UNA OFFERTA PERSONALE

UNA  OFFERTA  PERSONALE

 

La chiesa in adorazione e gli adoratori singoli

L’adorazione e la celebrazione del Signore vedono i credenti uniti in una chiesa locale. E l’insieme dei credenti, all’unisono, rivolge al Signore la sua lode e la sua riconoscenza per quanto ha ricevuto. Questo lo si vede dalle manifestazioni di ringraziamento, dai canti, dalle preghiere, ecc.

* Ma l’adorazione è soprattutto un fatto singolo che ci riguarda personalmente, individualmente. Il Signore guarda il cuore dell’individuo, non quello della collettività. Il credente è salvato in forma personale, non collettiva.

E’ l’uomo che ha introdotto il collettivismo con le sue forme, con le sue organizzazioni religiose, con le sue manifestazioni di massa. E si è scordato che il vero cristiano lo “è veramente” nella sua vita, nelle sue azioni e nei suoi rapporti diretti con Dio; non perché appartiene ad una confessione o ad una corrente ideologica. Ricordiamo a questo riguardo le parole dell’apostolo Paolo: “Non vivo più io, ma è Cristo che vive in me”.

Il Signore gradisce la nostra offerta singola e personale, non la media di più offerte unite insieme.

Ciò non toglie che non possiamo esprimerci tutti insieme, è una cosa buona; ma cerchiamo di comprendere il significato più intenso della nostra adorazione personale.

 

Non “delegare”, ma offrire “del nostro”

Ognuno di noi ha dei motivi “particolari e personali” di lode e di ringraziamento a Dio che non può trasferire ad altri.

Logicamente non è normale che chi riceve un dono taccia, e il ringraziamento al donatore lo esprima un altro.

Ma spesso noi “deleghiamo” altri all’adorazione, in modo inconsapevole, ma succede.

Occorre invece essere dei protagonisti nella lode e nel ringraziamento; occorre non aspettarsi nulla dal fratello vicino, anche se questo è più pronto di noi!  Occorre, in conclusione, offrire “del nostro” e non appoggiarsi all’offerta di un altro. Abbiamo ricevuto una grazia e una salvezza “personali”? Ringraziamo personalmente e direttamente chi ce l’ha data. Fidarci o contare sull’offerta di un altro ... forse non è del tutto onesto, e in fondo in fondo vi si potrebbe vedere anche una punta di ipocrisia.

Il fatto di partecipare come spettatori ad una riunione di adorazione, spesso forse non significa adorare. Non necessariamente è richiesta la nostra espressione pubblica, ma quella strettamente nostra, quella intima nel rapporto di comunione con Dio, quella è necessaria.

Siamo qui per portare la nostra offerta al Signore, “il frutto delle nostre labbra che confessano il Suo nome”; è la nostra offerta, quindi dobbiamo privarci di qualcosa, è un sacrificio .... ma quanto ha fatto Cristo per ciascuno di noi?

 

L’esempio del re Davide

C’è un episodio nella Scrittura che riguarda il re Davide, anziano e ormai prossimo alla fine dei suoi giorni terreni. Il suo popolo aveva combattuto contro i Filistei e aveva vinto. Israele aveva attraversato dei periodi di prova come tre anni di carestia, ma anche questi erano stati superati (queste vicende le potete leggere alla fine del 2° Samuele).

Successivamente Davide eleva al Signore dei canti di riconoscenza (cap. 22 e 23) che sono anche riportati nel Salmo 18. Si tratta di inni di lode e di riconoscenza a Dio per le benedizioni ricevute, particolarmente commoventi perché espressi alla fine dalla sua vita che aveva voluto dedicare e consacrare a Dio.

Ma la situazione subisce una svolta inaspettata: dopo aver ricordato un lungo elenco degli uomini più valorosi al servizio del re Davide, dei quali se ne esaltano le qualità, e descrivendo i numerosi aiuti ricevuti da Dio durante le azioni di costoro, ecco che proprio Davide, il re condottiero di questi suoi capi e generali, incappa in una disavventura.

Leggiamo in 2 Samuele il capitolo 24 -   ...........................................................................

A Davide dunque viene proposto di fare un censimento nel suo paese per avere un’idea delle sue risorse militari.

 

Il censimento e la sfida di Dio a Davide

Possiamo farci alcune domande: Perché era un peccato fare un censimento?  Perché Dio stesso lo ordinò a Davide?

Vediamo di dare delle risposte. Intanto in 1 Cronache 21:18-26 ci viene descritto lo stesso episodio con qualche altro dettaglio che vedremo più avanti. Ma in 1 Cronache 21:1 viene precisato chiaramente che

 

 

 

- 1 -

 

 

 

Satana stesso incitò Davide a fare il censimento. Tuttavia non c’è contraddizione con 2 Samuele 24:1, infatti sembra evidente che Dio permise al diavolo di influenzare il re Davide, con lo scopo di realizzare i Suoi divini piani (così dicono i commentatori).

Abbiamo considerato, come del resto viene sottolineato da Davide stesso nei suoi inni, l’indispensabile aiuto di Dio, sia nelle battaglie che nella descrizione degli uomini più valorosi. Ma forse Davide, sì proprio il re Davide, se ne era dimenticato, provocando l’ira del Signore. L’idea del censimento, ossia il conteggio delle risorse umane sul quale poteva contare il re, fu subito accettata da Davide (il quale dimenticò che il popolo apparteneva a Dio e non a lui).

Fu chiaramente una sfida di Dio a Davide, perché Egli voleva metterlo alla prova; ma il re peccò per mancanza di fede. Davide voleva “contare” i suoi guerrieri, voleva sapere su quale esercito poteva disporre, voleva conoscere le sue “forze”, dimenticando quelle che poteva ricevere da Dio, e che aveva sempre ricevute nel passato.

A cosa poteva servire allora il censimento? La risposta la dà il generale Joab a Davide, che così si espresse (vers. 3): “Il Signore, il tuo Dio, renda il popolo cento volte più numeroso di quello che è, e faccia sì che gli occhi del re possano vederlo! Ma perché il re, mio signore, prende piacere nel far questo?”.

Il pensiero di Joab era condiviso anche dai capi dell’esercito, ma a nulla valsero le sue parole accorate, perché il re aveva dato un ordine e l’ordine doveva essere eseguito. L’idea del censimento aveva proprio accecato il re!

Notiamo ancora che l’operazione doveva essere la più completa possibile, cioè dal nord dove c’erano i possedimenti della tribù di Dan (alta Galilea), sino al sud nella zona di Barsheba (bassa Giudea). Veramente il re voleva avere un resoconto completo delle sue risorse umane!

L’operazione durò quasi dieci mesi e finalmente Davide fu reso consapevole che poteva contare su un esercito di un milione e trecentomila uomini “forti, atti a portare le armi”. Una forza d’urto notevole per quei tempi.

Il re Davide poteva veramente stare tranquillo e sicuro.

 

Il peccato del re

Passò forse del tempo .... ma poi Davide comprese il suo peccato.  Era stato  proprio accecato dall’idea del censimento.

L’errore di Davide però è comune ancora oggi: il peccato rende l’uomo insensibile e gli toglie la facoltà di ragionare. Dio viene quasi sempre dimenticato e posto in una posizione secondaria. E questo succede a volte anche a noi credenti, perché quando siamo nella prova e nel bisogno sovente la prima cosa alla quale pensiamo è la considerazione delle nostre forze, e non quelle che possiamo ricevere da Dio confidando in Lui. La fiducia nel Signore è importante: ricordiamo quel bellissimo versetto del Salmo 118:8 “E’ meglio rifugiarsi nell’Eterno, che confidare nell’uomo”.

Davide quindi si pentì, forse tardivamente, ma poi finalmente lo fece.

 

La punizione di Dio

Il Signore ascoltò il pentimento di Davide, ma mise il re nuovamente alla prova; Egli voleva che Davide comprendesse realmente la gravità della sua mancanza di fede.

Fu un fatto inusuale, perché Dio propose a Davide, tramite il profeta Gad, di scegliere una di queste tre prove che sarebbero state inflitte al popolo:

- sette anni di carestia -

- tre mesi di fuga rovinosa davanti al nemico incalzante -

- tre giorni di peste -

Davide non scelse nulla; disse solo “che era meglio cadere nelle mani di Dio, perché le sue compassioni erano immense, che non nelle mani degli uomini”.

Il Signore ascoltò le parole di Davide e inflisse al suo popolo il castigo più breve, anche se tremendo: tre giorni di peste. Questa prova terribile colpì tutto il paese, dal nord al sud, e morirono 70.000 persone. La potenza di Dio si manifestò ancora: il potenziale esercito censito da Davide poteva in breve tempo essere annientato: ecco cosa sono le risorse umane di fronte alla grandezza di Dio.

Ma la misericordia del Signore fermò la peste, perché Dio accettò il pentimento di Davide.

 

 

 

 

 

- 2 -

 

 

 

L’invocazione del re Davide

Davide, ormai perfettamente conscio del peccato di mancanza di fede, pentito veramente, cominciò a pensare al suo popolo travagliato dalla peste, ed allora così invocò Dio e la Sua misericordia: “Sono io che ho peccato, sono io che ho agito da empio! Queste pecore che cosa hanno fatto? La Tua mano, Signore, si volga dunque contro di me ......”

Ecco la coscienza di Davide nuovamente in grado di agire: il re si assume tutte le responsabilità davanti a Dio, e vuole pagare al posto del popolo. Ecco una leale attribuzione di colpa: personale, non collettiva e, finalmente, il rapporto individuale con Dio viene ristabilito.

Questa è un’altra lezione per noi: quando sbagliamo, e purtroppo succede spesso, prendiamoci le nostre responsabilità di fronte a Dio, chiediamo il Suo perdono ... senza attribuire ad altri gli errori che abbiamo commesso noi!

 

L’aia di Arauna (o Ornan)

C’è ora l’episodio finale, il più significativo per noi. Il profeta Gad suggerisce a Davide di erigere un altare al Signore nell’aia di Arauna, un proprietario terriero della Giudea. In questo luogo, situato sul monte Moriah, sarebbe poi sorto il Tempio di Salomone, come è detto in 2 Cronache 3:1. Davide dunque ubbidì prontamente e salì ai possedimenti di Arauna.

Quest’ultimo era intento nei suoi lavori agresti nell’aia, quando vide il re andargli incontro. La sua sorpresa fu certamente grande e si inchinò ai piedi di Davide, dimostrando tutta la sua gioia per quella visita inaspettata.

Davide gli indicò lo scopo della sua visita e gli manifestò l’intenzione di acquistare la sua possessione per fare un’offerta al Signore. Ma Arauna, per fare un gesto di devozione al re, gli offrì tutto gratuitamente.

 

La bella risposta del re Davide

* Ma Davide così gli rispose: “No, io comprerò queste cose per il loro prezzo e non offrirò al Signore, al mio Dio, olocausti che non mi costino nulla!

E in 1 Cron. 21:24, nel passo analogo, è detto: “Io non offrirò al Signore ciò che è tuo”.

Nota - L’apparente contraddizione sul prezzo pagato da Davide può essere spiegata così:

2 Samuele 24:24 - Davide pagò 50 sicli di argento, ma solo per l’acquisto dell’aia e dei buoi per il sacrificio.   

1 Cronache 21:25 - Davide pagò 600 sicli d’oro (una cifra notevole), ma per tutta la possessione di Ornan.

* Davide offrì quindi veramente  qualcosa di sua proprietà. E in questa circostanza egli assunse la figura di Gesù, il quale offrì se stesso, affinchè l’ira di Dio fosse placata verso gli  uomini peccatori.

 

Una offerta personale

L’esempio di Davide, che volle dare a Dio un’offerta sua, e non quella di un altro, è significativo per noi. Anche noi siamo venuti qui per offrire qualcosa di nostro, e non certamente per assistere all’offerta di altri fratelli. Penso che Davide ci aiuti a saperci comportare e a convincerci che dobbiamo dare al Signore un’offerta sincera, onesta e personale.

Siamo dei veri adoratori?  Ricordiamo che la nostra offerta personale deve essere data a Dio in tutte le nostre manifestazioni di adorazione: nei messaggi, nelle preghiere, nelle nostre espressioni comuni .... (come ad esempio il canto: esso è comune come esecuzione, ma è personale se si pensa a quanto si dice, se si fanno proprie le parole di lode e di ringraziamento in esso contenute, se lo si esprime col cuore e non solo con le labbra).

Infine anche “Amen” che noi pronunciamo insieme, non dev’essere una consuetudine, ma un’approvazione convinta.

Il Signore voglia fare in modo che questo sia il nostro culto: celebrazione del nome del Signore, adorazione e lode a Lui, ricordo di quanto abbiamo individualmente ricevuto attraverso il sacrificio di Cristo.

 

 

 

 

 

Mario Valente