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    "Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio"
    Evangelo di Giovanni Capitolo 1

     

     

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 LA  VITA  CRISTIANA  NELLA  FAMIGLIA 

E  NEI  RAPPORTI  DI  LAVORO

(Efesini 5: 21 - 6: 9)

 

            I valori e i principi evangelici che caratterizzano il credente, non hanno una validità che si limita solo all’ambito della chiesa, ma anche alle relazioni di coppia, al rapporto fra genitori e figli e fra datori di lavoro e dipendenti. In altre parole, Paolo in questi passi condanna l’essere santo in chiesa e spietato ed egoista in casa e al lavoro. Per lui il credente deve essere un uomo che pensa, parla ed agisce nello stesso modo ovunque si trovi.

 

            1)  La vita matrimoniale  (Efesini  5: 21-33)

 

            Spesso questo passo viene letto a partire dal v. 22  (Mogli siate soggette ai vostri mariti, ecc.), traendone occasione per puntualizzare diritti e doveri e sottolineare bene la sottomissione della moglie all’autorità del marito. Così facendo, l’ottica viene falsata. Sarà molto più opportuno inserire il brano nel contesto, e partire dai versetti che precedono per mettere nella giusta prospettiva quelli successivi: “Camminate nell’amore” (2), “Siate ripieni dello Spirito” (18b), e soprattutto “Sottomettendovi gli uni agli altri nel timore (= nel rispetto) di Cristo” (21).

            A questo punto il marito, anziché compiacersi dei propri diritti e pretendere che la moglie osservi i suoi doveri, farebbe bene a chiedersi: “Quali sono i miei doveri, e i diritti di mia moglie?”. (Ovviamente il discorso è reciproco, cioè vale anche per la moglie nei riguardi del marito).

            La sottomissione dell’uno verso l’altro, applicata alla coppia matrimoniale (che è una comunità in miniatura), potrà poi più facilmente estendersi alla chiesa (“Per mezzo dell’amore, servite gli uni agli altri”, Galati 5:13b).

            Senza voler eludere ciò che Paolo dice sui rispettivi ruoli del marito e della moglie, sarà dunque opportuno sottolineare che entrambi hanno il dovere di amare e di servire, secondo l’esempio di Cristo, che è un modello tanto per il marito quanto per la moglie (23, 25). E la intensità del rapporto sarà tale che il marito e la moglie non potranno più pensare ad agire in termini di uno contro uno, ma di due insieme.

            Il lungo discorso che Paolo fa in questo brano della lettera agli Efesini (che in realtà era una circolare) riguardo al marito e alla moglie cristiani, è riassunto in due brevi versetti della lettera ai Colossesi (che, come abbiamo visto nell’Introduzione, fu scritta contemporaneamente ad essa): Mogli, siate soggette ai vostri mariti, come si conviene nel Signore. Mariti, amate le vostre mogli, e non v’inasprite contro a loro (Colossesi 3: 18,19). La significativa espressione nel Signore sta a ricordare che per il credente le relazioni di coppia devono essere considerate dal punto di vista di questa fondamentale relazione con Cristo.

            Il legame matrimoniale sarà dunque così forte e profondo, che Paolo lo paragona addirittura a quello che esiste fra Cristo e la Sua Chiesa. (Si inserisce qui una meravigliosa illustrazione della Chiesa. E’ di grande interesse notare l’abisso tra le deficienze della Chiesa quali attualmente ci appaiono  -  dispersa, nascosta, divisa, infedele, corrotta  -  e le perfezioni descritte nel v. 27   -  gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, santa e irreprensibile  - . Estendendo la considerazione che l’Apostolo fa nel v. 32, possiamo dire che veramente “questo mistero è grande!”).

            Ma il discorso su Cristo e la Chiesa da parenetico (parènesi =  esortazione, ammonizione) si fa teologico, e pertanto richiede un certo sforzo per essere seguito. Paolo ha in mente il matrimonio di Dio con Israele, di cui aveva parlato Ezechiele (16:7 ss), matrimonio seguito da un abominevole tradimento dell’amata; e tuttavia un matrimonio che sarà ristabilito in tutta la sua dignità in tempi futuri, secondo Osea (2:16) ed Isaia (54:4 ss; 62:4 ss). La relazione di Cristo con la Sua sposa, la Chiesa, è dunque vista da Paolo come l’adempimento di quella profezia: l’era della Legge ha lasciato ormai il posto ad un’epoca nuova, nella quale il Celeste Sposo fa dono di Sé alla sposa per amore (25), e lo scopo e l’effetto della Sua opera sarà di togliere questa sposa (la Chiesa) dalla sfera del peccato, portandola in quella della santità (27).

            L’applicazione dell’insegnamento teologico sfocia nella strana espressione amare le mogli come i propri corpi, a proposito dell’amore dei mariti. (Paolo vuol mantenersi aderente all’analogia, e poiché Cristo ama la Chiesa, così egli parla dei mariti che devono amare le mogli, e non dice mai alle mogli che esse devono amare i loro mariti; ma, ripetiamo, questo ragionamento non deve fuorviarci: il dovere dell’amore è reciproco). I verbi che Paolo usa, nutrire e curare teneramente (29), significano grande sollecitudine, protezione, affetto, e tangibile e pratico sostentamento. (Essi erano stati impiegati nell’Antico Testamento, a proposito della sollecitudine di Dio per il Suo popolo, cfr Isaia 1:2). Come i loro propri corpi: la cura di se stessi non è un sentimento passeggero, ma qualcosa di innato in ogni essere umano. E’ la legge naturale dell’autoconservazione. Ora, dal momento che i due diverranno una stessa carne (31), il marito che non cura la moglie è come se odiasse se stesso (la stessa cosa vale per la moglie nei riguardi del marito). Pensare ed agire in modo autonomo ed egoistico, è dunque la negazione stessa del legame matrimoniale.

            Concludendo, merita di rilevare che Paolo non fa riferimento in questo brano all’amore naturale (eros), con tutte le sue connotazioni affettive e sessuali (che pure è presente e sottolineato in tanti altri passi della Scrittura). Egli vuole parlare soltanto dell’amore cristiano (agàpe), il cui esempio supremo è in Cristo; amore che cerca in primo luogo il bene della persona amata, e non la soddisfazione che la relazione con l’altra persona può procurargli.

 

            2.  La relazione tra padri e figli  (Efesini  6: 1-4)

 

            Innanzitutto, i rapporti tra i genitori cristiani e i loro figli devono essere regolati nel Signore, cioè nell’amore, nell’umiltà e nell’ascolto della Sua Parola.

            Quanto ai figli, la loro ubbidienza deve essere governata dal fatto che essi stanno nella posizione di figli (“perché ciò è giusto”, v. 1). Ma questa è un’ubbidienza accettabile soltanto se si ritiene che la signoria di Cristo sia l’interesse supremo della vita!.

            Sulle tecniche dell’educazione sono stati scritti innumerevoli libri. Di volta in volta, in ambiente cristiano, sono stati propagandati i sistemi coercitivi, legati alla saggezza del buon tempo antico, citando a sostegno ben noti passi biblici, quali “Non risparmiare la verga...”, ecc. All’estremo opposto, troviamo la deleteria filosofia del rispetto della libertà di scelta, secondo la quale l’individuo non dovrebbe essere costretto e condizionato in nessun modo, nemmeno nell’età infantile.

            Senza ombra di dubbio, il tema che Paolo affronta in questo brano ha una forte rilevanza sociale. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati di un decadimento dei valori della famiglia, che stanno deteriorando anche i rapporti sociali. La “mancanza di affetto naturale” e la “disubbidienza ai genitori” vengono identificate da Paolo come cause della depravazione morale (cfr Romani 1:30,31; 2 Timoteo 3:2).

            Tuttavia, la pur doverosa ubbidienza dei figli deve essere considerata accanto ad un’educazione dei genitori che rifugga da dannose durezze ed ostentazioni autoritarie (v. 4). Il genitore deve stare in guardia, in modo da non scoraggiare il figlio facendo richieste irragionevoli , o avendo un comportamento troppo brusco, o umiliando il figlio in presenza di altri, o trattando il figlio in qualsiasi altro modo che manchi di comprensione. L’eccessiva severità può abbatteretalmente il morale che il figlio perderebbe tutto il suo coraggio in una lotta impari. L’educazione deve mirare piuttosto, e soprattutto con l’esempio, ad allevare e formare nel timore del Signore (cioè nel rispetto della volontà di Dio).

                (Varie difficoltà possono sorgere quando i figli ricevono ordini contrari alla loro coscienza. Questo accade, per esempio, quando genitori non credenti si oppongono ai figli che hanno deciso di  seguire la via della fede. Ma Paolo sta parlando soltanto dei rapporti in una famiglia cristiana!).

                Senza voler essere categorici, prendiamo nota che, nel passo esaminato, non sono considerate alternative alla funzione dei padri (e delle madri). Questo ci deve far riflettere, di fronte alla moderna tendenza di delegare l’educazione morale dei figli a strutture specializzate esterne (scuola in genere, scuola domenicale, ecc.).

 

            3.   I rapporti di lavoro   (Efesini  6: 5-9)

 

            La trattazione di Paolo riguarda in modo specifico la relazione tra padroni e schiavi. Il soggetto viene sviluppato anche nella lettera ai Colossesi, per cui, a scopo di confronto, riportiamo fianco a fianco i due testi.

 

 

Efesini 6:5-9

 

Colossesi 3:22 - 4:1

 

 

Servi, ubbidite ai vostri signori secondo la carne, con timore e tremore, nella semplicità del cuor vostro, come a Cristo,

 

non servendo all’occhio come per piacere agli uomini, ma, come servi di Cristo, facendo il voler di Dio d’animo;

 

servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini;

 

sapendo che ognuno, quand’abbia fatto qualche bene, ne riceverà la retribuzione dal Signore, servo o libero che sia.

 

 

E voi, signori, fate altrettanto rispetto a loro; astenendovi dalle minacce,

 

sapendo che il Signore vostro e loro è nel cielo,

 

 

e che dinanzi a lui non v’è riguardo a qualità di persone.

Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne, [con semplicità di cuore, temendo il Signore *];

 

 

non servendoli soltanto quando vi vedono come per piacere agli uomini [*].

 

Qualunque cosa facciate, operate di buon animo, come per il Signore, e non per gli uomini;

 

sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità.

[**]

 

Padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo,

 

 

sapendo che anche voi avete un Padrone nel cielo.

[Servite a Cristo il Signore!

 

Poiché chi fa torto riceverà la retribuzione del torto che avrà fatto; e non ci son riguardi personali  **]

 

 

      (Nel testo di Colossesi sono state effettuate alcune trasposizioni evidenziate dagli asterischi)

 

            La schiavitù era veramente un grosso problema per i cristiani dell’epoca apostolica: lo schiavo era considerato un bene mobile, poco differente dall’animale da soma e perciò privo di qualsiasi diritto. Paolo non incita gli schiavi a ribellarsi (sarebbe stata un’azione suicida nel mondo dell’Impero Romano del 1° secolo, ove la schiavitù era stabilita per legge); egli tuttavia li considera come persone. Infatti Paolo si rivolge agli schiavi cristiani come a membri responsabili nella chiesa; e non si limita ad emanare ordini e proibizioni, ma fornisce anche spiegazioni, presupponendo che coloro che ascolteranno la lettura della sua lettera saranno in grado di comprendere e di fare scelte morali.

            Possiamo ravvisare nella trattazione di Paolo tre principi generali:

  -  Il principio più importante è la signoria di Cristo. Essa sarà in grado di trasformare la qualità del servizio reso, e darà coraggio allo schiavo che dovesse sopportare un duro trattamento. Inoltre, la signoria di Cristo metterà un freno alla tendenza del padrone ad essere ingiustamente oppressivo.

  -  Il secondo principio, già visto prima, è quello di considerare gli schiavi come persone.

  -  Il terzo principio è quello della reciprocità: la richiesta di una ubbidienza completa da parte degli schiavi ha come contropartita un trattamento onesto (giusto ed equo) da parte dei padroni.

 

            Mutati i termini, le esortazioni di Paolo conservano ancora oggi tutto il loro valore. Quante volte, come lavoratori dipendenti, ci siamo comportati bene solo in apparenza, “per servire all’occhio”! (v. 6). L’esortazione è perentoria: “Dovete prestare la vostra opera come se serviste il Signore!” (v. 7). E se per caso, nella scala gerarchica del lavoro, abbiamo a nostra volta dei dipendenti, cioè siamo superiori di qualcuno, non abusiamo dell’autorità che ci è stata concessa, umiliando e minacciando gli altri!. Che cosa siamo, in fondo, noi e loro, di fronte all’autorità del Supremo Padrone, il Signore che è in cielo?