Cristo era non solo reale (cioè un vero corpo), ma era lo stesso corpo che fu posto nella tomba;

b)     Gesù stesso si preoccupò di rassicurare i discepoli di non essere uno spirito: “uno spirito non ha carne ed ossa” (Luc 24:39-43).  A riprova, partecipò al pasto dei discepoli;

c)      Il Suo corpo possedeva certe caratteristiche che non si riscontrano nei nostri corpi: passava attraverso le porte chiuse (alto solaio) e spariva improvvisamente (Emmaus).

 

Cristo rioccupò effettivamente il corpo nel quale aveva sofferto, ma questo corpo mostrò qualità differenti da quelle del corpo “della nostra umiliazione” ed anche da quelle del corpo di Cristo precedenti alla risurrezione.

 

Cristo passò attraverso gli ingombri delle fasce ed attraverso la tomba tagliata nella roccia, in quanto il rotolamento della pietra avvenne in un momento successivo alla risurrezione stessa.

 

Quando l’ap.Paolo in 1 Corinzi 15 dice che ci sono corpi terrestri e corpi celesti, vuol dire che i requisiti di questi corpi sono diversi.

 

Pare si possa dire che con la risurrezione Cristo entrò in una nuova sfera di esistenza sia nel corpo sia nello spirito; ciononostante Egli poteva in qualsiasi momento riprendere le relazioni con la nostra condizione presente per darci una prova inconfondibile di una vera risurrezione, per quanto ciò non lo legasse completamente alla condizione  della Sua precedente umiliazione.

Le apparizioni frequenti erano una concessione di grazia verso il nostro bisogno di avere “molte prove certe”.

 

Nel Suo stato di glorificazione Cristo possiede tuttora il Suo corpo, ma in una forma spiritualizzata e trasfigurata.  Ogni altra speculazione è inutile di fronte alla grandiosità delle dichiarazioni scritturali.

 

7.4     L’ascensione e Cristo nel cielo

 

L’ascensione e la possibilità che Cristo ha ora in cielo seduto alla destra di Dio costituiscono l’apoteosi della Sua opera di redenzione.

Perché Cristo lasciò i Suoi discepoli e la Chiesa appena nata per tornare al trono di Dio? La lettera agli Ebrei risponde a questi nostri interrogativi.

Innanzitutto era necessario che Egli entrasse nel “luogo santissimo” per mezzo dei meriti della Sua espiazione, per apparire davanti a Dio come il precursore della razza redenta.

In secondo luogo Egli sta compiendo un’opera vitale a favore dei Suoi, sia come “Colui che apre la strada della loro salvezza”, sia come mediatore, essendo per loro Sommo Sacerdote ed Avvocato.

 

8.      L’opera di Cristo

 

Esaminando l’opera di Cristo, appare chiaro il Suo triplice ministero:

 

8.1 come Profeta -     Egli parlava con autorità profetica immediata, rimpiazzando l’espressione“Così dice il Signore” con “Io vi dico”.  La Sua predicazione incisiva per mezzo di parabole rivelate alla gente comune, le Sue dichiarazioni solenni in materia di escatologia  riguardanti l’imminenza del regno di Dio e la rivelazione di Sé come Figlio dell’Uomo, furono le caratteristiche principali del Suo ministero profetico.

Il Suo ministero profetico fu confermato da miracoli di guarigione, come era avvenuto nella precedente storia d’Israele al principio di nuove ere (Elia, Eliseo).

Egli continua il Suo ministero profetico in senso “mediato”, sia per mezzo degli Apostoli, sia nei doni del ministero nella Chiesa.

 

8.2  come Sacerdote -     Il Nuovo Testamento insegna chiaramente che nel ministero sacrificale Cristo operò in due modi:

 

1)   attivamente, dirigendosi risolutamente verso Gerusalemme (Lu 9:51) e deponendo volontariamente la Sua vita, offrendosi come vittima per il sacrificio (Eb 9:14) e presentandosi poi davanti a Dio a vantaggio dei credenti;

2)  passivamente,  sottomettendosi ad essere crocifisso per mano degli uomini come vittima per il sacrificio.

 

La Sua attività presente, come Sommo Sacerdote, consiste:

1)      nell’essere mediatore e garante del Nuovo Patto

2)      nell’essere avvocato ed intercessore per il Suo popolo davanti al trono di Dio

3)      nell’assicurare l’accesso alla presenza di Dio anche al più umile credente.

 

8.3 come Re -  Le profezie del Messia regale trovano il loro compimento in Cristo in due modi:

1) si compirono alla prima venuta di Cristo quando “il tempo fu venuto” ed il regno di Dio fu stabilito fra gli uomini.  Alla vittoria di Cristo sulla morte il regno di Dio fu inaugurato, le potenze malvagie sconfitte ed il Re potè dispensare le benedizioni del regno, riassunte nell’espressione “vita eterna”;

2) la piena realizzazione del regno di Cristo aspetta ancora un compimento. Noi non vediamo ancora che tutte le cose Gli siano sottoposte, perché Satana continua ancora ad opporsi al Suo governo.  Ma il regno già c’è nei cuori dei credenti che si sottomettono all’Evangelo.

 

Come Capo del Suo corpo, Cristo regna sulla Chiesa; ma Egli attende che tutti i Suoi nemici siano posti a sgabello dei Suoi piedi e che il Suo dominio universale sopra tutte le cose “in cielo, in terra e sotto la terra” venga rivelato, quando Egli apparirà di nuovo “sulle nuvole del cielo” per stabilire il Regno che non avrà mai fine.

A Lui sia la gloria in eterno! 

                                                                                          (Augusto Lella – gennaio 2000)

 

Bibliografia – T.C.Hammond – Aggiungi alla fede la conoscenza – Ed. GBU – Roma 1969