LA PIENEZZA DEL TEMPO

 

            Letture:

 

             Ef 1: 3-12. Sottolineare le parole “eletti prima della creazione del mondo” (4), “il disegno

                               benevolo della sua volontà” (5,9), “quando i tempi fossero compiuti” (10).

             Ga 4: 4.  Sottolineare le parole “Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio”.

             Lu 1: 1-4. Sottolineare le parole “dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa

                             dall’origine” (3).

 

            Premessa

 

            E’ da poco passato dicembre. In quasi tutte le chiese cristiane in questo periodo si è parlato della nascita di Gesù. Però alcuni tra coloro che ritengono, giustamente, che Gesù non sia nato il 25 dicembre, e che comunque non sia da celebrare la sua nascita nel modo con cui si fa usualmente, hanno evitato di parlarne. Così va a finire che non se ne parla mai, né a Natale né in altri periodi dell’anno. Con una grave mancanza, ovviamente, ma soprattutto con una mancanza di insegnamento e di approfondimento delle verità che la Scrittura ci presenta.

            Quindi, con l’intento di andare più in profondità sugli insegnamenti della Scrittura, mi accingo a parlarne.

            Il Vangelo di Luca è uno dei due Vangeli (l’altro è Matteo) che parla della nascita e dell'infanzia di Gesù. Marco e Giovanni partono invece dall'inizio del suo ministero. Alcuni, constatando che due Vangeli parlano dell’infanzia di Gesù e due no, dicono che ciò dipende dal fatto che i racconti degli eventi di quando Gesù era bambino o adolescente non sono importanti per la storia della salvezza. Questo indubbiamente è vero. Ma io aggiungerei, correggendo in parte questa affermazione, che non sono indispensabili, perché ciò che è invece indispensabile per la salvezza è il racconto della sua passione, quando Egli si caricò dei peccati degli uomini e li espiò sulla croce. Però non si può dire che il racconto della nascita di Gesù non sia importante, altrimenti non ci sarebbe nella Scrittura; quindi faremmo bene a prenderne nota e a considerarlo nella sua giusta dimensione.

 

            Partire dall’inizio

 

            Dal breve prologo apprendiamo che l’evangelista Luca si rivolge ad un certo Teofilo, probabilmente un credente dalla fede un po’ vacillante. Dice pressappoco Luca: “Caro Teofilo, i fatti recenti che si riferiscono a Gesù (v.1), sono già stati raccontati da altri scrittori, specialmente da Matteo e Marco; tuttavia io te li voglio esporre nuovamente, partendo proprio dall’inizio, e dopo essermi accuratamente informato presso coloro che ne furono testimoni oculari (2). Lo faccio nel tuo interesse, affinché la tua fede sia rafforzata e confermata, essendo certo che tali fatti sono realmente accaduti” (4).

            In seguito Luca scriverà nuovamente a Teofilo, raccontando le vicende dei primi cristiani e della progressiva diffusione del Vangelo: è il libro che noi conosciamo come Atti degli Apostoli. Ad alcune di quelle imprese Luca aveva preso parte di persona, come accompagnatore e assistente di Paolo, il quale lo chiamava “il medico diletto”. Infatti l’attività normale di Luca (che noi conosciamo come narratore scrupoloso dei fatti di Gesù e degli Apostoli) era in effetti la medicina.

 

            La “pienezza del tempo”

 

            La nascita di Gesù è un evento che ha spaccato in due la storia dell'umanità. Non per nulla noi oggi consideriamo i fatti precedenti alla nascita di Gesù come “avanti Cristo”, e i fatti successivi alla nascita di Gesù come quelli “dopo Cristo”. In quasi tutto il mondo si usa questo modo di datare la storia. E quelli che proprio non ne vogliono sapere del Cristianesimo, anziché dire “avanti Cristo” e “dopo Cristo” dicono “avanti l’Era Volgare” e “dopo l’Era Volgare”, credendo così di evitare la questione; ma in effetti non fanno altro che ribadire un evento che ha segnato per sempre la storia dell’umanità.

            Abbiamo letto che ciò avvenne “quando i tempi furono maturi”, ossia “nella pienezza del tempo” (lo dice Paolo scrivendo ai Galati, 4:4). Nella pienezza del tempo, ciò accadde (“to pleroma tou chronou”). Era un evento che il Signore, nella Sua onniscienza, aveva programmato prima della creazione del mondo (Ef 1:3-12). Quando noi diciamo questo, ci perdiamo. Perché, che cosa fu la creazione del mondo, l’origine dei tempi, l’origine di ogni cosa? Noi non siamo capaci di concepire ciò che c’era “prima”; anzi, logicamente questa è un’espressione priva di senso. Eppure, “prima”, l’Onnipotente aveva programmato ogni cosa; e quando giunse la pienezza del tempo, ciò avvenne.

            E’ interessante considerare “come” il tempo raggiunse la pienezza. Si era andato formando da qualche decennio un conglomerato di nazioni unite sotto un potere centrale, che noi conosciamo come l'Impero Romano; e da pochi anni regnava a Roma, con poteri assoluti, Ottaviano Augusto, che si fece chiamare Cesare (dopo di lui tutti gli imperatori romani portarono questo nome). Era al potere Augusto imperatore, quindi, e sotto di lui, a sua insaputa, avvenne questo evento unico nella storia.

            Augusto ne fu compartecipe e artefice, seppure inconsapevole. Perché infatti questo imperatore, dice Luca,  aveva ordinato un censimento in tutto l’impero... (Luca 2:1).

 

            Una svolta nella storia di Israele

 

            Vediamo ora di dire ancora qualche parola sugli avvenimenti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù. Abbiamo visto che, partendo “dall’origine”, Luca inizia l’esposizione dei fatti. Il primo racconto che troviamo è quello della nascita di Giovanni Battista.

            Siamo a Gerusalemme, nel Tempio, all’ora della preghiera. Al sacerdote Zaccaria, marito di Elisabetta, compare l’angelo Gabriele (11,19), con un magnifico annunzio: a quella coppia anziana e sterile (7) sarà finalmente concesso da Dio un figlio. Ma la vera buona notizia è un’altra: nella persona di quel figlio si realizzerà l’antica profezia di Malachia (4: 5,6), che diceva che prima della venuta del Messia sarebbe riapparso sulla terra il profeta Elia, per trasformare i cuori del popolo (17). Infatti, come sappiamo, Giovanni Battista avrebbe svolto una funzione preparatoria, additando a tutti “Colui che gli veniva dietro”, cioè il Cristo, ovvero il Messia annunziato dai Profeti (per questo Giovanni Battista sarà definito il “precursore”). Col Tempio e col sacerdote Zaccaria siamo ancora nel clima dell’Antico Testamento, ma il messaggio dell’angelo apre una nuova epoca, di portata universale: infatti Gesù Cristo, a cui Giovanni dovrà preparare la strada, verrà a portare la salvezza non solo per Israele ma per tutto il mondo.

 

            Zaccaria: uno come noi

 

            A volte chiediamo a Dio il suo intervento, ma quando questo arriva facciamo fatica a riconoscerlo. (E’ tipico il caso dei credenti di Gerusalemme i quali facevano “fervide preghiere” perché Pietro venisse liberato dalla prigione, e poi, quando la serva annunzia che Pietro è lì, fuori della porta, la prendono per pazza, cfr. Atti 12:5,14,15). Così si comporta Zaccaria, e in fondo i suoi argomenti per non credere sono pieni di buon senso. Comunque, egli vuole un segno sicuro che confermi le parole dette dall’angelo (18). E questo segno gli sarà dato, ma contemporaneamente sarà pure una punizione  -  anche se temporanea  -  per la sua incredulità. Eppure Zaccaria, come sacerdote e persona “giusta” (6), era pur sempre tra i migliori della nazione d’Israele!

            Impariamo dunque a non dubitare delle infinite possibilità di Dio.

 

 

 

            Elisabetta: una gioia vissuta in disparte

 

            In Israele la sterilità veniva ritenuta un disonore (cfr. 1 Samuele 1: 5,6), e talvolta un castigo (cfr. 2 Samuele 6: 23). Si può quindi capire come la gente avesse preso l’abitudine di giudicare Elisabetta con disprezzo (“vergogna”, v. 25). Tutto ciò le riusciva profondamente umiliante, perché Elisabetta era anch’essa, come suo marito Zaccaria, “giusta e irreprensibile” (6). Ma ora finalmente la situazione è cambiata: è rimasta incinta, e potrebbe andare a strombazzarlo sulle piazze, come rivalsa sui suoi denigratori. Invece non lo fa. Decide di vivere la sua esperienza gioiosa ringraziando Dio in solitudine. Forse non vuole ostentare il suo caso, non vuole farsi maestra dicendo: “Il Signore mi ha finalmente premiata”. Saranno gli altri a doversene accorgere, al momento opportuno, quando l’evidenza chiuderà loro la bocca; e allora dovranno capire che il Signore l’ha fatta oggetto della sua grazia (infatti il nome Giovanni significa “il Signore ha fatto grazia”).

            Possiamo interpretare il v. 25 come un canto di gioia e di riconoscenza a Dio. Confrontandolo col Cantico di Maria, detto il Magnificat (46-55), di cui parleremo fra poco, qualcuno ha chiamato questo Canto di Elisabetta il Piccolo Magnificat.

 

            Maria, la madre piena di grazia

 

            Gabriele, l’illustre messaggero del Signore, lo ritroviamo ora in una umile casetta di uno sperduto paesino, Nazaret. La destinataria dell’annunzio è questa volta una giovane fidanzata, vergine e laica. (Il precedente annunzio era stato fatto ad un vecchio sacerdote, marito di una donna attempata e sterile). Ora l’angelo è venuto a dire a questa giovane di Nazaret che concepirà un figlio senza l’intervento di un uomo (è un medico che ci riporta la notizia!, 31,34-35). E’ il miracolo dell’Incarnazione divina: il Verbo di Dio che si fa carne (cfr. Giovanni 1:14a).

            La fanciulla dapprima è “turbata” (29,30), e possiamo ben comprenderne il motivo. Ma Gabriele subito la rassicura: ha trovato grazia presso Dio.

            Quella giovane in effetti non aveva merito alcuno. Spiace che oggi, nella chiesa cattolica, a Maria vengano attribuite caratteristiche e prerogative superiori a quelle del resto degli uomini. È un grosso errore, di cui il cattolicesimo è responsabile, e che distoglie l'attenzione dei cristiani dalla centralità di Cristo. Oggi, in alcune affermazioni della chiesa cattolica, Maria a volte è considerata a sé, al di là del bambino che all'inizio le veniva sempre posto in grembo e che doveva essere al centro dell'attenzione. Maria sta assumendo un ruolo di persona che ha importanza addirittura nella redenzione dell'umanità!

            Maria stessa sapeva di non avere meriti particolari. Infatti, quando riceve dall’angelo l'annuncio di una grazia divina particolare, pensa: "E perché proprio a me? Chi sono io?", ed incomincia ad avere paura. Ma l’angelo la tranquillizza subito, e allora ecco che Maria si fa attenta al messaggio: il figlio che concepirà e partorirà sarà il Figlio dell’Altissimo, e sarà destinato ad occupare il trono di Davide, con un regno che non avrà mai più fine (31,33).

            E’ evidente che la naturale reazione ad un simile annunzio sarebbe: “Incredibile! Non può essere!”. Maria però vuol saperne di più, e chiede: “Come avverrà questo, se non sono ancora sposata e non ho rapporti coniugali?” (34). Non è una dichiarazione di incredulità, ma una richiesta di chiarimento. E l’angelo le risponde, asserendo che nessun uomo avrà parte nella vicenda: sarà la potenza di Dio, mediante lo Spirito Santo, che consentirà a Maria di procreare.

            Possiamo facilmente osservare che, dal punto di vista umano, la spiegazione di Gabriele è ancora più difficile da accettare. Quindi ci può stupire che a questo punto Maria si dichiari disposta a compiere la volontà del Signore (38). Il fatto è che Maria “ha fiducia”. Non fa come Zaccaria che aveva vacillato nella sua fede e chiedeva un segno. Maria confida nella Parola di Dio, prende Dio in parola.

            Abbiamo detto che Maria non aveva alcuna prerogativa particolare, nessun merito: tutto è avvenuto per grazia! La grazia è un beneficio divino per il quale non abbiamo merito alcuno. Il Signore sceglie e fa grazia. Scelse Maria e le diede un compito bellissimo ed importante.

            Ricordiamoci dunque di questo insegnamento: il Signore ci ha chiamati e ci ha fatto grazia. (“Voi siete salvati per grazia”). Perché il Signore ha scelto noi e non ha scelto il nostro vicino di casa? A volte ce ne dimentichiamo: E’ perché il Signore ci ha fatto grazia. Mistero dell’onniscienza divina! La sua sovranità è assoluta: ci ha scelti e ci ha fatto grazia. Sì, ha consentito che ascoltassimo un giorno il Vangelo; ma ci ha fatto grazia!

 

            Due donne nella storia della salvezza

 

            E’ scritto che Maria si recò in fretta (39) a casa della sua parente Elisabetta, e rimase nascosta tre mesi presso di lei (56). La spiegazione si trova in Matteo 1:18,19: nelle sue condizioni, lo scandalo era da temere più della morte. Comunque, anche Elisabetta stava vivendo una esperienza particolare. Il soggiorno in coabitazione riuscì di conforto ad entrambe.

            Notiamo che fino a pochi mesi prima Elisabetta e Maria erano due donne qualsiasi, simili a molte altre. Ma ora Dio le ha scelte per il suo piano di salvezza. Il loro incontro è veramente sorprendente: è come il contatto tra l’Antico e il Nuovo Patto. Infatti, come Maria saluta Elisabetta, subito questa, ispirata dallo Spirito Santo, discerne ogni cosa. E mentre il bambino Giovanni le balza nel seno, rende omaggio alla parente assai più giovane, riconoscendo che il Signore si è incarnato in lei; e pronuncia le famose parole: “Benedetta sei tu fra le donne!” (42). Nel saluto di Elisabetta notiamo l’espressione: “Beata è colei che ha creduto” (45). Ancora una volta viene sottolineata l’importanza di credere nelle parole del Signore.

 

            Il Cantico di Maria

 

            E Maria eleva un cantico a Dio. E’ un cantico alla gloria dell’Onnipotente, con cenni alla misericordia e alla giustizia divine. In esso Maria magnifica il Signore (per questo è chiamato il Magnificat): "L'anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore, perché Egli ha guardato alla bassezza della sua serva" (1:46-48). Questo canto nella liturgia cattolica viene recitato spesso senza riflettere alle parole che contiene. Ma Maria, l'interessata, è conscia di non avere merito alcuno: “Egli ha guardato alla bassezza della sua serva”. Sa benissimo che Dio è il suo Salvatore. “Grandi cose mi ha fatte il Potente” (49). Quindi Maria non è per nulla orgogliosa, e non crede affatto di essere senza peccato.

            Il Cantico di Maria (46-55) affonda le sue radici nell’Antico Testamento. Lo possiamo confrontare col Cantico di Anna, 1 Samuele 1:10, ma non solo. Vi vengono impiegate delle espressioni che erano comuni al linguaggio degli Ebrei quando lodavano il Signore. Risentiamo per esempio la voce di Lea (Ge 30:13) che ha finalmente un figlio e lo chiama Ascer (Felice). Di un intervento divino per i poveri e gli umili aveva parlato il profeta Sofonia (fine del VII sec. a.C.) che prediceva la detronizzazione dei potenti di Gerusalemme e il riscatto dei poveri del Signore (So 3:11 ss). Nel Magnificat risuonano le preghiere dei Salmi. Maria ci offre un canto di vittoria, la lode a Dio per aver rovesciato i destini: umiliati i superbi, esaltati gli umili.

            Oggi i Cristiani dovrebbero coltivare la speranza e operare affinché il Magnificat possa diventare un giorno un universale coro di ringraziamento, se ai derelitti del mondo sarà fatta giustizia e consentita una “umana” esistenza.

 

            La rottura di una tradizione di famiglia

 

            Torniamo al racconto di Luca. I versetti seguenti ci danno un quadro colorito delle antiche usanze ebraiche: la circoncisione del figlio di Zaccaria all’ottavo giorno, la scelta del nome. Il nome avrebbe dovuto essere quello del padre, o almeno quello di un altro parente stretto. Così voleva la tradizione, e così tutti si aspettavano. E ne erano talmente sicuri, che cominciarono addirittura a chiamare il bambino Zaccaria. Ma ecco l’imprevisto, che viene ad infrangere la calma di quell’ambiente tradizionale. Elisabetta si oppone e dice perentoriamente: “Il suo nome non sarà affatto Zaccaria, il suo nome sarà Giovanni!”. E tra lo sconcerto dei parenti, i quali non ricordavano nessuno della loro cerchia che si chiamasse così, anche il padre, benché muto, si associa all’affermazione della moglie. Il dettaglio del vecchio sacerdote che scrive sulla tavoletta “Il suo nome è Giovanni” è il più vivace e realistico dell’intero racconto. Lapidariamente, Zaccaria vuol significare che Dio stesso aveva scelto quel nome, e nessuno, per nessuna ragione, potrà modificarlo. E in quel preciso istante, in conseguenza di quell’attestazione di fiducia nella Parola divina, la lingua di Zaccaria “si scioglie”, ed egli si può unire alla moglie nelle lodi e benedizioni al Signore.

 

            Potrebbe capitare anche a noi di avere dei parenti che, in perfetta buona fede, ci sottopongono a pressioni perché non abbiamo ad infrangere le tradizioni di famiglia. Talvolta occorre poter rispondere: “Ciò che mi state chiedendo è contrario a quello che “so” che il Signore vuole da me”.

 

            Il Cantico di Zaccaria

 

            Dopo i nove mesi di forzato silenzio, vediamo ora Zaccaria, ripieno dello Spirito Santo, elevare un Canto al Signore. In esso il vecchio sacerdote descrive mirabilmente l’azione di Dio verso il suo popolo, nel passato, nel presente e nel futuro. E, come nel caso di Maria, le parole del Cantovanno ben al di là delle circostanze del momento. Anche qui, l’esposizione è piena di riferimenti all’Antico Testamento. Zaccaria è infatti un sacerdote dell’Antico Patto, ed è importante per lui considerare che l’intervento di Dio nella storia del suo popolo, mandando un discendente della casa di Davide, non è altro che l’adempimento delle promesse che Dio aveva fatte in passato.

            Possiamo senz’altro essere d’accordo con lui: mandando Gesù nel mondo, Dio non ha affatto cambiato od abolito i suoi piani; li ha semplicemente “adempiuti”.

            Dice Zaccaria: nel passato Dio aveva fatto delle promesse ad Abramo (73) ed aveva stipulato un patto con i padri d’Israele (72). Ma il popolo infedele violò il patto, e per conseguenza fu abbandonato da Dio nelle mani dei suoi nemici (71).

            Contemporaneamente però i profeti avevano annunziato l’arrivo di una nuova era, in cui Dio avrebbe rinnovato il patto col suo popolo (cfr. Geremia 31:31-34; Ezechiele 37:21-28). Zaccaria riprende quei concetti, specificando che Dio, nella sua grande misericordia, manterrà il patto fatto ai padri (72,78): infatti, un periodo di pace è alle porte (79).

            Soprattutto, Zaccaria vuol preparare i suoi ascoltatori a riconoscere nel Messia che sta per arrivare dalla stirpe di Davide, quel potente Salvatore di cui avevano parlato i profeti (69). Tuttavia il popolo d’Israele, oppresso politicamente dai Romani, pensava che la salvezza dovesse riguardare l’affrancamento dal giogo straniero e la riconquista della libertà (71,79a). Cioè essi ignoravano in effetti che cosa si dovesse intendere per salvezza; e Zaccaria, anticipando la missione di suo figlio Giovanni, comincia a spiegarlo: la salvezza sarà di carattere spirituale, e consisterà nel perdono dei peccati (77).

            Questo cantico di Zaccaria, collocato all’inizio del Vangelo di Luca, costituisce pertanto il primo riconoscimento esplicito delle profezie dell’Antico Testamento riguardanti Gesù Salvatore.

 

            La nascita di Gesù  (Luca cap. 2)

 

            Ecco uno dei brani più cari a tutta la cristianità. Finalmente, in un luogo preciso ed in un momento preciso (cioè alla “pienezza del tempo”), nasce Colui che spaccherà in due la Storia (prima di Cristo, e dopo Cristo). Le circostanze sono piene di significato. Col suo censimento, l’imperatore Augusto, che si credeva onnipotente, non fu che la pedina nelle mani di Dio perché si realizzasse l’antica profezia che indicava Betlemme come la città natale del Messia (cfr. Matteo 2:4-6; Michea 5:2).

            Ma non c’è posto in albergo per la coppia in cerca di una stanza (non c’è mai posto per Dio..., il ritornello non cambia). Così per Maria e Giuseppe sarà necessario adattarsi altrove.

            Forse, abituati a vedere la scena riprodotta in centinaia di celebri dipinti o in nitidi e ben curati presepi, abbiamo perso il senso dello squallore della mangiatoia in quella fetida stalla. Ma il Salvatore aveva deciso di nascere proprio lì, per essere fin dall’inizio immerso nel travaglio e nella miseria degli uomini.

            Dio non finirà mai di meravigliarci. Quant’è diverso dal nostro il suo modo d’agire!

 

            “Verbum caro factum est”

 

            Abbiamo già osservato che la data del 25 dicembre, che in tutto il mondo cristiano è ricordata come quella della nascita di Gesù, è una scelta impropria e che non corrisponde affatto alla realtà. Era semplicemente una festa pagana, la festa del sole nascente o del sole che risorge, che corrispondeva (e corrisponde tuttora) al periodo del solstizio d'inverno, quando il sole, dopo aver subito quel calo costante sull'orizzonte, “staziona”, e ricomincia poi lentamente a crescere. Quindi gli antichi celebravano la festa del sole nascente come una grande circostanza felice per gli uomini. Quando, nei primi secoli della storia del Cristianesimo, la religione cristiana, anziché continuare ad essere oggetto di contestazione e di persecuzione, divenne religione ufficiale nell'Impero Romano, si cercò di attirare quanta più gente possibile attorno ad essa, trasformando alcune festività pagane in feste cristiane. Questo fenomeno, non nuovo nella storia delle religioni, con un termine tecnico è chiamato "sincretismo". Si uniscono cioè credenze vere e false per aumentare il numero degli adepti;  e questo fatto  -  del 25 dicembre  -  è riuscito ad attirare la maggior parte degli uomini attorno ad una data per ricordare la nascita del Salvatore.

            Di per sé questo non è un male, perché in ogni caso si dovrebbe ricordare un evento unico nella storia dell'universo, quando il Creatore Onnipotente decise di farsi uomo, e divenne uomo tra gli uomini. Questo è ben spiegato con esemplare chiarezza e nobiltà di parole dall'evangelista Giovanni, all’inizio del suo Vangelo, in quel brano meraviglioso che è chiamato “Prologo”; dove lui parla della forza e dell'intelligenza del Dio creatore dell'universo (che lui chiama “Logos” e che è tradotto “Parola” nelle nostre traduzioni), che è diventata carne ed ha abitato fra noi (“Verbum caro factum est et abitavit in nobis”, recita la Vulgata ed è scritto sulla facciata della Chiesa dell’Annunciazione a Nazaret).

            La Parola è stata fatta (“è diventata”) carne ed ha abitato per un certo tempo  -  letteralmente "si è accampata", cioè ha soggiornato in condizioni precarie  -  in mezzo a questa povera umanità; ma era la forza creatrice di Dio, la “Parola”!

 

            I pastori di Betlemme, i primi evangelisti

 

            Vorrei dire qualche cosa sulla vicenda dei “Pastori”, che troviamo nel secondo capitolo di Luca, a partire dal versetto 8. “In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge”.

            Dunque, i pastori stavano nei campi, e un angelo del Signore si presentò a loro, e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da grande timore (versetto 9). Questo grande timore è il sentimento che accompagna gli uomini tutte le volte che si trovano di fronte ad un evento soprannaturale. La prima cosa che fanno è avere paura. E questo forse dipende dal fatto che non abbiamo la coscienza a posto, e che di fronte all’Onnipotente che si rivela in qualche modo, noi ci chiediamo subito se siamo a posto davanti a Lui. Così fu per quei pastori, che furono colti da grande spavento. E allora c’è la frase che troviamo molte altre volte nella Scrittura e che ci rincuora. L’angelo disse loro: “Non temete” (10a). Quante volte troviamo nella Scrittura, a partire dall’Antico Testamento, e poi via via in tutto il Nuovo, questa frase, pronunciata dal Signore stesso o da un suo messaggero: “Non aver paura!”.

            “Io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà” (10b). Attenzione: “Io vi porto la buona notizia”. E’ tradotto così nelle nostre versioni in lingua italiana; ma nell’originale greco questa frase è “io vi porto l’evangelo”. Perché Evangelo significa in greco Buona Notizia. Quindi questa è la prima predicazione ufficiale del Vangelo: Quale sia questa “Buona Notizia” è spiegato subito dopo: “Oggi, nella città di Davide, è nato “per voi” un Salvatore, che è il Cristo, il Signore” (11). E anche questa frase così semplice, e che crediamo di capire, deve essere illustrata. La città di Davide è la città di Betlemme, e questo per ragioni profetiche; ma “è nato per voi un Salvatore”, questo è l’importante! Non un bambino qualunque; non un profeta, ma un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. Che cosa vuol dire? Questi pastori a cui era rivolto l’annuncio erano dei Giudei, degli Ebrei. Se erano degli osservanti, delle persone al corrente degli insegnamenti della loro religione, dovevano sapere che tutto il popolo, e loro con gli altri, aspettavano il Messia. Il Messia era quella persona della stirpe di Davide che doveva venire per liberare il popolo ed instaurare un regno eterno, secondo le profezie antiche.

            Ora, siccome noi abbiamo qui la traduzione dal greco, nel greco la parola Messia è tradotta "Christos", e in italiano “Cristo”. Ma in effetti gli angeli a quei pastori parlarono in aramaico, dialetto simile all’ebraico. Quindi la frase pronunciata dagli angeli fu: “Oggi quello che è nato nella città di Davide e che è per voi il Salvatore, è il “Messia”, quello che voi aspettavate!”.

            Dunque, gli angeli diedero la Buona Novella, cioè l’Evangelo, per la prima volta a questi Giudei, dicendo: “Guardate che quello che è nato oggi e che è il Salvatore vostro e di tutti gli uomini, è il Messia che voi aspettavate!”. E osserviamo questa analogia che potrebbe sembrare un salto ardito, ma non lo è: quella degli angeli è la stessa predicazione  che l’Apostolo Paolo fece poi in tutte le sinagoghe. Quando prese a diffondere il Vangelo in tutto il mondo, Paolo andava dai Giudei e gli diceva le stesse cose che dissero gli angeli ai pastori: “Guardate che quel Messia che voi aspettate, è arrivato, è Gesù!”.

            Ed ecco che, tornando al nostro testo del capitolo 2 di Luca, al versetto 14, compare la moltitudine celeste che diceva, o forse cantava: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi e pace in terra agli uomini che Dio gradisce". (E’ un vero spettacolo di “suoni e luci”; qualcuno lo ha definito “il primo Concerto Gospel”). Attenzione: “pace in terra agli uomini che Dio gradisce” è la esatta traduzione, oggi accettata anche dalla Bibbia cattolica CEI, e non “ pace in terra agli uomini di buona volontà” che invece deriva dalla traduzione latina di San Gerolamo, detta Vulgata. Non è dunque per volontà o bontà degli uomini che può venire la pace in terra, ma solo perché Dio ha deciso di usare la sua benevolenza mandando Gesù (cfr. Ef 1: 5,9; 2:17).

            Vediamo la reazione dei pastori. Nei versetti 16-18 si dice che essi andarono in fretta e trovarono Maria e Giuseppe, e il Bambino adagiato nella mangiatoia; e vedutolo, divulgarono quello che era stato loro detto di quel Bambino. E tutti quelli che li udirono si meravigliarono delle cose dette loro dai pastori.

            In effetti, era quello che il Signore aveva fatto loro sapere (15), ed essi, come semplici testimoni, non lo tennero per sé ma lo divulgarono. A Natale, specialmente nei paesi latini, si allestiscono dei presepi dove si possono ammirare innumerevoli pastori che a volte sono veri capolavori dell'arte popolare. Ma se li andiamo ad osservare, ricordiamoci la “lezione dei pastori”: essi andarono a riferire la Buona Notizia, cioè il Vangelo. Quei semplici uomini della Giudea furono dunque i primi missionari: divulgarono quello che era stato loro detto di quel Bambino, senza paura di essere respinti o derisi.

 

            Ricordiamocelo, perché questo è anche il nostro compito.

 

 

 

            Come ricordare la nascita di Gesù

 

            Noi siamo di solito propensi a ritenere che, nel ricordo della nascita di Gesù, certe cose sono meno cattive di altre, e così può succedere che ci conformiamo alle abitudini di questo mondo, che ormai ha trasformato completamente le giornate del Natale. Gesù era venuto sulla terra con uno scopo preciso: non quello di vivere la vita di fanciullo, ragazzo, adolescente, uomo, in modo conforme ai comandamenti di Dio, dando un esempio; questo è uno degli aspetti, ma certamente secondario rispetto all’altro fondamentale, che era di farsi carico dei peccati di tutti gli uomini ed espiarli una volta per sempre (“Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”). Questo è il punto!

            E l’altro punto è che la nascita di Gesù dovrebbe essere ricordata in quanto noi avremmo dovuto sentirlo nascere in noi, nella nostra vita. Paolo parla di questo quando, scrivendo ai Colossesi, dice: “Cristo in voi, la speranza della gloria” (Cl 1:27b). Ma come fa Cristo a entrare in noi? Prima deve nascere! Paolo, scrivendo ai Galati (4:19), dice che lui soffriva le “doglie” del parto perché pensava che Gesù dovesse nascere in coloro a cui lui scriveva, e nei quali sapeva che non era ancora nato, o comunque, se era nato, non era ancora cresciuto a sufficienza, non si era ancora formato completamente.

            Dovremmo tutti imparare da Maria a ringraziare il Signore della grazia che ci ha fatto facendo nascere in noi il Salvatore. Perché, anche se non mi piace molto spiritualizzare gli eventi, questo comunque è basato su dati della Scrittura; e che il Salvatore nasca nei cuori nostri, sia nato nei cuori nostri, lo dobbiamo considerare come una grazia particolare dell’Onnipotente. Sia lodato il suo Nome.

            Ecco dunque l’aspetto spirituale di tutta questa vicenda. Eppure oggi noi ci troviamo immersi in una cultura dove il Natale è ridotto ad una festa che a chiamarla pagana è dire poco, dove il consumismo impera e dove la frase meno negativa di tutte è che “a Natale dovremmo essere tutti più buoni”. Ma questo concetto, che solo a Natale dovremmo essere buoni, o “più buoni”, è enormemente limitativo rispetto all’insegnamento cristiano. Eppure lo si sente ripetere continuamente. E purtroppo i mezzi di comunicazione di massa oggi sono veicoli di informazioni false riguardo alle cose più importanti e fondamentali del Cristianesimo.

            Dunque, questo è il modo in cui non dovremmo comportarci noi cristiani, adeguandoci cioè supinamente ed acriticamente alle abitudini intorno a noi, limitando questo periodo all'acquisto dei doni, a riunirci con le nostre famiglie, a festeggiare "qualcosa" con pranzi diversi dal solito, e così passare delle buone giornate nell’armonia e nella “pace”, pensando che il Natale consista soltanto in questo. Ma abbiamo visto di che pace si tratta. Cioè, Dio si rivolge all'umanità non più in atteggiamento di giudice pieno d'ira per i peccati degli uomini, ma è disposto a far pace con loro perché ha mandato lo stesso Suo Figlio sulla terra affinché l'annuncio di questo evento potesse essere occasione di riconciliazione.

 

 

                                                                       Davide Valente. Torino, gennaio 2003