IL GIUBILEO

 

IL GIUBILEO

 

Aspetto biblico e contenuto sociale

 

 

             Perché parlare ancora del Giubileo? Forse riteniamo di sapere già tutto. I mezzi d’informazione non ci mettono forse al corrente ogni giorno di quello che sta succedendo? Tuttavia molti pensano che il Giubileo sia soltanto un mezzo che la Chiesa Cattolica adotta periodicamente per attirare a Roma milioni di pellegrini, e cercano di prenderne le distanze. Cerchiamo invece di affrontare la questione in modo meno superficiale.

 

            L’istituzione del Giubileo in Levitico 25

 

            Occorre precisare subito che “Giubileo” è un termine biblico. L'istituzione dell'anno giubilare, con l'invito alla restituzione del maltolto e all’azzeramento delle posizioni contro i pochi che si erano impadroniti della terra e delle sue risorse, fa parte di quelle prescrizioni mosaiche tese a difendere la parte debole della società.

            La legislazione sociale su quest’argomento è riportata nel capitolo 25 del Levitico. Ne citiamo qualche versetto:

 

v. 8 - 10. (E’ Dio che parla). Conterai sette settimane di anni, sette volte sette anni; e queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Poi, il decimo giorno del settimo mese farai squillare la tromba; il giorno delle espiazioni farete squillare la tromba per tutto il paese. Santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo, ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia.

v. 13. In questo anno del giubileo ciascuno tornerà in possesso del suo.

v. 23b. La terra è mia, e voi state da me come stranieri e ospiti.

v. 25 - 28. Se uno dei vostri diventa povero e vende una parte della sua proprietà, (...) ciò che ha venduto rimarrà in mano del compratore fino all’anno del giubileo, e al giubileo ne riavrà il possesso.

v. 39 - 41. Se uno dei vostri diventa povero e si vende a te (...), ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà via da te insieme con i suoi figli, tornerà a casa sua e rientrerà nella proprietà dei suoi padri.

 

            “Giubileo” è una parola che deriva dall’ebraico jobel, che significava montone e anche tromba, perché in Israele dalle corna dei montoni si ricavavano le trombe. Questi strumenti musicali venivano suonati al cinquantesimo anno (dopo sette settimane di anni). Quindi, il decimo giorno del settimo mese del cinquantesimo anno, in tutto Israele squillavano le trombe, e quello era l’inizio del Giubileo.

 

            Bisogna capire qual era la motivazione di questa festa. Era una festa legata ad una difficile situazione sociale. In Israele succedeva che spesso si determinavano delle condizioni tali per cui molta gente cadeva in miseria. Per malattie, per incidenti, per circostanze avverse, molta gente era costretta a ricorrere a prestiti. E per ottenere questi prestiti si rivolgevano alle persone benestanti, le quali esigevano una contropartita assai pesante. E allora gli ammalati, i senza lavoro, quelli senza altre risorse, cominciavano a privarsi delle proprietà: chi aveva un terreno, chi aveva una casa, se ne privava; e se il debito era grande, succedeva che sovente dovevano vendere anche gli animali, i buoi e le capre; e alla fine, erano costretti a vendere anche i familiari, prima i figli, e poi le mogli, che così diventavano schiavi. E se tutto ciò non risultava ancora sufficiente per sanare i debiti, i capi famiglia diventavano schiavi essi stessi.

 

            Ma il Signore non intendeva permettere che un membro del suo popolo rimanesse schiavo a vita. E allora previde che ad un certo punto tutto si dovesse azzerare. Così, nel giorno delle espiazioni del 50° anno, cominciavano a squillare le trombe. Ecco dunque che cosa doveva significare lo squillo di quelle trombe in Israele. Per quella gente che soffriva la schiavitù sotto gli oppressori, quel momento significava la liberazione totale, significava rientrare nelle famiglie; significava che le famiglie si ricomponevano, e che le proprietà che avevano avuto una volta, ora rientravano in loro possesso. Era quello un momento molto atteso. Lo squillo delle trombe significava la liberazione completa, il ritorno alla normalità. I debiti erano azzerati, la gente aveva una nuova speranza di vita. Questo dunque è il significato del Giubileo secondo quello che è scritto in Levitico.

 

            L’interpretazione spirituale

 

            A questo punto dobbiamo anzitutto tenere presente una considerazione basilare, fondamentale. Se ci mettiamo a fare delle ricerche, scopriremo con grande stupore che questa festa, questo Giubileo non fu mai applicato in Israele! Per lo meno, non ci sono prove storiche che questa festa sia mai stata celebrata e che le sue implicazioni siano andate ad effetto.

         Per altro, questa proposta di un anno di grazia per tutti, di rimessa in ordine del caos, del disordine economico e morale è un tema antico che percorre tutta la Bibbia.

            Proviamo quindi ad interpretare il testo sotto un’altra angolazione. Nel Vangelo di Luca, al cap. 24, vediamo come Gesù interpretava le Scritture. Quando, ai due discepoli sulla via di Emmaus, il giorno della Risurrezione, Egli spiegava che cosa era successo realmente (perché non avevano capito bene chi fosse quel viandante che si era unito a loro) a un certo punto disse:

            “O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette. Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano (24:25).

          E ancora al v.44, quando apparve ai discepoli, disse loro:

            “Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”.

            Ecco dunque qual era l’interpretazione del testo biblico da parte del Signore. Egli prendeva la Legge, prendeva i libri dei Profeti e i Salmi, e in questi libri vedeva tutto quello che di Lui era scritto (è la cosiddetta interpretazione cristologica). Anche noi possiamo adottare questo metodo per l’interpretazione dell’Antico Testamento. Possiamo accostarci al testo di Levitico 25, il tema del Giubileo, con la mentalità del Signore, di questo supremo interprete della Scrittura, dal momento che lo stesso Gesù ne parlò all’inizio del suo ministero. Il Signore infatti, quando iniziò la sua opera, fece subito capire il motivo per cui era venuto sulla terra. Leggiamo in Luca 4:16 ss.:

 

            “Si recò a Nazaret dove era stato allevato, e come era solito entrò in giorno di Sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov’era scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato per annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno accettevole del Signore”. E poi, chiuso il rotolo, aggiunse: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi udite”.

 

            Questo dunque è il vero significato del Giubileo. Gesù, quando gli viene offerto il rotolo del profeta Isaia, prende il cap. 61, i primi versetti, leggendone i passi in termini nuovi. Ed Egli dice che lo Spirito era sopra di Lui, ed era stato unto per evangelizzare i poveri. Evangelizzare significa portare buone notizie. E il Signore porta la prima buona notizia ai poveri, a quei poveri d’Israele che non avevano più niente, che erano sprovvisti ormai di tutto, disoccupati, malati, lebbrosi. E Lui porta questo messaggio ai poveri, ai poveri realmente poveri.

            E ovviamente possiamo fare anche delle applicazioni spirituali per noi su questo, perché sappiamo che poveri siamo tutti noi, se non comprendiamo che la vera ricchezza non sta nelle cose materiali, ma sta nel rapporto vero col Signore, nel ricreare una ricchezza nuova dentro di noi e nelle nostre famiglie, stando vicini al Signore... Egli è venuto per darci questaricchezza, non le cose materiali. Le cose materiali, come diceva Gesù stesso, sono cose che si arrugginiscono, che si perdono nel tempo. La vera ricchezza è Lui, il Signore.

            Poi  -  prosegue il testo  -  è stato mandato per annunziare la liberazione ai prigionieri. Interpretando alla lettera, possiamo pensare a quanti prigionieri c’erano allora. Ma credo che il Signore si riferisse ai prigionieri nell’anima. Quanti ce n’erano intorno a Lui: prigionieri della Legge, dei condizionamenti, per una cultura sbagliata, per un modo di leggere la Parola contorto ed errato! Anche noi siamo molte volte prigionieri di noi stessi, delle nostre strutture mentali, delle nostre personalità sbagliate; prigionieri del peccato, che così ci avvolge....

            Ed era venuto per dare la vista ai ciechi. Egli era la Luce, in una società piena di tenebre. Era una società che brancolava nel buio; e c’erano molti ciechi, frotte di ciechi.

            E poi, a rimettere in libertà gli oppressi. Noi che siamo aggravati e travagliati, appesantiti da tante circostanze, appesantiti dal lavoro compiuto dal nemico delle anime nostre... Egli rimette in libertà tutti gli oppressi: ci libera!

            E a proclamare l’anno accettevole del Signore. Gesù non è venuto soltanto a dire che il tempo appartiene a Dio. Noi ci muoviamo nella nostra vita come se fossimo i padroni del tempo, non considerando che la nostra vita è così precaria, e che noi siamo come polvere in questo tempo. Il Signore è venuto anche ad annunciare il Tempo di Diol’Oggi di Dio, perché la sua Parola annuncia che oggi, “questo” è il momento per accettare il Signore. L’anno accettevole del Signore è l’anno della sua grazia, l’anno della sua misericordia. L’anno in cui viene a donarci tutto, a liberarci, a strapparci dal potere di quell’uomo forte che ci teneva avvinti a sé, soggiogati in quel giogo terribile. Ma il Signore è venuto a liberarci, a strapparci dalle catene del peccato, del nemico, della morte. Il Signore annuncia la liberazione completa. Ecco dunque come il Signore proclama il Suo Giubileo.

 

 

            Il Giubileo dell’anno 2000

 

    Ora, vediamo invece qualche aspetto del Giubileo dell’anno 2000. Intanto, c’è il fascino del numero 2000 (anche se dovremmo sapere che la data della nascita di Gesù andrebbe anticipata di 6 o 7 anni  -  quindi ora saremmo per lo meno nel 2006  -  ,e che comunque il terzo millennio dovrebbe cominciare il 1° gennaio del 2001, come hanno anche ripetutamente ribadito gli scienziati). Ma tant’è: l'anno 2000 continua a suscitare nell'immaginario collettivo un grande fascino. A Parigi i turisti si facevano fotografare sotto la Torre Eiffel sulla quale apparivano dei numeri luminosi in gigantografia che indicavano i giorni mancanti all'inizio del duemila. A Roma stanno affluendo milioni di pellegrini, secondo le previsioni. I dati ovviamente non sono certi; l'unica certezza è il fiume di denaro che, in ossequio allo spirito del Concordato tra Santa Sede e Repubblica italiana, ha alimentato grandiose opere pubbliche. Il Giubileo romano probabilmente sarà uno dei più grandi movimenti di massa a cui potremo assistere nella nostra vita.

A questo punto devo ricordare che non è mia abitudine polemizzare con i cattolici; anzi, di solito, cerco di sottolineare con loro dei punti d’incontro sulla comune fede cristiana che ci affratella. Ma sul Giubileo questo risulta assai più difficile. Infatti, per il Giubileo  vengono riproposte le indulgenze, che, come è noto, furono nel 1517 la scintilla della protesta che condusse alla Riforma protestante. Dopo cinque secoli, assistiamo così ancora alla distribuzione di buoni sconto per il purgatorio, e si ripresenta la transazione commerciale del sacro, come ai tempi di Lutero, quando un enorme flusso di denaro fu avviato verso Roma per la “fabbrica” di San Pietro.

      A proposito di questa Basilica, la facciata è stata tutta ripulita e la televisione ce ne ha mostrato ogni dettaglio. All’inizio del Giubileo, è stata poi aperta con grande enfasi la “Porta Santa”, e i pellegrini si sono sentiti fortemente privilegiati di averla potuta attraversare. Ma speriamo che qualcuno gli abbia fatto capire che la vera Porta da attraversare era un’altra, quella di Cristo il Salvatore, che disse di Se stesso (Gv 10:9):

 

                                 Io sono la Porta; se uno entra per Me, sarà salvato!

 

       L’interpretazione sociale

 

            Abbiamo prima accennato alla interpretazione spirituale che si può dare del Giubileo biblico di Levitico 25. Ma quando Gesù parlò nella sinagoga di Nazaret, si riferiva solo alla dimensione spirituale del Giubileo? Attenzione a non spiritualizzare sempre tutto!

         Anche Gesù parlò spesso di restituzione dei debiti  -  per esempio nella preghiera del Padre Nostro  -  e offrì la formidabile immagine del servitore spietato a cui era stato condonato il debito, il quale non fece altrettanto nei confronti di un suo sottoposto (Matteo 18:23-35). Nel testo di Luca 4, dopo aver evocato la visione dell’anno di grazia, Gesù citò l’episodio di Elia che aiutò la vedova di Sarepta fuori di Israele (Luca 4:26), aprendo immediatamente su una prospettiva universalista, internazionale. E citiamo ancora la parabola del Buon Samaritano (Luca 10:25-37), per ricordare l’atteggiamento che occorre avere nei riguardi del prossimo che soffre.

            L'anno giubilare, la liberazione dei prigionieri, il ricupero della vista, la libertà agli oppressi, possono dunque essere intesi come esigenze che travalicano i confini di un popolo, che si rivolgono, proprio come i dieci comandamenti, a tutta l’umanità.

 

            E vediamola un momento più da vicino, questa umanità! Siamo arrivati pochi mesi fa al traguardo dei sei miliardi. Quando io facevo le elementari (sono nato nel 1925), gli uomini sulla terra erano due miliardi, e si diceva che erano già troppi. Ma nel corso di una sola generazione (la mia) la popolazione si è triplicata. E’ un fenomeno che non si era mai verificato prima e che, secondo gli esperti, non si verificherà mai più. Ora, di questi sei miliardi di persone, oltre un miliardo non riesce a nutrirsi a sufficienza. Più di un quarto sono analfabeti. Uno su cinque non ha l’acqua potabile. La sperequazione tra il nord ricco e il sud povero del mondo è enorme. Ecco alcuni dati facilmente memorizzabili. Le 250 persone più ricche del mondo possiedono un patrimonio corrispondente al reddito annuale di metà della popolazione terrestre! E il 20% della popolazione (quella del nord ricco) consuma l’80% delle risorse totali del mondo!

 

 

            Il Giubileo, l’Utopia di Dio

 

            Migliorare la situazione non sarebbe del tutto impossibile. Per esempio, per dare acqua e strutture igieniche a chi ne è privo occorrerebbero 9 miliardi di dollari, pari circa alla spesa annuale per i cosmetici nei soli USA.

            Abbiamo detto che gli storici ritengono che l’istituzione del Giubileo non sia mai stata realizzata in modo compiuto in Israele. Il Giubileo rimane dunque come una grande utopia (che qualcuno ha definito l’Utopia di Dio), che costituisce oggi una sfida per l'umanità.

            Uno dei più grossi problemi da affrontare sarebbe quello del debito dei paesi del terzo mondo (i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo, o PVS). Detto in poche parole, ecco di che cosa si tratta. Molti Paesi avevano chiesto e ricevuto fin dagli anni 70 cospicui prestiti dagli organismi finanziari occidentali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale). Gli interessi all’inizio sembravano ragionevoli, ma nel corso degli anni sono cresciuti al punto che i PVS non riescono più a pagarli e si sono indebitati ulteriormente. C’è stato, è vero, un primo passo da parte dei paesi maggiormente creditori (Giappone, Stati Uniti, Francia e Germania), che tra il 1990 e il 1994 hanno cancellato parte dei debiti ai paesi maggiormente indebitati. Ma si è trattato solo di una goccia nel mare.

       Riassumendo, oggi, nel nostro mondo globalizzato, ci sono molte nazioni colpite dalla povertà, dalla guerra, da ideologie di violenza e di morte, schiacciate da moderne forme di schiavitù. Ci sono paesi soffocati dai loro stessi debiti, a volte realizzati per l'acquisto di immense partite d'armi. (Questo è un punto dolente e terribile, se pensiamo che le armi gli sono state fornite dai paesi ricchi cosiddetti cristiani, tra cui l’Italia).

 

            Ecco una notizia ANSA di qualche  mese fa. “Ventisette miliardi di dollari sarebbero sufficienti, secondo un calcolo delle Nazioni Unite, a dare un contributo decisivo allo sviluppo dell’Africa. Scorporando la cifra nelle sue componenti, sarebbero necessari appena sei miliardi di dollari per l’istruzione, nove miliardi di dollari per portare l’acqua in tutti i villaggi, e dodici miliardi per l’intera sanità. E questi sono i problemi prioritari per i paesi poveri del mondo: cessazione degli aiuti a solo titolo di beneficenza (ricordiamoci della massima: “Se dai ad un uomo un pesce, il giorno dopo avrà ancora fame; se gli insegni a pescare, avrai risolto il suo problema”); aiuti per far cessare la discriminazione delle donne; aiuti per l’incremento della occupazione; sicurezza alimentare; rifornimento idrico; programmi di medicina preventiva; promozione dell’istruzione, non solo quella di base; investimenti per i servizi sociali; buon governo; e soprattutto, azzeramento del debito, evitando però che le risorse liberate vengano impiegate per acquistare armamenti, e quindi scegliendo su questa base i Paesi poveri da aiutare”.

       A questo punto tutti i cristiani dovrebbero assumere una mentalità, una cultura giubilare in senso biblico, alleandosi per guarire i mali profondi della nostra società. Ci sono questioni sociali ed economiche che i cristiani potrebbero e dovrebbero affrontare insieme; la divisione serve solo a prolungare il male sulla terra.

 

            Nel tripudio che ci sta sommergendo in questo anno 2000, occorre dunque ricordare l’altro significato del Giubileo, che  -  ripetiamo  -  è parola biblica, di cui dobbiamo riappropriarci, disincrostandola dalle tradizioni ecclesiali che l'hanno svilita, deturpata, piegata alle esigenze della religione istituzionale. Quella parola c'invita a lavorare per la giustizia, l'ordine sociale, la guarigione delle economie dissestate. Giubileo non significa trionfo di una istituzione, di un'ideologia religiosa o di una chiesa che pretenderebbe di “gestire” il perdono da parte di Dio, bensì significa riconoscere che la terra è di Dio, come è scritto in Levitico 25:23b, e che noi siamo qui come abitanti "pro-tempore", transitori. Utilizziamo pure ciò che ci è dato in prestito, ma pensiamo che dovremo presto lasciare ogni cosa! E dopo di noi ci saranno altri che vivranno nelle nostre case, cammineranno su queste strade, useranno di queste risorse. Per questo occorre una visione responsabile del presente, affinché ci sia un futuro per tutti.

 

 

            La testimonianza come cristiani

 

            Certo, il fiume in piena che sta invadendo Roma è un fenomeno inarrestabile, che ha certamente una sua carica spirituale. Tuttavia questa spiritualità risulta sostanzialmente priva di fondamento biblico e, sul piano teologico, molto incentrata sull'istituzione ecclesiastica. Riteniamo nostro compito perciò, in questa immensa operazione collettiva, di ricordare che il Giubileo è una norma biblica che ci deve orientare ad una maggiore giustizia tra le persone e tra i popoli. Una norma che indica la liberazione da ciò che opprime la vita e le sue prospettive e che tende a ristabilire dei rapporti di equità per rendere reale un vero possibile inizio. Su questo terreno occorrerebbe lavorare.

            Dunque, il Giubileo non come rilancio di una chiesa sulle altre, non come indulgenza plenaria, ma il Giubileo come una visione di effettiva solidarietà, di sfida posta ieri come oggi di fronte al popolo dei credenti, la sfida di annunciare agli indebitati ridotti in schiavitù la loro liberazione. Dobbiamo liberarci dal rimorso che il nostro benessere sia pagato con la vita dei figli del terzo mondo. L'unica guerra alla quale possiamo aderire con le armi della ragione e della solidarietà è quella contro la povertà, il degrado, l'ignoranza.

            Occorre veramente passare dall'indifferenza su queste questioni alla riflessione e quindi all'azione sull'economia del nostro continente, per permettere il decollo in qualche modo dei paesi poveri del mondo le cui avanguardie disperate sbarcano sulle nostre spiagge e attraversano la vecchia Europa come un vivente messaggio epocale che ci dice che così non si può più andare avanti. Teniamo presente che non si tratta di dichiarazioni di principio senza conseguenze economiche per noi: una effettiva solidarietà, un condono dei debiti comporteranno certamente degli inasprimenti fiscali che dovremo subire senza proteste.

 

            Tra le iniziative in corso citiamo la campagna "Giubileo 2000” nata nell'Inghilterra protestante, di cui la Federazione delle chiese evangeliche è uno dei referenti in Italia. Questa iniziativa è stata accolta successivamente da diversi governi (compreso quello italiano). Fra i suoi compiti c’è quello di stimolare la comunità internazionale perché prenda coscienza della gravità del problema, che compromette ogni ipotesi di cooperazione e rallenta i processi di sviluppo della maggior parte dei paesi dell’Africa e di molti paesi dell’America Latina e dell’Asia.

 

            Le indicazioni del Nuovo Testamento

 

            Oggi purtroppo tendiamo a diventare sempre più statici, indifferenti osservatori dei guai del mondo, incapaci di assumerci responsabilità concrete. In certe chiese, l’interpretazione soltanto spirituale del testo sul Giubileo finisce per diventare un comodo alibi. Ma la parola biblica che scaturisce dalla norma del Giubileo indica, come un messaggio trasversale a tutta la Scrittura, che la liberazione da ogni forma di schiavitù, personale e collettiva, è diventato un compito che non possiamo eludere, se ci diciamo cristiani. E dovremmo almeno essere d’accordo su questo, senza altre riserve.

 

            Vediamo brevemente che cosa hanno insegnato al riguardo Gesù e gli Apostoli.

            Insegnamento di Gesù:

            “Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati” (Mt 5:6). “Voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:13-16).  “Guai a voi, Farisei, perché pagate la decima, e trascurate la Giustizia e l’amor di Dio” (Lu 11:42). “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, lo avete fatto a me” (Mt 25:40).

            Insegnamento di Paolo:

            “Tutti i comandamenti si riassumono in questa parola: Ama il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della Legge” (Ro 13: 9,10).

            Insegnamento di Giacomo:

            “Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andate in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie, a che cosa serve?” (Gm 2:14).

            Insegnamento di Giovanni:

            “Se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità” (1 Gv 3:17,18).

 

            Che il Signore ci aiuti dunque a trarre dalla lezione sul Giubileo i giusti insegnamenti, spirituali e pratici, e a saper dare la nostra buona testimonianza come cristiani.

 

 

 

 

 

 

LE INDULGENZE

 

Facile richiamo per le folle

 

            Premessa

 

            Facendo seguito allo studio sul Giubileo, affrontiamo ora con qualche dettaglio in più il problema delle indulgenze. La parola “indulgenze” è una di quelle che ci bombardano quotidianamente assieme a quelle del Giubileo e dell’Anno Santo. Non sarebbe male pertanto chiarirci un po’ le idee. Per prima cosa dovremmo chiederci: “Che cosa intende la Chiesa Cattolica quando parla di indulgenze?”. Scopriremo subito però che le indulgenze sono soltanto la “punta dell’iceberg” di un complesso di dottrine che, partendo da quella “penitenziale” e passando per il “Purgatorio”, approda infine al cosiddetto “Tesoro dei meriti della Chiesa”.

            Ripeto ancora che studi di questo tipo non sono motivati da intenti polemici. Tuttavia, illustrando il pensiero della Chiesa di Roma, non potremo evitare di metterlo a confronto con gli insegnamenti biblici, e ciascuno potrà poi trarne le opportune valutazioni.

 

            La dottrina penitenziale

 

            Per prima cosa, cerchiamo di chiarire la differenza tra colpa e pena. Secondo la prassi giuridica, quando un imputato viene riconosciuto colpevole, gli viene comminata una penacommisurata alla gravità del delitto commesso (per esempio, cinque anni di carcere). Secondo la Bibbia, la colpa dell’uomo si chiama peccato (= offesa verso Dio), e la pena per il peccato è la morte (“Il salario del peccato è la morte”, Ro 6:23).

            Secondo la teologia cattolico romana, la Chiesa rimette il peccato originale mediante il sacramento del Battesimo ed il peccato attuale mediante quello della Penitenza, quanto alla colpa e alla pena eterna. Ma per i peccati già rimessi quanto alla colpa e alla pena eterna, rimane una pena temporale da subire, in questo mondo o nell’altro. Orbene, la Chiesa ha il mezzo di rimettere anche la pena temporale; questo mezzo è l’indulgenza. Il Canone 911 del Codice di Diritto Canonico la definisce in questi termini: “L’indulgenza è remissione davanti a Dio della pena temporale dovuta per peccati già perdonati quanto alla colpa, che l’autorità ecclesiastica, col Tesoro [dei Meriti] della Chiesa, concede ai vivi per modo d’assoluzione, ai morti per modo di suffragio”.

            Districarsi in questo linguaggio non è a tutta prima facile. Occorre intanto liberarsi dalla convinzione errata che l’indulgenza equivalga al perdono dei peccati. Essa serve, secondo la Chiesa di Roma, a ridurre le pene temporali. Le pene temporali sono le penitenze alle quali il peccatore pentito viene sottoposto in questa vita, oppure che dovrà subire dopo morto mediante il “fuoco purgatorio” (ossia, nel Purgatorio). L’azione in favore dei defunti viene definita “suffragio”.

            Più avanti chiariremo quali sono le basi sulle quali la Chiesa Cattolica si appoggia per la dottrina del Purgatorio e per quella del Tesoro dei Meriti. Cerchiamo invece ora di vedere che cosa dice (o non dice) la Bibbia riguardo alle pene temporali. Alcuni passi che dichiarano in modo deciso che Dio ci dona in Cristo il perdono dei peccati, non parlano affatto di pene temporali:

            “Il sangue di Gesù, Figlio di Dio, ci purifica da ogni peccato. (...) Se confessiamo i nostri peccati, Il Signore è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. (...) Se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati ... “ (1 Gv 1:7,9; 2:1,2).

            Per altro, in campo cattolico viene citata l’esperienza di Davide (2 Sa 12:11 sg.), a cui il profeta Natan annunzia che Dio gli ha perdonato il peccato, ma che egli dovrà tuttavia subirne le conseguenze con la morte del bambino nato dalla sua colpa, e tutta una serie di altre sciagure. Il Signore aveva detto infatti: “Ecco, io farò venire addosso a te delle sciagure dall’interno della tua stessa casa”. (La narrazione di queste dolorose vicende occupa ben 10 capitoli del 2° libro di Samuele). Ci si può chiedere perché Dio abbia punito così severamente Davide, se in realtà lo aveva perdonato. Bisogna però prendere atto che il “perdono di Dio” e la “punizione terrena” non si escludono a vicenda. Nel caso di Davide, la punizione fu proporzionata alla gravità del delitto commesso  -  che di per sé, secondo l’ammissione dello stesso Davide, avrebbe richiesto la morte (2 Sa 12:5). Comunque, il principio che le avversità possono essere interpretate come castighi è presente anche nel Nuovo Testamento:

            “Il Signore corregge quelli che Egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli” (Eb 12:6; cfr. Pr 3:11,12).

            Quindi, non dobbiamo stupirci se a volte dobbiamo sopportare le conseguenze dei nostri errori. (Ovviamente questo è un discorso assai delicato, che ognuno deve fare per se stesso. Sarebbe assai inopportuno e sgradevole infatti, vedendo i nostri fratelli nella sofferenza, pensare che il Signore li sta punendo). Tuttavia queste riprensioni divine hanno ben poco in comune con le penitenze ordinate dal sacerdote cattolico, che talvolta, nei casi più lievi, possono consistere nella recitazione ripetuta di preghiere (Padre Nostro, Ave Maria, ecc.), il cui computo viene facilitato facendo scorrere tra le dita i grani del rosario. E comunque, non c’è traccia nella Bibbia di riduzioni di pene temporali, legate a pellegrinaggi e elemosine. Dio non è un mercante con cui si possa contrattare il prezzo della merce. Le azioni che compiamo non debbono servirci a farci avere uno sconto; le nostre buone azioni non vanno intese come azioni meritorie. Debbono essere invece un atto di gratitudine verso Colui che ci ha colmati della sua grazia (cfr. Ef 2: 8-10).

            A questo punto, occorre esaminare il fatto che, secondo la dottrina cattolica, le indulgenze possono avere anche valore di suffragio, cioè possono andare a favore di coloro che, pur essendo già morti, stanno ancora scontando le pene temporali (si tratta ovviamente delle cosiddette anime del Purgatorio).

 

            La dottrina del Purgatorio

 

            Il Concilio di Trento (indetto da parte cattolica, come è noto, in opposizione alla Riforma protestante) ha dichiarato che “il Purgatorio esiste” e che “le anime ivi detenute usufruiscono dei suffragi dei fedeli, e principalmente del sacrificio dell’altare (cioè la messa)”. Ed inoltre: “Se qualcuno dirà che, dopo ricevuta la giustificazione, a qualsiasi peccatore (...) non rimanga da soddisfare alcun resto di pena temporale, sia in questa vita sia nella futura in Purgatorio (...), sia anàtema”.

            La dottrina si può riassumere così: Le anime giuste, salvate, le quali lasciano questo mondo con qualche resto di colpa veniale o di pena temporale, sono trattenute in un luogo di espiazione, immediatamente dopo la morte e prima di entrare in cielo; quivi subiscono sofferenze adeguate a purificarle dalle macchie dei peccati (veniali) ed a soddisfare pienamente alle pene temporali rimaste da scontare. L’intensità delle sofferenze delle anime purganti può venire alleviata e la loro durata abbreviata dai viventi per mezzo di preghiere, messe, indulgenze, digiuni, elemosine ed altre buone opere.

            I cattolici citano alcuni passi biblici a sostegno della dottrina del Purgatorio. Vediamo di che cosa si tratta. Anzitutto e soprattutto, viene citato un passo del 2° Libro dei Maccabei che, come sappiamo, è un libro deuterocanonico o apocrifo. Nel passo in questione (12:32-45) è raccontato che Giuda Maccabeo mandò a Gerusalemme duemila monete d’argento per offrire sacrificio per il perdono dei peccati di un certo numero di israeliti caduti in battaglia e nei cui vestiti erano stati trovati oggetti preziosi tolti a idoli del nemico (cosa proibita dalla Legge dei Giudei). Dice il testo che quella offerta di Giuda Maccabeo fu “un gesto bello e nobile, suggerito dalla fiducia nella risurrezione. Perché, se egli non avesse creduto che quei soldati uccisi in battaglia sarebbero risuscitati, non avrebbe avuto nessun senso pregare per i morti” (44).

            Le affermazioni di questo testo, pur essendo utili per comprendere le credenze dei Giudei all’epoca dei Maccabei, non sono considerate dagli evangelici come rivelazione di Dio, in quanto l’intero libro (insieme agli altri apocrifi) viene considerato non ispirato. Oltre alla considerazione che questi libri apocrifi non sono stati accolti dagli Ebrei nel loro canone, ritengo che esista una prova interna molto forte contro l’ispirazione, che ognuno potrà valutare da sé: ecco infatti come l’autore chiude il 2° Maccabei:

            “Così andarono le cose riguardo a Nicanore e, poiché da quel tempo la città è rimasta in mano agli Ebrei, anch’io chiudo qui la mia narrazione. Se la disposizione dei fatti è riuscita scritta bene e ben composta, era quello che volevo; se invece è riuscita di poco valore e mediocre, questo solo ho potuto fare” (2 Mac 15:37,38).

 

            Vengono citati poi dai cattolici altri passi tratti dal Nuovo Testamento:

            Dal Sermone sul Monte: “Fa’ presto amichevole accordo con il tuo avversario mentre sei ancora per via con lui, (...) affinché tu non venga messo in prigione. Io ti dico in verità che di là non uscirai, finché tu non abbia pagato l’ultimo centesimo” (Mt 5:25,26). La prigione rappresenterebbe il Purgatorio, e il pagamento dell’ultimo centesimo l’espiazione della pena temporale dopo la morte.

            Dalla Prima Lettera di Paolo ai Corinzi: “L’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno; (...) se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco” (1 Co 3:13-15). Ecco il commento della Bibbia di Gerusalemme: “[In questo passo] è descritto il caso di chi fa appena in tempo a salvarsi, come chi scappa a un incendio attraversando le fiamme. Qui il Purgatorio non è inteso direttamente, ma questo è uno dei testi da cui è partita la Chiesa per esplicitare la sua dottrina”.

            Altro passo dalla Prima ai Corinzi: “Altrimenti, che faranno quelli che sono battezzati per i morti? Se i morti non risuscitano affatto, perché dunque sono battezzati per loro?” (1 Co: 15:29). Questo riferimento al battesimo per i morti, inserito da Paolo nel suo discorso sulla risurrezione, rappresenta una ben nota difficoltà. Il significato più chiaro è che a Corinto esisteva una pratica di battesimo vicario, presumibilmente a favore di congiunti morti prima di essere battezzati. La difficoltà consiste nel fatto che Paolo non condanni esplicitamente una tale abitudine, e la utilizzi invece a favore del suo ragionamento. Alcuni cattolici vogliono vedere invece in questo battesimo vicario una conferma della legittimità degli interventi dei vivi a favore dei morti che si trovano nel Purgatorio.

 

            Tuttavia, è facile trovare nel Nuovo Testamento delle dichiarazioni che col Purgatorio non hanno nulla a che fare:

            Gesù in croce risponde al malfattore pentito: “Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in Paradiso” (Lu 23:43). Se c’era uno che avrebbe dovuto passare attraverso il “fuoco purgante”, secondo la dottrina cattolica, era proprio questo cosiddetto “buon ladrone”!

            Quando Paolo vuole esprimere il suo stato d’animo più intenso, dichiara: “Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi” (Fl 1:23). Forse che, quando diceva “essere con Cristo”, l’apostolo pensava di dover passare prima per il Purgatorio? Lo stesso concetto si trova in 2 Co 5:6-8: “Sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore (...); ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore”

 

            Purtroppo, è poi con la dottrina dei suffragi e delle indulgenze che l’errore teologico del Purgatorio si è trasformato nei secoli in bassa superstizione o addirittura in scandalosa speculazione. Ma in base a quale ragionamento la Chiesa cattolica dichiara di avere il diritto di accorciare  -  mediante le indulgenze  -  le pene temporali? La risposta è che la Chiesa romana si dichiara in possesso di un enorme Tesoro di Meriti, a cui può attingere per il vantaggio dei vivi e dei morti.

 

            La dottrina del Tesoro dei Meriti

 

            Questa dottrina trova la sua prima elaborazione nel XII secolo dell’era cristiana. Essa afferma che la Chiesa è depositaria e amministratrice di un immenso tesoro, che si compone innanzitutto dei meriti infiniti di Cristo, a cui si aggiungono quelli della Vergine Maria, di tutti i santi, e di tutti quei fedeli le cui soddisfazioni sono superiori alle pene meritate coi loro peccati. (Viene talvolta preferito il termine soddisfazioni al termine meriti). Infatti tutti questi meriti non vanno dispersi ma, dicono i cattolici, sono messi in comune  -  sarebbe questa la comunione dei santi  -  in modo tale da costituire appunto un tesoro che, grazie al potere delle chiavi, i papi possono amministrare, e dispensare con l’indulgenza, a beneficio di tutti gli altri fedeli che si trovino in difetto.

            Come già avevamo detto parlando della dottrina penitenziale, ripetiamo dunque che “l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale dovuta per i peccati già cancellati quanto alla colpa, remissione che l’autorità ecclesiastica accorda dal tesoro della chiesa, per i vivi a modo di assoluzione e per i morti a modo di suffragio”. (La definizione è tratta dal Canone 911 del Codice di Diritto Canonico). E proprio tale dottrina, rimasta pressoché stabile attraverso i secoli, è stata riassunta da Giovanni Paolo II nella Bolla di indizione del Giubileo del 2000 (è la Incarnationis Mysterium, emanata il 29 novembre 1998). Questo documento è accompagnato dal decreto della Penitenzieria Apostolica dal titolo “Disposizioni per l’acquisto dell’indulgenza giubilare”, in cui si ripropongono il suffragio per le anime dei defunti, il pio pellegrinaggio alle quattro basiliche romane e alle tre in Terra Santa, e l’acquisto dell’indulgenza plenaria sia con opere che con donazioni in denaro. Più di recente, e precisamente nel settembre scorso, è stata presentata in Vaticano la nuova edizione del documentoEnchiridion Indulgentiarum, un manuale che descrive i vari modi per ottenere le indulgenze, e che i mezzi di comunicazione non hanno mancato di sottolineare. Questi modi variano da quelli prettamente religiosi (pellegrinaggi, partecipazioni ai riti) a quelli sociali (atti di solidarietà verso chi soffre) e a quelli personali (rinuncia al fumo e all’alcol).

            Ribadiamo che si tratta di una dottrina incompatibile con lo spirito del Vangelo, basata sul valore meritorio delle opere, nonché sulla presunta esistenza di quel Tesoro dei Meriti, escogitato per comunicare ai peccatori che la Chiesa può pareggiare i loro conti dinanzi a Dio, eventualmente con il versamento di una somma di denaro stabilita.

 

            Il vero Tesoro, il vero Giubileo

 

            Come è noto, a suo tempo il monaco agostiniano Martin Lutero, dottore in teologia e professore di Sacra Scrittura all’università, era insorto contro la pratica delle indulgenze con le famose 95 tesi che aveva rese pubbliche il 31 ottobre 1517 (data da cui convenzionalmente prende origine la Riforma protestante).

            E’ interessante citare qualche affermazione di Lutero: “Secondo la Bibbia, Dio ricompensa sempre gli uomini più di quanto abbiano meritato, per cui non è pensabile che alcuno resti in credito con Lui. Perciò anche i Santi non hanno meriti superflui per sé, di cui la Chiesa possa disporre a favore degli altri. L’efficacia dell’opera dei Santi riguarda il tempo della loro vita terrena, come partecipi della comunione, e l’esempio di fedeltà che possono offrire in ogni tempo agli altri fratelli”.

            Quel che a Lutero importa affermare con forza è la centralità della Parola Divina (“il vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio”, tesi 62) e la necessità della predicazione dell’Evangelo, che deve risuonare sempre alta, in ogni occasione, “con cento campane, cento processioni, cento cerimonie” (tesi 55).

 

            Quanto al Giubileo, ecco che cosa scrisse il riformatore Filippo Melantone intorno al 1545: “E’ più che certo che l’unica remissione dei peccati è quella che si riceve in ogni tempo dalla predicazione dell’Evangelo e dalla fede. Così ogni giorno è il Giubileo. Nella chiesa, il Giubileo viene celebrato ogni giorno con la predicazione della salvezza in Cristo Gesù; la voce dell’Evangelo che risuona nella chiesa “è” il suono del corno, “è” il Giubileo!”.

 

            E facendo eco a Melantone, ecco le parole di Pier Paolo Vergerio (già vescovo di Capodistria e importante rappresentante della Riforma in Italia), in occasione del Giubileo di Roma del 1550: “In breve vi dirò quale è il nostro certo Giubileo e perdono. Cristo è venuto, le trombe hanno suonato e in breve, salendo sulla croce, e versando il proprio sangue, e morendo, ha donato a tutti i suoi eletti un perdono dei peccati duraturo, un Giubileo duraturo... Perciò, non andate a cercare altrove la grazia che avete in casa vostra. Non rinunciate al Signore che vi ha riscattato, non fate a Lui l’oltraggio di cercare altrove questo dono divino che voi già avete”.

 

            Cito dalla trasmissione di un Culto evangelico andata in onda alcuni mesi fa: “Fratelli e amici cattolici, ricordatevi che l’amore di Dio è totale, radicale, incondizionato. Quel crocifisso che osservate nelle vostre chiese non vi ricorda forse il prezzo che Dio ha pagato per la nostra redenzione? “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti  -  dichiarò l’apostolo Paolo  -  non ci donerà forse anche tutte le cose con Lui? (...) Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù (Ro 8:1, 32)”.

 

LA SINDONE DI TORINO

 

Note in merito alla prossima Ostensione in programma da agosto a ottobre 2000

 

            Come è noto, dal 18 aprile al 14 giugno del 1998 ebbe luogo a Torino una ostensione della Sindone, con la partecipazione di milioni di pellegrini. E la manifestazione si ripeterà quest’anno, in occasione del Giubileo, da agosto a ottobre.

            Ma che cos’è la Sindone? Una icona o una reliquia? E’ difficile pensare che tanta gente possa muoversi per vedere soltanto un’immagine (un’icona), per quanto affascinante possa essere. E’ essenziale dunque dimostrare, da parte degli organizzatori di ogni ostensione, che la Sindone è una vera reliquia, ossia il Sacro Lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Gesù. Ricorderemo tutti che, nel 1998, stampa e televisione furono mobilitate per orchestrare una campagna di informazione, basata su notizie sensazionali e dati pseudoscientifici. E questa campagna sarà ripresa sicuramente nelle prossime settimane con pari intensità. Ecco perché è utile conoscere sulla Sindone anche qualche elemento proveniente da altra fonte.

 

            Di che tipo erano i panni in cui fu avvolto il corpo di Gesù?

 

            Esaminiamo i testi tratti dai Vangeli:

            “[La vigilia del Sabato, Giuseppe d’Arimatea] comprò un lenzuolo (nell’originale greco, “Sindon”) e, tratto Gesù giù dalla croce, lo avvolse nel panno (nel greco, di nuovo “Sindon”), lo pose in una tomba scavata nella roccia; poi rotolò una pietra contro l’apertura del sepolcro” (Mr 15:46). (I testi di Matteo e Luca sono simili).

            “[Il mattino della Domenica, avvertito da Maria Maddalena], Pietro giunse primo al sepolcro; e, chinatosi, vide le fasce per terra (nell’originale greco, “Othonia”), e il sudario (in greco, “Soudarion”) che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte” (Gv 20:6,7).

            I termini “Sindon” e “othonia”, nei testi di Marco e di Giovanni, vanno considerati ovviamente sinonimi. Dal canto suo, “Sindon” significa “lenzuolo”, e talvolta, più genericamente, panno di lino. In Mc 14:51,52, quando viene raccontato l’arresto di Gesù , è detto che un giovane che lo seguiva era avvolto in una “sindon”; ma quando lo presero egli, lasciando andare la “sindon”, se ne fuggì nudo. Sembrerebbe quindi che la sindon fosse un telo usato a mo’ di toga: così, quando i soldati ne afferrarono un lembo, il giovane si srotolò e fuggì via nudo.

            Vediamo ora il significato di “othonia”. In Gv 11:44, nell’episodio della risurrezione di Lazzaro, è detto che il risuscitato “uscì dal sepolcro con i piedi e le mani legati da bende”, ma in quel caso Giovanni per bende usa keiriais e non othonia. Quindi la traduzione di othonia con “fasce” sembrerebbe inappropriata. In effetti, da altre ricerche, parrebbe che anche a othonia si possa attribuire il significato generico di “panni di lino”.

            In conclusione, non c’è evidenza nei Vangeli che il corpo di Gesù sia stato adagiato su una lunga striscia di tela di m 4,36 per m 1,10 (come è la Sindone di Torino), che poi gli fu ripiegata sopra.

 

 

 

            Il problema dell’autenticità

 

            Parleremo prima dell’indagine storica. In effetti, non è stato possibile trovare traccia della Sindone di Torino prima del 1346, allorché un piccolo feudatario  -  Goffredo di Charny  -  se la era portata in Francia come bottino di guerra della crociata di Smirne. Solo a partire da questa data le notizie sulla Sindone diventano documentabili. Così veniamo a sapere che qualche tempo dopo i Canonici, che ne erano entrati in possesso, affidarono la Sindone a Umberto de La Roche, la cui vedova poi, nel 1453, la cedette a Ludovico di Savoia, che la collocò a Chambery, capitale sabauda. Qui, nel 1534, il lenzuolo ritenuto sacro venne danneggiato da un incendio, e l’argento fuso della teca in cui era custodito provocò vistose bruciature sul lino. Finalmente, nel 1578, Emanuele Filiberto, il Duca Testa di Ferro, trasferì la Sindone a Torino, che nel frattempo era diventata la capitale dei Savoia. E da allora cominciarono le ostensioni, ossia le esposizioni al pubblico, con infiammate prediche che animarono le genti, e crearono attorno all’oggetto un’atmosfera mista di devozione e di mistero.

 

            Tuttavia molti continuavano a chiedersi se era in qualche modo dimostrabile che la Sindone di Torino era proprio quel lenzuolo che aveva avvolto il corpo di Gesù. Un primo traguardo sarebbe stato raggiunto se si fosse riusciti per lo meno a provare che quel telo era del 1° secolo dell’era cristiana. Fu così che finalmente, nel 1988, alcuni campioni della Sindone furono sottoposti all’esame della radiodatazione col metodo del Carbonio 14.

            Occorre sapere che la radiodatazione col C14 è il metodo scientifico più attendibile usato per la datazione di reperti storici. Viene costantemente impiegato dagli studiosi di tutto il mondo per la datazione di resti antichi, sia che si tratti di fossili, oppure di reperti archeologici di origine organica (ossa, legno, stoffa o quant’altro). Di recente si è trovata una metodologia di indagine che permette di effettuare esami dettagliati anche su campioni di piccole dimensioni.

            Il metodo si basa sulla presenza nell’atmosfera di un isotopo radioattivo del Carbonio (l’isotopo 14). Come è noto, un atomo è costituito dal nucleo (formato da particelle con carica positiva, i protoni, e particelle neutre, i neutroni), attorno al quale ruotano gli elettroni, con carica negativa. Il numero di protoni, presenti nel nucleo atomico, costituisce il numero atomico e identifica l’elemento. Nel nostro caso, il nucleo del Carbonio ha 6 protoni. Però per uno stesso elemento il numero dei neutroni del nucleo può variare, cioè si possono avere per uno stesso elemento più tipi di atomi, caratterizzati da un numero diverso di neutroni. Questi diversi tipi di atomi sono detti isotopi. Ora, alcuni di questi isotopi risultano instabili, cioè si disintegrano secondo una legge nota, trasformandosi in altri elementi ed emettendo radiazioni. Nel caso del Carbonio, l’isotopo stabile è il C12 (con 6 protoni e 6 neutroni), mentre il C14 è l’isotopo instabile (con 6 protoni e 8 neutroni). Nei calcoli dei fisici viene preso in considerazione il tempo di semivita, cioè il tempo che l’isotopo instabile impiega a dimezzarsi, che per il C14 è di 5730 anni. Occorre anche sapere che la quantità di C14 presente nell’atmosfera terrestre è rimasta pressoché costante in tutte le epoche, ed è nella proporzione di 1/10 rispetto al C12. Questo rapporto  rimane invariato in quanto l’isotopo C14 viene a formarsi per cause esterne al nostro pianeta, e cioè quando i nuclei di azoto dell’atmosfera vengono bombardati da neutroni prodotti dalla collisione dei raggi cosmici con altri nuclei.

            Sappiamo inoltre che il Carbonio è l’elemento più importante per gli organismi viventi. La scienza dei composti di Carbonio è una delle grandi suddivisioni della Chimica e prende il nome di Chimica Organica. Occorre pertanto considerare che gli atomi di Carbonio presenti nell’atmosfera passano negli esseri viventi sempre nella stessa proporzione di 1/10: cioè ogni 9 atomi di C12 se ne trova 1 di C14. Il fissaggio avviene per la vegetazione attraverso la cosiddetta fotosintesi clorofilliana, cioè quel procedimento per cui l’anidride carbonica dell’atmosfera, con il concorso della luce solare e della clorofilla (la sostanza verde delle piante), porta alla sintesi dei Carboidrati (o Glucidi). Per gli esseri animali poi, l’assorbimento del Carbonio avviene attraverso le catene alimentari (dalle piante agli animali erbivori e da questi ai carnivori). Quindi tutti gli esseri, vegetali od animali che siano, fintanto che restano in vita, contengono una concentrazione di C14 uguale a quella dell’ambiente. Quando però gli animali muoiono o le piante vengono tagliate, cessa lo scambio con l’atmosfera, e la concentrazione del C14 diminuisce gradatamente col passare del tempo, a causa della sua radioattività. Questo è avvenuto anche nel caso specifico del tessuto della Sindone. Infatti, dalla misura della concentrazione odierna di C14 nel tessuto dei campioni sottoposti all’esame, è stato possibile risalire all’epoca in cui è stato raccolto il materiale, cioè l’epoca in cui furono tagliate le piante di lino con cui poi fu tessuto il lenzuolo.

 

            Nel 1988, l’analisi fu dunque effettuata da tre laboratori di fama internazionale di Stati Uniti, Gran Bretagna e Svizzera, sotto la supervisione del direttore del British Museum. E il 13 ottobre 1988 il cardinale Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino, annunciò i risultati dell’analisi: la radiodatazione faceva risalire la Sindone a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390!. Secondo questi dati dunque il telo sindonico non poteva aver avvolto il corpo di Cristo, essendo stato tessuto nel Medioevo!

 

            La svolta cattolica del 1997

 

            Sembrava così che fosse stata messa la parola “fine” alle discussioni sull’autenticità di questo lenzuolo, ma ecco la svolta. Nell’aprile del 1997  -  dopo l’incendio della cappella del Guarini dove la Sindone era custodita  -  il cardinale Giovanni Saldarini (successore di Ballestrero a Torino), durante una cerimonia nell’aula del Consiglio regionale piemontese per ringraziare ufficialmente i salvatori del Sacro Lino, dice pubblicamente:

 

            Io sono convinto che la Sindone avvolse realmente il corpo di Gesù!

 

            E a questo punto la stampa si impadronisce della notizia dandole enorme risalto.

            Ma che cosa era successo tra il 1988 e il 1997? Forse erano state effettuate altre clamorose scoperte? Niente di tutto questo. Erano invece state condotte delle complesse manovre, soprattutto ad opera del cosiddetto Centro Sindonologico allo scopo di screditare le analisi al C14 effettuate nel 1988. Così le contestazioni spinsero alcuni addirittura a mettere in dubbio la buona fede degli scienziati che avevano effettuato le analisi (che erano invece tra i più seri del mondo!). Qualche altro ipotizzò nientemeno che era avvenuta una manipolazione (sostituzione) dei campioni (da parte della stessa Chiesa?). Ma la vera bomba scoppiò quando saltò fuori la “teoria del ringiovanimento del telo”. Questa trovò sostegno negli esperimenti di un fisico russo, che cercò di dimostrare che il maltrattamento (apporto di sporcizia, riscaldamento) subito dal tessuto sindonico avrebbe profondamente modificato la struttura delle fibre, falsando il risultato delle analisi.

            I sindonologi fecero subito propria tale teoria, trascurando le dichiarazioni di eminenti studiosi che ne ridimensionavano la portata. Per esempio, il professor Gallino del Politecnico di Torino affermò che per spiegare la datazione medievale con un ringiovanimento del lino dovuto a contaminazioni ambientali, i campioni affidati nel 1988 ai tre laboratori di analisi avrebbero dovuto essere costituiti per più di due terzi da impurità. In altri termini, se si discutesse di una differenza di 50 anni, si potrebbe forse anche tener conto della teoria dell’analista russo. Ma per una differenza di circa 1300 anni, essa non è neppure da prendere in considerazione!

            Tuttavia sulla vicenda calcarono la mano alcune organizzazioni cattoliche, assieme a qualche opinionista assai noto. Uno di essi, per esempio, ebbe la sfrontatezza di scrivere, facendo eco alla sterzata di Saldarini, dopo l’incendio della Cappella del Guarini:

 

            Chissà che adesso, scampato il pericolo, la Chiesa non ritrovi un minimo di dignità per prendere finalmente posizione sulla Sindone e cestinare la bufala truffaldina del C14. Che la datazione medievale del Sacro Lino sia una truffa, ormai lo sanno tutte le persone serie...[e quindi]  è ora di mandare al diavolo i “vuccumprà” del C14.

 

            Osserva a questo punto correttamente il valdese Carlo Papini, autore del libro “Sindone, una sfida alla scienza e alla fede” (di cui daremo qualche cenno più avanti):

 

            Definire “vuccumprà del C14” i dieci scienziati più seri e competenti nel settore, ben noti e stimati a livello mondiale  -  e “bufala truffaldina” la loro analisi  -  è indice di un profondo disprezzo per la scienza e per la modernità che non merita una sola parola di commento. E’ con questa mentalità che la cultura cattolica si accinge ad affrontare il terzo millennio?

 

 

 

            Altri elementi contestati

 

            Cominciamo dalla posizione dei chiodi. La Sindone di Torino presenta i fori dei chiodi alquanto spostati verso i polsi, anziché nei palmi delle mani. Bisogna subito osservare che il Nuovo Testamento ci parla costantemente di mani forate e non di polsi (cfr. Lu 24:40; Gv 20:20,25-27). Inoltre la tradizione iconografica presenta costantemente la perforazione dei palmi in tutte le pitture sulla crocifissione. Tuttavia alcuni studiosi, a partire dal 1950, pretesero di dimostrare che la Bibbia e la tradizione avevano torto, mentre la Sindone aveva ragione, in quanto risultava da esperimenti che i chiodi conficcati nei palmi non possono reggere il peso del corpo. Era indispensabile infatti far passare i chiodi fra le ossa dei polsi, e il fatto che la Sindone lo dimostrasse era un formidabile argomento a favore della sua autenticità. Ma in realtà questi studiosi non avevano tenuto conto del fatto che la parte verticale della croce era munita di una specie di sedile o piolo che reggeva il peso del corpo del condannato. Il fatto che l’uomo crocifisso stesse a cavalcioni di questo sedile è confermato dall’espressione latina “aequitare crucem”, ossia cavalcare la croce. Un graffito scoperto di recente a Pompei conferma l’esistenza di un piolo sulla parte verticale della croce. Il fatto che la croce avesse un sedile è attestato da una serie molto lunga di citazioni di autori classici e cristiani (Seneca, Giustino, Ireneo, Tertulliano ecc.).

 

            Si è anche dato molto peso alle macchie di sangue della Sindone e alla loro posizione sulla fronte, sul costato e sulla schiena del condannato. Non ci dilunghiamo su questo punto, sul quale sono state fatte affermazioni dettate spesso dal desiderio di dimostrare ad ogni costo l’autenticità del telo, e che sono cadute di fronte a più approfonditi accertamenti.

 

            Citiamo ancora la questione delle presunte impronte delle monete sugli occhi, in cui alcuni sindonologi hanno creduto di riconoscere le monete del tempo di Pilato. Tuttavia costoro hanno ecceduto nell’interpretare le elaborazioni al computer, pervenendo a risultati che  -  secondo il professor Garlaschelli dell’Università di Pavia  -  sono “personali e soggettivi”, e tali da ingenerare forti dubbi sulla validità del metodo adottato.

 

            La formazione dell’immagine sul telo

 

            L’immagine sul telo (più volte definita misteriosa), come è noto è “negativa” con caratteri di “tridimensionalità”. Alcuni studiosi cattolici, in perfetta buona fede, avevano sostenuto che il corpo di Gesù, nel momento della risurrezione, era passato attraverso i teli che lo avvolgevano, senza spostarli; e che il passaggio attraverso il lenzuolo del corpo del Salvatore avrebbe prodotto, in modo inspiegabile dalla scienza, l’immagine che si riscontra nella Sindone. Non si può negare che questa spiegazione della figura dell’Uomo della Sindone possegga un certo fascino, e molti, compreso il sottoscritto, ne erano stati attratti.

            Bisogna stare attenti però a non confondere la questione dei teli afflosciati con quella della formazione dell’immagine. Io sono convinto che fu proprio la visione di quei teli afflosciati che aveva indotto Giovanni a credere nella risurrezione (“vide e credette”, Gv 20:8). Infatti, se qualcuno avesse voluto portar via il cadavere, come aveva sostenuto Maria Maddalena, non avrebbe potuto lasciare i lini in quel modo. Quindi per Giovanni la posizione dei panni afflosciati fu la prova che il corpo di Gesù vi era passato attraverso.

            Altra cosa è però la formazione dell’immagine. Nel libro del Papini è raccontata in dettaglio la sperimentazione del professor Vittorio Pesce Delfino, dell’Università di Bari, il quale ha mostrato che col metodo della strinatura da bronzo riscaldato è possibile ottenere un’immagine avente tutte le caratteristiche di quella sindonica.

            Si definisce strinatura una lenta e graduale “cottura” del tessuto. Il processo è simile a quello che sperimenta la massaia distratta quando lascia per un certo tempo il ferro da stiro caldo sul panno bianco del tavolo. Si forma una “macchia” di colore giallo-bruno  -  più o meno scuro a seconda del tempo di sovrapposizione del ferro caldo  -  che risulta indelebile con i normali detersivi. La scoperta della strinatura era stata fatta da un gruppo di scienziati americani che nel 1978 avevano effettuato accurate indagini sulla Sindone, ma fu volutamente ignorata dai sindonologi di Torino, che miravano invece ad una spiegazione “naturale” delle impronte, che lasciasse aperta la strada al “mistero”.

 

            A conferma degli effetti ottenibili con la strinatura, il libro del Papini reca in copertina una fotografia che chiunque riconoscerebbe come quella dell’Uomo della Sindone di Torino, divulgata migliaia di volte dai mass-media durante l’ostensione, e che è invece la fotografia in negativo della Sindone prodotta in laboratorio dal professor Pesce Delfino.

 

 

 

            Una religiosità basata su un oggetto

 

            Fin qui abbiamo esaminato la questione della “sfida alla scienza”. Ma il vero problema della Sindone non sta, paradossalmente, nella sua autenticità, ma nel fatto di sollecitare una religiosità basata su un oggetto ritenuto misterioso. Su questo secondo aspetto alcuni evangelici torinesi (e qualche isolato cattolico!) hanno ripetutamente puntualizzato il loro pensiero, specialmente in occasione della ostensione del 1998. Ecco alcune loro dichiarazioni:

            Se vogliamo incontrare Gesù Cristo e il suo volto sofferente, non dobbiamo cercare la mediazione di nessun lenzuolo funebre. Anche a Torino la tragedia del Cristo è scritta a chiare lettere nella vita dei poveri, dei più tribolati, degli emarginati, dei disoccupati... Cerchiamolo lì il Cristo, non nel lenzuolo!

            Poiché siamo chiamati a riporre la nostra fede in Gesù Cristo e in Colui che lo ha mandato, ricercare dei segni o degli oggetti per avvalorare il nostro credere non è sfiducia? (...) Non è dal vedere un volto raffigurato in un lenzuolo che può nascere o aumentare la nostra fede in Gesù Cristo, ma dall’attenersi fermamente alla testimonianza della Bibbia, la Parola di Dio...

            In 2 Re 18:4 è raccontato che il re Ezechia, impegnato a combattere l’idolatria, ad un certo punto non aveva esitato a fare a pezzi anche il famoso “serpente di rame” (sicuramente autentico!), che Mosè aveva fatto nel deserto, perché era diventato oggetto di culto, e i figli di Israele continuavano ad offrirgli incenso.

            Giustamente gli evangelici, fedeli al proprio orientamento verso una fede sostenuta esclusivamente dalla Bibbia, sono convinti che un riferimento religioso legato comunque a oggetti o raffigurazioni possa inquinare la sincerità della confessione di fede. Purtroppo invece la tradizionale devozione per le immagini e le reliquie è parte integrante della prassi e della spiritualità cattolica. Ma c’è modo e modo per fare le cose! Ecco come il Papini conclude il suo libro:

            La ripresa delle ostensioni è una sfida anche al dialogo e al cammino comune delle chiese cristiane nella città di Torino.

            Ed ora una nota di carattere personale. Devo confessare che il libro del Papini mi ha veramente impressionato. Nonostante la mia preparazione archeologica unita ad una innata prudenza, talvolta infatti mi ero lasciato influenzare dalle notizie di una campagna sapientemente orchestrata con pretese scientifiche. Il lavoro del Papini mi ha fatto aprire gli occhi. Ne consiglio vivamente la lettura a tutti coloro che desiderano essere informati sulla questione delle reliquie vere o presunte e su certi metodi poco corretti usati talvolta per influenzare la pubblica opinione. Inoltre, l’Autore ha saputo astenersi dalla tentazione di usare toni polemici o offensivi. Anzi, mi piace sottolinearne lo stile pacato, fraterno e sofferto. Perciò è un libro che si può consigliare anche ai fratelli cattolici, senza dover temere reazioni di rigetto.

 

                                                                                      Davide Valente, giugno 2000

 

            Nota

 

            Carlo Papini è nato nel 1933 a Genova, dove ha conseguito la laurea in giurisprudenza. Dal 1965 al 1998 è stato direttore editoriale della Claudiana di Torino. Da oltre vent’anni effettua studi sulla Sindone, ed ha pubblicato altri libri e articoli su vari periodici. Il libro di cui si è fatto cenno è: Sindone, una sfida alla scienza e alla fede, Il “mistero” svelato, Torino, Claudiana, 1998. £. 19.000.

            Appendice

 

            A completamento di quanto detto sulla Sindone, ritengo utile riportare per intero il capitolo “Il Mistero della Sindone di Torino”, tratto dal libro “Archeologia e Vangeli” dell’archeologo britannico Alan Millard, di estrazione protestante ma apprezzato assai anche in campo cattolico. Infatti il libro, che ha visto la luce a Oxford nel 1990, è stato stampato in italiano dalle Paoline nel 1992, a cura del noto biblista cattolico Giancarlo Ravasi.

            Le benemerenze del Millard sono notevoli. Docente di ebraico e lingue semitiche a Liverpool, ha partecipato a campagne di scavo in Mesopotamia, Siria ed Israele, ed è noto in Francia, Germania e Svizzera per vari cicli di conferenze. E’ autore di vari lavori accademici, e le Paoline hanno pubblicato nel 1988 il suo volume Archeologia e Bibbia, che tratta in particolare dell’Archeologia dell’Antico Testamento.

            E’ interessante porre attenzione alle date. Come abbiamo visto in precedenza, nel 1988 la radiodatazione col C14 aveva dimostrato che la Sindone era medievale; e il libro del Millard, stampato dalle Paoline nel 1992, accetta questo risultato. Nel 1997 viene invece riaffermato da parte cattolica che la Sindone è autentica.

            Nel capitolo sulla Sindone riportato qui di seguito, è notevole constatare come il Millard affermi che “non ci sono speranze per ritenere che il test di radiodatazione possa essere sbagliato”, pur affermando che restano molte cose ancora da spiegare. E, anche concedendo qualche sostegno alla devozione cattolica per le immagini, conclude affermando che “come altre reliquie (sic), la Sindone può essere un aiuto alla fede, non un oggetto di fede”, e che il cristiano dovrebbe piuttosto “concentrarsi sulla persona di Colui che si pensava vi fosse stato avvolto”.

 

 

IL MISTERO DELLA SINDONE DI TORINO

 

(Di Alan Millard)

 

            Migliaia di pellegrini vanno ogni anno a pregare nel duomo di Torino, perché ritengono che là sia custodita la Sindone in cui fu avvolto il cadavere di Gesù. Secondo un recente test scientifico essa non sarebbe la sindone di Gesù, ma risalirebbe solo a 700 anni fa. Comunque sia, la Sindone ha diritto a un certo spazio in questo libro, per far capire quali difficoltà devono affrontare gli esperti quando studiano i manufatti di tanto tempo fa.

Nel 1898 a un fotografo italiano fu permesso di prendere la prima fotografia della Sindone di Torino. Questa è un pezzo di lino giallognolo lungo 4,34 metri e largo 1,09 metri. Su quel tessuto ci sono delle impronte indistinte che fanno pensare alle parti anteriore e posteriore di un uomo. Quando il fotografo sviluppò la sua lastra, si stupì di trovarvi una figura molto più particolareggiata di quanto riuscisse a vedere con gli occhi. Era come se il tessuto fosse un negativo, da cui avesse ricavato una stampa. Altre fotografie scattate in seguito dimostrarono che non era un effetto casuale, ma un normale risultato del procedimento fotografico.

Che cos'è, allora, la Sindone di Torino? La storia della Sindone è nota a partire dal 1350. In quel tempo ne era proprietario un cavaliere francese che viveva vicino a Troyes. Cento anni dopo una sua nipote la regalò al duca di Savoia. Nel 1532 fu danneggiata da un incendio che scoppiò nella chiesa di Chambéry dov'era conservata. Nel 1578 il duca di Savoia la portò a Torino, dov'è tuttora conservata nel duomo di San Giovanni Battista. Sulla sua storia iniziale non si sa niente. Qualcuno pensa che non ne abbia. Quando la Sindone fu esposta per la prima volta a Troyes, il vescovo del luogo disse che era una frode. Egli conosceva l'artista che diceva di averla fatta; anche altri dissero le stesse cose, ma non furono presi in considerazione.

D'altra parte, si parlava di una sindone di Gesù già a Costantinopoli: essa era scomparsa quando i crociati avevano saccheggiato la città nel 1203. La Sindone che arrivò a Troyes poteva essere proprio quella. Seicento anni prima, un tessuto su cui era impresso il segno di un volto era stato considerato il ritratto di Gesù. La reliquia era nella città di Edessa, e ora si trova a Urfa, non lontano dall'antica Haran, nella Turchia meridionale. Secondo una leggenda, un discepolo di Gesù ve l'aveva portata subito dopo la crocifissione. Il panno di Edessa è la Sindone di Torino ripiegata? Non si può esserne sicuri, perché nella storia ci sono troppe lacune.

Da tanti anni gli scienziati chiedevano un pezzo della Sindone per sottoporla al test di datazione del radio-carbonio. Tutti gli esseri viventi contengono le sostanze radioattive Carbonio 12 e Carbonio 14. Quando muoiono, il Carbonio 14 decade a velocità regolare, emettendo particelle misurabili. Le particelle emesse sono contate e la quantità del decadimento che ha avuto luogo si può calcolare in rapporto alla quantità stabile del carbonio 12. Allora si può calcolare la data in cui quel materiale è «morto». Per la Sindone sarebbe stato necessario un campione di parecchi centimetri quadrati. I custodi della Sindone temevano che il taglio di un pezzo così grande avrebbe provocato troppo danno e negarono il permesso.

     Quando il progresso tecnico rese possibili i test mediante campioni molto più piccoli, le autorità acconsentirono di fare esaminare pezzettini della Sindone. I campioni furono inviati a tre centri: nell'Arizona, a Oxford e a Zurigo. Assieme a ogni frammento c'erano pezzi di altri tessuti noti appartenenti al I secolo e al Medioevo, come «controlli», da esaminare e confrontare nello stesso tempo e nelle stesse condizioni di ogni campione della Sindone. Tutti i pezzetti furono inviati ai laboratori senza etichette che li facessero riconoscere agli scienziati. Solo quando il test fosse stato finito, il coordinatore avrebbe potuto rivelare quali erano i pezzi appartenenti alla Sindone.

            L'annuncio fu dato nell'ottobre del 1988. Secondo tutti e tre i centri, il risultato era chiaro. Ogni frammento della Sindone dava la stessa risposta: il tessuto era fatto con lino tagliato tra il 1260 e il 1390 d.C. La data del I secolo fu esclusa. Fu un duro colpo per i sostenitori della Sindone.

     Potevano sperare che il test di datazione fosse sbagliato? Pare che non ci siano ragioni per una speranza del genere. Il metodo di datazione è stato sviluppato e perfezionato in vari laboratori distinti, così da ridurre i punti d'incertezza. Quando si tratta di materia un tempo vivente che abbia meno di 2000 anni, c'è poco spazio per il dubbio o l'errore. I laboratori concordavano sulla data dei pezzi di controllo. Anche se la datazione del Carbonio 14 indica che la Sindone di Torino non è una reliquia del I secolo, rimane un oggetto notevole, degno di studio.

            E’ sempre più facile credere, se ci sono delle cose da vedere e toccare. L'«incredulo Tommaso» lo disse chiaramente, quando i suoi amici gli raccontarono di aver visto Gesù risorto da morte. «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò», rispose loro (Giovanni 20,25). Non stupisce quindi se cominciarono a comparire reliquie di martiri, man mano che il cristianesimo si diffondeva, per aiutare la devozione dei fedeli. Il primo esempio fu forse la sepoltura del vecchio martire Policarpo di Smirne, nella metà del Il secolo. I cristiani si incontravano sul posto per ricordarlo.

            Lo stesso bisogno di un legame visibile, fisico, con eroi del passato esiste anche in contesti non religiosi. C'è tutto un florido commercio per portare i turisti a vedere il paese natale di Shakespeare, la tomba di Napoleone o la casa colonica di Washington. I personaggi storici diventano più reali, quando vengono legati a un luogo o a un oggetto da essi usato.

            Nel Medioevo le reliquie erano quasi «prodotte su ordinazione». Erano tante le chiese a chiedere un frammento della croce di Gesù, che secondo qualcuno fu necessario tanto legno quanto ne occorreva per costruire un bastimento! Tra le reliquie, c'erano più di quaranta sindoni che avrebbero avvolto il corpo di Gesù nella tomba.

            Perché la Sindone di Torino è un caso particolare?

            Le macchie rossastre sparse sull'immagine del corpo coincidono con la descrizione delle ferite inferte a Gesù. I segni sulla schiena coincidono con la narrazione della flagellazione. L'uomo della Sindone, mostrato chiaramente dalla fotografia, è stato crocifisso come Gesù.

            Non tutti trovarono che questo argomento era abbastanza forte da solo, e così, per spiegare le macchie sul tessuto, sono stati fatti vari test, specialmente dopo il 1978. Loro scopo era di sapere il più possibile sulla Sindone; ma questi test fecero nascere altri misteri.

       I segni rossastri erano macchie di sangue o no? Uno scienziato affermò che era soltanto colore, altri dichiararono che si trattava di una sostanza organica che per qualcuno era sangue. Quando si studiò il retro della Sindone, si vide che queste macchie erano penetrate nel tessuto, mentre l'immagine del corpo era rimasta solo sulla superficie superiore.

       Se queste sono macchie di sangue, come mai si trovano sulla Sindone? Il sangue si coagula subito, ma la flagellazione e l'incoronazione di spine ebbero luogo prima della crocifissione. Gli scienziati e i patologi legali, che conoscono bene i criminali e le vittime di incidenti, fornirono due spiegazioni all'interrogativo. Una è che l'abbondante traspirazione di un individuo appeso per i polsi avrebbe inumidito le ferite. L'altra è il racconto di Giovanni, secondo il quale Nicodemo portò una notevole quantità di mirra e di aloe, che spalmò sul corpo di Gesù (Giovanni 19,39-40). Gli unguenti oleosi o grassi rallentano il processo di coagulazione. Tuttavia, quando il corpo fu deposto dalla croce e portato alla tomba vicina, ci si poteva aspettare che lo sfregamento e il movimento allargasse molto le macchie, specialmente se il corpo era avvolto nella Sindone. Un altro interrogativo a cui non s'è risposto è perché le macchie non sono diventate marrone scuro, come succede di solito alle macchie di sangue.

     Altri test fatti sul tessuto hanno suscitato nuove domande. Uno scienziato svizzero rilevò che tra i granelli di polline trovati nel tessuto, ce n'era qualcuno tipico dell'area del Mediterraneo orientale e anche della regione del Mar Morto. Eppure ci manca un polline là molto comune, cioè quello dell'albero di olivo. Le particelle minerali presenti nelle fibre comprendono del calcare simile alla pietra di Gerusalemme; e secondo un cristallografo e archeologo americano la reazione del corpo caldo, crocifisso con la pietra alcalina, può produrre la figura giallastra sulla Sindone. Quando alla fotografia della Sindone fu applicato un analizzatore d'immagini, produsse fotografie tridimensionali del corpo, un risultato che non si riesce ad ottenere con una pittura.

       La fotografia del volto ingrandita cinque volte rivelò un segno rotondo su ciascun occhio. Secondo un ricercatore, una parte era l'impronta lasciata da una moneta di Ponzio Pilato sull'occhio destro. La moneta è il tipo con il «lituo» descritto in Indicazioni sul carattere di Pilato. Eppure nella Giudea del I secolo non si usava mettere una moneta sugli occhi dei cadaveri e la riproduzione delle impronte non è del tutto convincente.

       Se si tengono presenti tutti questi punti, ci dobbiamo chiedere: «La Sindone di Torino può somigliare al panno che Giuseppe di Arimatea prese per avvolgere il corpo di Gesù?». L'unica informazione che ci danno gli evangelisti sui panni della sepoltura è la loro posizione nella tomba vuota, dove costituivano la prova che Gesù non c'era più. Conservare i panni funerari è, però, piuttosto contrario alle normali consuetudini ebraiche, perché si trattava di materiale «impuro».

            I vangeli non indugiano nella descrizione della sepoltura. Matteo, Marco e Luca narrano che Giuseppe portò un panno di lino. Giovanni dice che portò delle bende, e che «il primo giorno della settimana», quando Pietro guardò nella tomba, le vide assieme al «sudario che era sopra il capo» di Gesù (Giovanni 20,1.6-7). La descrizione di Giovanni concorda con ciò che sappiamo delle sepolture ebraiche e Lazzaro fu trattato allo stesso modo (Giovanni 11,44).

            Il corpo veniva vestito, le mani e i piedi legati in modo che rimanessero fermi e la testa era coperta con una benda che veniva fissata sotto al mento, perché la mascella non s'abbassasse. Ma il crocifisso Gesù non aveva vestiti (se li erano presi i soldati), perciò il panno di Giuseppe, la sindone, poteva esserne un sostituto. Le bende di lino di cui parla Giovanni potevano benissimo comprendere implicitamente anche la sindone. Se questa ricostruzione è giusta, nella Sindone di Torino si dovrebbero vedere i segni delle bende attorno alle mani, ai piedi e al capo.

     Ma così non è. Se la Sindone doveva venir annodata, dovrebbe avere i segni evidenti delle pieghe, che però non ci sono. Essa non doveva aderire strettamente ai due lati del corpo, per la natura provvisoria delle cure di Giuseppe e Nicodemo, che dovevano essere portate a termine dopo la Pasqua. Allora il corpo sarebbe stato avvolto meglio.

     Chi può aver creato una reliquia così convincente nel Medioevo e come? In futuro una risposta potrà venire da nuove indagini. Si può forse pensare che fu un crociato a portare questo panno di lino, che era stato usato per avvolgere un uomo ferito gravemente. Questa supposizione spiegherebbe tante cose, anche se non si riesce a capire bene la causa dei segni. La scienza moderna non sa spiegare tante curiosità di questo mondo, e una di esse è la Sindone di Torino.

            La Chiesa cattolica non ha mai affermato ufficialmente che la Sindone è il lenzuolo funebre di Gesù. Come altre reliquie, può essere un aiuto alla fede, non un oggetto di fede. La dichiarazione, sia pure provvisoria, che la Sindone non è di 2.000 anni fa può aver deluso qualche cristiano, ma non ne deve scuotere la fede. Deve invece aiutarlo a concentrarsi sulla persona di Colui che si pensava avesse avvolto.