La conversione e l'inizio della carriera di Paolo

            La strada per Damasco

 

            La conversione di Saulo sulla via di Damasco (Atti 9:1-22) fu un evento cruciale nella vita del futuro Apostolo dei Gentili, ma anche punto di svolta di tutta la storia della diffusione del Cristianesimo nel mondo.

            Saulo era dunque un giovane fariseo, nativo di Tarso in Cilicia.

 

            La Cilicia era una regione montuosa del sud-est dell’Anatolia, ai piedi della catena del Tauro. Le colline ospitavano vasti allevamenti di capre, che fornivano pelli e pelo rigido atti a confezionare indumenti e tende. Lo stesso Saulo aveva imparato il mestiere di fabbricante di tende. Da Cilicia deriva la parola italiana cilicio (tramite il latino cilix), che indica un indumento rigido confezionato con lana di capra.

 

            Quando Saulo era arrivato a Gerusalemme per studiare ai piedi del rabbino Gamaliele (At 22:3), forse non era passato molto tempo dalla crocifissione di Gesù, avvenuta nell’anno 30. Non sembra che Saulo prestasse all’inizio soverchia attenzione alla predicazione dei discepoli del Cristo, salvo poi sentirsi portato a seguire le indicazioni del Sinedrio, quando questo decise di stroncare con la forza il Cristianesimo nascente (il testo di Atti 8:1 precisa infatti che il giovane Saulo era completamente d’accordo con gli uccisori di Stefano). Sempre più immerso nell’azione repressiva, lo vediamo poi “devastare la chiesa”, trascinandone in prigione i membri (8:3), ed infine proporsi presso il Sinedrio per un’azione persecutoria nella lontana Damasco, dove alcuni membri della sinagoga locale si diceva stessero seguendo la nuova dottrina (9:1,2). Correva allora l’anno 36.

 

            Damasco distava da Gerusalemme circa 240 km. Si trattava quindi di effettuare un viaggio di alcuni giorni, che Paolo (da ora in poi lo chiameremo anche così, anche se questo nome viene usato solo a partire da Atti 13:9) fece con una scorta armata.

 

            In generale, il tracciato delle strade antiche della Palestina-Siria è noto. Tuttavia le strade romane che ci sono familiari, col loro tipico basolato di lastroni poligonali, compaiono solo nel 2° secolo, con l’eccezione forse della strada costiera che collegava Antiochia a Tolemaide (Acco). E’ vero che Flavio Giuseppe parla di corrieri dell’esercito romano che percorrevano le strade della Palestina all’epoca della prima rivolta giudaica (66-70), ma dobbiamo presumere che esse fossero in linea di massima mal tenute, e praticabili soltanto per una parte dell’anno.

            La rete stradale romana, nel periodo del massimo sviluppo dell’impero, si estese per decine di migliaia di chilometri. Quando le strade lo consentivano, si poteva viaggiare su carri a quattro ruote, trainati da buoi o cavalli (così viaggiava il ministro etiope, Atti 8:28). Alcuni carri erano anche attrezzati per trascorrervi la notte (carruca dormitoria, vere carrozze letto!). Tuttavia non fu certo questo il caso di Paolo, che compì la maggior parte dei suoi percorsi terrestri a piedi o a dorso d’asino.

 

            Riprendendo il racconto sulle vicende di Paolo, leggiamo che venne fulminato da una visione celeste in prossimità di Damasco (v. 3) e, caduto a terra, sentì la voce di Gesù dal cielo che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”.

            Negli Atti il racconto di questo episodio è riferito altre due volte: quando Paolo parlò ai Giudei dopo il suo arresto a Gerusalemme (Atti 22:6-10), nell’anno 57; e poi quando Paolo lo illustrò al re Agrippa durante la sua prigionia a Cesarea (Atti 26:12-18), nell’anno 59.

            E’ interessante osservare che nell’ultimo resoconto è completata la frase di Gesù con quest’aggiunta: “Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo!” (Atti: 26: 14b).

 

            La traduzione TILC usa una parafrasi per spiegare il significato di queste parole che sono legate ad un’immagine dei lavori agricoli: “Perché ti rivolti come fa un animale quando il suo padrone lo pungola?”.

 

            Veniamo così a sapere che la conversione di Paolo non fu un fatto improvviso, perché che lo Spirito Santo lo stava pungolando  già da parecchio tempo.

 

            Riportiamo in sinossi i tre passi col dialogo fra Gesù e Paolo:

 

Atti 9:4-7

Atti 22:7-10

Atti 26:!4-18

 

  Caduto in terra [Paolo] udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Egli domandò: “Chi sei Signore?”. E il Signore: “Io sono Gesù, che tu perseguiti. Alzati, entra nella città, e ti sarà detto ciò che devi fare”.

  Gli uomini che facevano il viaggio con lui rimasero stupiti, perché udivano la voce ma non vedevano nessuno.

 

[Dal racconto di Paolo ai Giudei, al momento del suo arresto a Gerusalemme: anno 57]

  “Caddi a terra e udii una voce che mi disse: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Io risposi: “Chi sei, Signore?”. Ed Egli mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Coloro che erano con me videro sì la luce, ma non intesero la voce di colui che mi parlava. Allora dissi: “Signore, che devo fare?”, e il Signore mi disse: “Alzati, va’ a Damasco, e là ti saranno dette tutte le cose che ti è ordinato di fare”.

 

[Dal racconto di Paolo al re Agrippa, mentre era prigioniero a Cesarea; anno 59]

  “Tutti noi cademmo a terra, e io udii una voce che mi disse in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrare contro il pungolo”. Io dissi: Chi sei, Signore?”. E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. Ma àlzati, e sta in piedi perché per questo ti sono apparso: per farti ministro e testimone delle cose che hai viste, e di quelle per le quali ti apparirò ancora, liberandoti da questo popolo e dalle nazioni, alle quali io ti mando per aprire loro gli occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ricevano, per la fede in me, il perdono dei peccati e la loro parte di eredità tra i santificati”.

 

            Come si vede, il terzo resoconto contiene anche un chiaro riferimento alla missione che il Signore avrebbe affidato a Saulo, facendone l’Apostolo dei Gentili.

            L’apparizione sulla Via di Damasco segnò per sempre la vita di Paolo. Egli in seguito conterà gli anni partendo da quell’episodio (cfr. Ga 1:18; 2:1), e lo ricorderà come una delle apparizioni del Risorto, simile alle altre che Gesù aveva operato prima dell’Ascensione (cfr. 1 Co 15:8,9).

           

            L’incontro con il discepolo Anania a Damasco

 

            Quando Saulo si risollevò da terra, si accorse di essere diventato cieco. Venne allora condotto dai suoi compagni nella città di Damasco, dove si incontrò con un discepolo di nome Anania, ricuperò la vista, fu da lui battezzato e ricevette lo Spirito Santo.

            E’ interessante notare la rivelazione che ricevette Anania dal Signore sulla missione futura di Paolo. Disse Gesù ad Anania: “Va’ [cioè, non aver paura], perché egli [Paolo] è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli [cioè i Gentili] (v. 15). (N. RIV.).

            La versione Diodati recava: “Va, perciocché costui mi è un vaso eletto, da portare il mio nome ecc.”

            Paolo stesso si convinse in seguito che il Signore lo aveva predestinato per quella missione speciale ed unica: “Io ero particolarmente zelante nelle tradizioni dei miei padri. Ma Dio che mi aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunziassi fra gli stranieri” (Ga 1:14,15).

 

            La predicazione a Damasco

 

            Paolo però non cominciò a predicare ai Gentili che dopo alcuni anni dalla sua conversione (ciò avvenne circa nell’anno 40, ad Antiochia). Dapprima egli si rivolse soltanto ai Giudei. Il v. 20 dice che a Damasco egli si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Cristo. Non ebbe bisogno di essere istruito da nessuno, poiché già conosceva a fondo gli argomenti di quel cristianesimo che voleva distruggere (aveva infatti ascoltato con attenzione il discorso di Stefano!). Ma presto da persecutore diventò perseguitato; e per scampare alla morte fu costretto a farsi calare in una cesta fuori dal muro di cinta della città, le cui porte erano tutte attentamente sorvegliate (9:25). Cfr. 2 Co 11:32,33).

 

            Ben poco è rimasto della Damasco del 1° secolo, salvo la Via detta Diritta (9:11), che taglia la città da est a ovest e conserva ancora notevoli resti del doppio colonnato che la fiancheggiava. Però esiste ancora una casa a sbalzo sui bastioni (di epoca assai posteriore all’episodio narrato) che viene mostrata ai visitatori per far capire in che modo Paolo poté essere calato fuori delle mura e fuggire dalla città.

 

            Dal racconto di Atti apprendiamo che la fuga di Paolo nella cesta avvenne “dopo molti giorni” dalla sua prima predicazione a Damasco. In effetti, come riferirà lui stesso ai Galati (1:16,17), Paolo aveva lasciato Damasco una prima volta di sua libera iniziativa, per andare a trascorrere un periodo di riflessione in Arabia. Probabilmente Paolo aveva bisogno di pensare a tutta quanta la sua posizione alla luce della rivelazione che aveva ricevuto. La cosa più straordinaria era che cominciava a rendersi conto che Dio lo aveva scelto fin dal seno di sua madre, per essere uno strumento per portare il Vangelo fino alle estremità del mondo. Era veramente il caso di fermarsi un po’ di tempo a riflettere! E per farlo, non gli erano necessari i consigli di qualcuno, ma la quiete: “Non mi consigliai con nessun uomo”(N.RIV.); “non mi consigliai con carne e sangue” (RIV.), (Ga 1:16b).

 

            Forse gli saranno tornate in mente le parole del suo maestro Gamaliele (anche lui un discepolo occulto?), quando cercò di mettere in guardia il Sinedrio dal perseguitare i discepoli di Cristo: “Tenetevi lontani da questi uomini, perché se questo disegno o quest’opera è dagli uomini, sarà distrutta; ma se è da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio”. (E’ il Consiglio di Gamaliele, Atti 5:33-42).

            Ed infatti questa era stata la personale esperienza di Paolo: si era messo a combattere contro Dio, ed era stato fermato.

 

            Dobbiamo fare attenzione al nome Arabia. Esso non indica la penisola che oggi conosciamo come tale. Piuttosto, designava una parte della regione dei Nabatei, che comprendeva anche la città di Damasco, e che era sottoposta al governo del re Areta IV, come vedremo fra poco. (Quindi, col termine Arabia, potrebbe essere stato indicato anche solo un sito solitario nelle vicinanze di Damasco. Tuttavia, non si può escludere che Paolo abbia trascorso quel periodo di meditazione anche più lontano, forse addirittura nella capitale Petra!).

 

            Poi, passato un certo tempo (qualche mese o forse anche un paio d’anni), ecco che Paolo fa ritorno a Damasco per riprendere la sua ardente predicazione, ma questa volta i Giudei della città sanno guadagnare dalla loro parte il favore del governatore (gr. etnarca) del re Areta per farlo uccidere. Ed è a questo punto che va collocata la fuga nella cesta. Il riferimento al governatore del re Areta si trova in 2 Corinzi 11:32,33, dove Paolo racconta lo stesso episodio di Atti 9:25 con qualche dettaglio in più.

             L’analisi comparata dei passi di Atti, Galati e 2 Corinzi ci permette così di ricostruire il soggiorno di Paolo a Damasco , collocandolo nel contesto storico che oggi ci è noto attraverso le fonti letterarie e le ricerche archeologiche. Sappiamo infatti che il re Areta IV aveva governato la patria dei Nabatei, che si estendeva dal Mar Rosso all’Eufrate, dal 9 a.C. al 40 d.C. (Areta IV aveva meritato il bel soprannome greco di Filodemo, cioè “colui che ama il suo popolo”.

            La capitale del regno dei Nabatei era Petra (chiamata Requem da Flavio Giuseppe), la splendida “perla rosa” del deserto, che così tanto oggi affascina i visitatori. Areta IV era anche quello che aveva dato in sposa una figlia a Erode Antipa, che poi la ripudiò per prendersi Erodiada, la moglie di un suo fratellastro. Siccome Areta regnò fino al 40, la fuga di Paolo da Damasco va dunque collocata prima del 40. Molti studiosi ritengono che essa ebbe luogo nell’anno 38.

            Quanto ai Nabatei, oggi sappiamo che essi avevano il controllo assoluto di alcune importanti strade carovaniere. Erano eccellenti ceramisti, ma soprattutto abili ingegneri idraulici. Esperti nello scavo delle cisterne, avevano anche inventato sistemi ingegnosi per l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua, per mezzo di dighe e canali. Le scoperte archeologiche hanno mostrato come essi irrigavano le loro aziende agricole, sebbene alcune tecniche idrauliche non siano ancora state comprese. Tuttavia, oltre ad essere versati in idraulica e in agronomia, i Nabatei erano forse anche esperti nell’arte di arricchirsi a spese degli altri. Alcuni studiosi, un po’  maliziosamente, ritengono che la loro prosperità provenisse dalle estorsioni, più che dalle tasse, a cui venivano sottoposte le carovane che viaggiavano lungo la Via dell’Incenso. (E’ così chiamata la grande carovaniera che si snodava dalla penisola Arabica meridionale   -  attuale Yemen  -  fino a Petra, diramandosi poi per raggiungere direttamente il Mediterraneo a Gaza, o, più a nord, fino ad Antiochia).

 

            Quanto a Petra, la capitale scoperta nella prima metà del secolo scorso, per dirla con uno dei primi esploratori (Laborde), “essa è il più singolare spettacolo, il più magico quadro che la natura e gli uomini, nella loro vanitosa ambizione, abbiano destinato alle future generazioni”. I suoi monumenti, più che costruiti, furono scavati nella roccia, e l’arte rupestre non ha mai raggiunto come a Petra una tale audacia e una così perfetta bellezza. Ma come si presentava la città all’epoca del suo splendore? La popolazione, che comprendeva alcune migliaia di abitanti, certamente aveva case, stalle e depositi per le merci. Ma di quelle costruzioni, fatte di terra legno e frasche, non è rimasta alcuna traccia! Ai visitatori di oggi si presenta una città spoglia di tutto ciò che riguardava il quadro della vita quotidiana, mentre sono rimasti, perché scavati nella pietra, solo i sepolcri dei grandi personaggi e qualche monumento sacro dedicato agli dèi. (I monumenti di Petra, che conobbe la sua età d’oro dal 50 a.C. al 70 d.C.  -  la cui architettura è stata paragonata talvolta al barocco italiano per l’abbondanza della decorazione  -  possono richiamare l’immagine dei grandi edifici che certamente all’epoca esistevano  in due illustri città contemporanee, Alessandria e Antiochia, e che purtroppo sono completamente scomparsi).

            Le precedenti osservazioni sono da tener presenti tutte le volte che si visita un luogo cosparso di resti archeologici e si tenta di ricostruire con l’immaginazione la vita della gente che vi dimorava.

 

            La visita a Gerusalemme e il ritiro a Tarso

 

            Fuggito da Damasco, Paolo decise di andare a Gerusalemme, dove finalmente avrebbe potuto conoscere Pietro (Galati 1:18). Erano passati ormai oltre due anni da quando era stato folgorato dalla visione celeste e si era convertito, ma a Gerusalemme fu accolto con diffidenza, per i suoi trascorsi di persecutore non ancora dimenticati.

            Dice il testo di Atti 9:26 che quando tentò di unirsi ai discepoli (cioè ai Giudei convertiti al Cristianesimo), tutti avevano paura di lui.

            La situazione cambiò in parte per l’intervento di Barnaba, uno dei primi convertiti che godeva della fiducia degli Apostoli (Atti 4:36,37), il quale aveva ascoltato la predicazione di Paolo a Damasco e se ne fece garante (Atti 9:27).

            Paolo riferisce ai Galati che si fermò in tutto a Gerusalemme quindici giorni, e non vide altri che Pietro e Giacomo, il fratello del Signore, (Ga 1:18,19). E in quella circostanza si recò pure nel Tempio, dove fu rapito in estasi e vide di nuovo il Signore (il racconto è fatto dallo stesso Paolo ai Giudei in occasione del suo arresto nell’anno 57, cfr. At 22:17-21).

            Il racconto del colloquio tra Gesù e Paolo nel Tempio è di estremo interesse. Dice Gesù: “Affrèttati, esci presto da Gerusalemme, perché essi non riceveranno la tua testimonianza su di me”. (Cioè, non indugiare, non è questa la missione per cui ti ho scelto). Risponde Paolo: “Signore, essi sanno che io incarceravo e flagellavo nelle sinagoghe quelli che credevano in te; quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di coloro che lo uccidevano”.

            Quel ricordo gli bruciava tremendamente dentro: come avrebbe potuto un persecutore con quei trascorsi così terribili ottenere credito tra i giudeo-cristiani? Molti anni più tardi, alla fine della sua carriera, Paolo si renderà conto di essere stato oggetto di una grazia particolare:

            “Io ringrazio colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù, nostro Signore, per avermi stimato degno della sua fiducia, ponendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; ma misericordia mi è stata usata, perché agivo per ignoranza nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro è sovrabbondata con la fede e con l’amore che è in Cristo Gesù. Certa è questa affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Ma per questo mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me, per primo, tutta la sua pazienza, e io servissi di esempio a quanti in seguito avrebbero creduto in lui per avere vita eterna” (1 Ti 1:12-16)..

            Tuttavia la risposta di Gesù è perentoria: “Va’ [via da Gerusalemme], perché io ti manderò lontano, tra i popoli”.

 

            Così, dopo un breve periodo di collaborazione con i cristiani di Gerusalemme, Paolo fu obbligato a lasciare la città, perché i Giudei, giudicandolo non senza ragione un traditore, cercavano addirittura di ucciderlo. Alcuni fratelli coraggiosi lo accompagnarono allora a Cesarea, dove lo misero su una nave che faceva vela per Tarso in Cilicia, sua città natale (Atti 9:28-30). E a Tarso Paolo rimarrà inattivo per circa due anni (dal 38 al 40), finché Barnaba non lo andrà a chiamare per portarlo con sé ad Antiochia, dove per la prima volta l’evangelo aveva cominciato ad essere predicato anche ai Greci(At 11: 19-26). Si veniva a spalancare così finalmente, davanti a Paolo, dopo un lungo periodo di preparazione, la strada della missione fra i Gentili, per la quale il Signore lo aveva scelto e lo aveva folgorato nell’anno 36 sulla via di Damasco.