Studio sulla Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi

 

            Non è possibile capire le due lettere ai Tessalonicesi se non si fa riferimento alla fondazione della chiesa di Tessalonica e alle successive vicende, come sono raccontate nel libro degli Atti.

            Sappiamo da Atti 17:10 che Paolo, durante il suo secondo viaggio missionario, dovette lasciare Tessalonica in circostanze drammatiche, dopo avervi predicato il Vangelo per un periodo di qualche settimana (o forse di qualche mese). A Tessalonica Paolo aveva lavorato, per non essere di peso a nessuno (1 Tes 2:9).

            Una piccola chiesa si era frattanto venuta formando (la seconda su territorio europeo; la prima fu quella di Filippi). I Tessalonicesi, che avevano accettato il messaggio evangelico con entusiasmo, avrebbero avuto ovviamente bisogno di ulteriore istruzione e assistenza spirituale, e Paolo si rammaricava di non aver potuto portare avanti personalmente quest’ufficio.

            E’ noto che Paolo, dopo aver predicato a Berea, si era recato ad Atene. Da 1 Tes 3:1,2 sappiamo che era con lui Timoteo, che l’Apostolo rimandò indietro a Tessalonica, perché era molto preoccupato della situazione di quei credenti, rimanendo quindi solo ad Atene. Poi, sempre da solo, si recò a Corinto, dove fu raggiunto dopo un certo tempo da Silvano (Sila) e Timoteo.

            Le notizie che costoro gli portarono sulle chiese della Macedonia non erano tutte positive. Da qui il movente della lettera a noi nota come “Prima Tessalonicesi”, che comunque fu la prima fra tutte le lettere scritte dall'Apostolo che ci siano state conservate (ed anche il primo fra i libri del Nuovo Testamento).

 

            Paolo incomincia col lodare i credenti di Tessalonica per le loro virtù cristiane, e per essere diventati di esempio a tutte le altre chiese. Sapendo che essi si trovavano sottoposti a gravi persecuzioni sia da parte dei Giudei che da parte dei Greci, li incoraggia a non venir meno nella fede. Dall'analisi dei successivi ammonimenti e insegnamenti dell'Apostolo possiamo poi ipotizzare quali fossero i problemi spirituali che travagliavano quella comunità.

            Si erano introdotti dei falsi predicatori con dottrine non corrette riguardo al ritorno del Signore; allora alcuni tra i credenti, ritenendo imminente tale evento, avevano così addirittura smesso di lavorare creando disturbo e dando cattiva testimonianza verso quelli di fuori.

            Altri, ai quali erano morti dei congiunti, erano fortemente angustiati riguardo alla loro sorte, compromettendo la serenità di tutta la chiesa.

            Inoltre i conduttori o anziani della comunità (forse Giasone, Aristarco, e Secondo, cfr. Atti 20:4), evidentemente di non ancor matura esperienza, non avevano sempre usato tatto e pazienza nel riprendere i disordinati; si era così creato qualche dissapore tra i credenti e un certo discredito verso gli stessi conduttori (cfr. 1 Tes 5:12).

            Qualcuno infine non aveva ancora abbandonato le abitudini licenziose dei pagani.

            E’ notevole constatare come in questa lettera l'Apostolo abbia saputo mantenere unite la fermezza del padre e la tenerezza della madre, secondo quanto aveva già fatto di persona (cfr. 1 Tes 2:6-12).

 

            1° capitolo della Prima Lettera.

 

            Paolo ringrazia Dio per i propri fratelli.

 

            E' una cosa sorprendente! Paolo asserisce di ringraziare continuamente Dio per i fratelli di Tessalonica! (2). L’Apostolo dunque riusciva a scorgere in loro dei lati positivi, al di là degli indubbi difetti e lacune che lo avevano indotto a scrivere la lettera.

            Cerchiamo di mettere anche noi in pratica questa lezione, anziché essere soltanto formalisti ed esigenti nei riguardi dei nostri fratelli.

 

            Fede, amore, speranza.

 

            Consideriamo le conseguenze che queste tre grandi virtù cristiane avevano prodotto nei Tessalonicesi (3). Quei fratelli avevano, nella loro semplicità, una fede che non si limitava alle parole ma produceva "opere”; anche l'amore si manifestava attraverso attività pratiche a pro' degli altri, che richiedevano “fatiche”; la speranza, infine, era "costante”, cioè non li faceva vacillare di fronte alle circostanze più avverse.

 

            Gli effetti della conversione

 

            Il testo dice che i Tessalonicesi si erano "convertiti dagli idoli a Dio per servire l'Iddio vivente e vero e per aspettare dai cieli suo Figlio” (9). Effettivamente, quei credenti avevano sperimentato la potenza del Vangelo in loro stessi ed avevano cambiato vita. Paolo dice addirittura che essi erano diventati imitatori suoi e del Signore (6).

            Quando questo capita veramente, porta a due risultati:

   - è la migliore evangelizzazione possibile, la testimonianza vivente del Vangelo;

   - costituisce un esempio per gli altri credenti (7).

 

            Signore, aiutaci ad essere nella nostra vita quotidiana un esempio ed una testimonianza.

 

            Capitolo 2: 1-16

 

            La predicazione in Tessalonica

 

            Dalla lettura di Atti 17:1-9 apprendiamo che Paolo e Sila, dopo essere stati liberati miracolosamente dal carcere a Filippi, si recarono a Tessalonica e vi predicarono il Vangelo. Dovevano avere veramente un gran coraggio per predicare ancora, dopo quello che avevano subito! Ma le loro fatiche portarono frutto. Paolo può veramente rallegrarsi dei risultati ottenuti: una nuova chiesa è nata, una nuova testimonianza è cominciata (1,2).

 

            Un servizio compiuto con disinteresse

 

            Ricordando quell’esperienza, l’Apostolo evidenzia tre tentazioni dalle quali deve guardarsi chi vuol servire il Signore:

  -  Aspirare ad un successo personale (4, 5). Paolo non ha cercato di piacere agli uomini, ma a Dio.

  -  Far pesare la propria autorità sugli altri (6 b). Paolo avrebbe potuto imporsi, in fondo ne aveva il diritto, ma preferì comportarsi con mansuetudine.

  -  Cercare un facile guadagno (9). Paolo aveva cercato di ricavare il sostentamento quotidiano sempre e soltanto dal proprio lavoro. Ciò gli permetterà di dire in seguito ai Tessalonicesi: “Vi esortiamo ... di lavorare con le vostre mani" (4:11).

 

            Tenerezza e fermezza

 

            I paragoni portati da Paolo (7,11) possono essere assai utili per noi. Paolo specifica che lui e Silvano ebbero per i nuovi credenti di Tessalonica tenerezza e affetto quali può avere una "nutrice" per i propri figli (7, 8). Erano pronti a "dare", e avrebbero dato anche la propria vita per loro.

            Si comportarono però anche con la fermezza e l'esigenza di "padri'' (11,12), esortando e scongiurando ciascun membro della chiesa nascente “a condursi in modo degno di Dio".

 

            Signore, se ci chiami a servirti, aiutaci ad unire la fermezza con la tenerezza, a saper dare anche noi stessi senza mai chiedere nulla.

 

            La Parola operante

 

Quando la Parola di Dio viene ricevuta e messa in pratica, manifesta una potenza che non può rimanere nascosta (13). (Nella Parabola del Seminatore Gesù aveva spiegato che chi riceve il seme in buona terra, porta sicuramente del frutto, Mat 13:23).

            A Tessalonica una gran moltitudine di Greci aveva accettato il messaggio di Paolo (Atti 17:4). Sembra, dal v. 14 del nostro testo, che costoro venissero perseguitati da altri Greci rimasti nel paganesimo. Ciò significa che coloro che avevano creduto non cercarono di passare inosservati, ma assunsero un atteggiamento di aperta opposizione verso i propri connazionali, i quali quindi presero a perseguitarli.

 

            Spesso ringraziamo il Signore perché ci fa vivere in pace in un paese dove c’è libertà. Non pensiamo però che la quiete di cui godiamo potrebbe anche derivare dal fatto che ci siamo mimetizzati in mezzo agli altri, e col nostro comportamento non provochiamo più nessuno?

 

                                                                                Davide Valente