Vita di Pietro (1)

 

Vita di Pietro

 

                Premessa

 

                Simone, figlio di Giona (Mt 16:17), o di Giovanni (Gv 1:42), chiamato anche Cefa (dall’aramaico Kefa = Roccia) e Pietro (dal greco Petros), era nato probabilmente a Betsaida (Gv 1:44) cittadina situata forse all’estremità nord del Lago  -  o Mare  -  di Galilea. (Questo piccolo specchio d’acqua  -  formato dall’alto corso del Giordano  -  è indicato nel N.T. anche come Lago di Gennesaret o Lago di Tiberiade). In seguito, non sappiamo quando, Pietro si trasferì a Capernaum (o Cafarnao), poco distante, sulla riva occidentale del lago. E lì troviamo che risiedeva, all’inizio del ministero di Gesù (anno 27). Era sposato e abitava assieme alla suocera e al fratello Andrea in una casa di cui sono state ritrovate le fondamenta. Di mestiere faceva il pescatore, e col fratello Andrea e il padre Giona era socio di Zebedeo, che aveva due figli, Giacomo e Giovanni, anch’essi pescatori.

 

                La vita di Pietro presenta tre periodi. Il primo periodo (anni 27-30) è quello della Formazione, presentato nei Vangeli. Dopo la “chiamata”, in tre anni di contatto col Maestro divenne leader degli apostoli ed imparò molte cose che gli tornarono utili in seguito. Poi ci fu il rinnegamento, seguito da una profonda crisi (Mt 26:69 ss.; Mr 14:66 ss.; Lu 22:54 ss.; Gv 18:55 ss.). Ma, dopo la risurrezione, Gesù lo mise nuovamente alla prova sulle rive del lago di Tiberiade, rivolgendogli le famose tre domande sull’amore; e poi lo reintegrò nell’apostolato (Gv 21:15 ss.).

 

                Il secondo periodo è raccontato nel Libro degli Atti (anni 30-49). Pietro vi appare come il protagonista della nascita della chiesa di Gerusalemme, che egli condurrà nelle sue prime esperienze con audacia e fermezza. Il grande discorso che pronunciò il giorno della Pentecoste aprì agli Ebrei la porta della salvezza (At 2:10,38). Ma Pietro l’aprì anche ai Gentili (= gli stranieri, i pagani), quando si rivolse a Cornelio e alla sua casa (At cap. 10), facendo così uso delle chiavi di cui Cristo gli aveva parlato (Mt 16:19).

 

                Il terzo periodo (anni 49-68) è costituito da un lavoro umile e perseverante, orientato all’espansione dell’Evangelo. L’ultima menzione di Pietro nel Libro degli Atti è alla Conferenza di Gerusalemme. Poi, abbandonata quella chiesa (che sarà diretta d’allora in poi da Giacomo), si dedicherà alle visite e all’opera missionaria. Per le notizie su questo terzo periodo, che si concluderà con il martirio a Roma, dovremo fare riferimento alle sue lettere e alla tradizione. 

 

 

Primo periodo: dalla Chiamata alla Riabilitazione (anni 27-30)

 

                Il primo incontro di Pietro con Gesù

 

                Questo primo incontro è raccontato soltanto dal Vangelo di Giovanni (Gv 1:35-51). Pietro fu presentato a Gesù da suo fratello Andrea, del quale è detto espressamente che era uno dei due discepoli di Giovanni Battista, ai quali quest’ultimo aveva rivelato che Gesù era il Messia. Alcuni ritengono che anche Pietro, in quel periodo, fosse discepolo di Giovanni Battista. L’episodio ebbe luogo sulle rive del Giordano, forse vicino a Betania (Gv 1:28). Fu Gesù a cambiare il nome di Simone in Cefa, tradotto in greco Pietro (Gv 1:42). Dopo quest’episodio il Maestro con i suoi primi discepoli si trasferì in Galilea, dove chiamò a seguirlo anche Filippo e Natanaele, e nella cittadina di quest’ultimo, Cana (Gv 21:2), partecipò ad una festa nuziale (Gv 2:1 ss).

 

                Gesù sceglie Capernaum come centro operativo di missione

 

                Quando inizia a predicare, Gesù fissa la sua base di operazioni in una cittadina marcatamente pagana e disprezzata, lontana da Gerusalemme, situata nella “Galilea dei Gentili”: Capernaum (Mt 4:13,15). Questa cittadina corrotta sarà indicata in seguito come la città di Gesù, la “sua città” (Mt 9:1).

                Pur essendo un villaggio, Capernaum godeva di una posizione abbastanza privilegiata: il suo territorio si estendeva per tre chilometri fino a Tabgha, dove Giuseppe Flavio menziona le “fonti di Cafarnao” (Guerra Giud. III,10,8). Quest’area permetteva agli abitanti di dedicarsi all’agricoltura, com’è provato da diverse macine sia per l’olio che per il frumento ritrovate negli scavi dagli archeologi. Tuttavia per Pietro e suo fratello Andrea la principale fonte di guadagno era la pesca (gli archeologi hanno identificato i resti di un piccolo porto). Capernaum si trovava presso una delle principali arterie che collegavano la Galilea con Damasco. Questo è provato dalla scoperta di una pietra miliare con una iscrizione latina dell’imperatore Adriano. E’ molto probabile che Adriano abbia soltanto riparato o reso ancor più importante il tracciato di una strada che già esisteva. E’ su questa strada di transito che probabilmente esercitava la sua funzione di gabelliere il Levi-Matteo, poi diventato discepolo di Gesù e compositore del primo Vangelo.

                Al contrario di Giovanni Battista, che aveva predicato nel deserto e gli uomini andavano a lui, Gesù va direttamente in mezzo agli uomini e vive nel centro dei loro affari. Così Egli potrà stare contemporaneamente accanto al miserabile e al ricco, al capo della sinagoga e alla prostituta, all’onesto pescatore e al gabelliere corrotto. Quando in seguito qualcuno vorrà chiedergli conto di quella inammissibile dimestichezza verso gli emarginati e i disprezzati, risponderà: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt 9:12).

                Dunque, Gesù aveva scelto Capernaum di Galilea come centro del suo ministero pubblico, e lì “chiamò” definitivamente i suoi discepoli. Capernaum era un luogo ideale dove Egli poteva avvicinare tanti cuori umili e aperti senza suscitare la reazione delle lontane classi dirigenti di Gerusalemme.

 

                La chiamata di Pietro a diventare pescatore di uomini

 

                Questa “chiamata” (la seconda) ebbe luogo appunto a Capernaum, che era la cittadina dove Pietro abitava e svolgeva la sua attività di pescatore. Non sappiamo perché Pietro era ritornato a pescare, dopo aver seguito per qualche tempo Gesù.

                Ma ecco il racconto dell’evangelista Luca:

                Mentre Gesù stava in piedi sulla riva del lago di Gennesaret e la folla si stringeva intorno a lui per udire la Parola di Dio, Gesù vide due barche ferme a riva: da esse i pescatori erano smontati e lavavano le reti. Montato su una di quelle barche, che era di Simone, lo pregò di scostarsi un poco da terra; poi, sedutosi sulla barca, insegnava alla folla. Com’ebbe terminato di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo, e gettate le reti per pescare”. Simone gli rispose: “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua Parola, getterò le reti”. E fatto così, presero una tal quantità di pesci che le reti si rompevano. Allora fecero segno ai loro compagni dell’altra barca, di venire ad aiutarli. Quelli vennero e riempirono tutt’e due le barche, tanto che affondavano. Simon Pietro, veduto ciò, si gettò ai piedi di Gesù, dicendo: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Perché (grande) stupore [gr. thambos] aveva colto lui, e tutti quelli che erano con lui, per la quantità di pesci che avevano presi, e così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Allora Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Ed essi, tratte le barche a terra, lasciarono ogni cosa e lo seguirono (Lu 5:1-11).

                (In Mt 4:18-22 nel racconto di questa “chiamata”, c’è anche Andrea, fratello di Pietro. Non si parla però della “pesca miracolosa”. Simile è il racconto di Mr 2:18-22).

                Confrontando il racconto dei vari evangelisti, possiamo sottolineare tre punti: a) l’invito perentorio di Gesù (“Venite dietro a Me”, Mt 4:19a); b) il cambiamento radicale di attività (da “pescatori di pesci” a “pescatori di uomini”); c) l’immediata risposta (lasciate “subito” le reti, lo seguirono (Mt 4:20).

                Possiamo inoltre considerare il significato della “pesca con la rete”. Il Signore intendeva dire che i suoi discepoli, per attrarre gli uomini, dovranno svolgere un lavoro duro e costante, paragonabile per impegno e fatica a quello dei pescatori a loro ben noto. Ma pescare gli uomini è una tecnica tutta da imparare, per la quale occorrerà “formarsi” alla scuola del Maestro, che sta ora per aver inizio.

 

                Il grande biblista Carlo M. Martini (un cristiano esemplare, noto per i suoi dibattiti in difesa della fede cristiana), lascerà la guida della diocesi di Milano il prossimo febbraio, al compiersi del suo 75° anno. Egli si dedicherà completamente allo studio della Bibbia, probabilmente ritirandosi a Gerusalemme. Per l’occasione ha scritto una Lettera Pastorale, nella quale, partendo dal testo di Luca che abbiamo prima riportato, sottolinea l’espressione: “sulla tua Parola, getterò le reti”. La sua meditazione invita a guardare oltre, con un’attenzione profonda alle parole e alle promesse di Dio, a gettare le reti sia “nei mari calmi della fede accogliente, come in quelli del dubbio e della tentazione di non credere”. Poi spiega: “Sento mie la meraviglia e la sorpresa di Pietro davanti ai prodigi compiuti dal Signore. Il suo grande stupore è il mio davanti alla pesca che il Dio vivente mi ha concesso di fare”.

 

                La dimora di Gesù e Pietro nella stessa casa di Capernaum

 

                A Capernaum Gesù andò ad abitare nella casa di Pietro (Mr 1:29; 2:1,2). La coabitazione di Gesù con Pietro durerà assai a lungo. E’ logico quindi pensare che questa dimora sotto lo stesso tetto abbia prodotto fra i due un’amicizia personale superiore al semplice rapporto Maestro-discepolo, ossia una notevole confidenza, un rapporto più intimo e stretto.

 

                Vediamo intanto com’era la cittadina di Capernaum. I Vangeli, pur non riferendo notizie dettagliate sulla topografia del villaggio, ci parlano di una sinagoga, costruita dal centurione romano (Lu 7:5), della casa di Pietro e Andrea (Mr 1:29), di quella del centurione (Lu 7:6), di quella di Matteo (Mr 2:15), e di quella di Iairo (Lu 8:51). Gli scavi hanno potuto finora individuare la casa di Pietro (sotto la cosiddetta Chiesa Ottagonale Bizantina), e la Sinagoga del Centurione, ubicata sotto la Grande Sinagoga (restaurata), che è molto più tardiva.

                Le abitazioni private, scoperte finora dagli archeologi, pur essendo una piccola porzione dell’antico villaggio, ci aiutano a farci un'idea esatta della vita degli antichi abitanti di Capernaum.

                Il piano del villaggio era abbastanza regolare. Su ambedue i lati di una spaziosa strada, che è stata scavata per un centinaio di metri da nord a sud, sorgevano piccoli quartieri o insulae, limitati da stradette trasversali e da vicoli ciechi. I muri erano costruiti con rozzi blocchi di basalto e rinforzati negli interstizi con pietruzze e fango. Solo per le porte-finestre, come anche per alcune colonne di sostegno, si usarono blocchi squadrati o per lo meno sbozzati.

                La parte più spaziosa della casa era il cortile, dove comparivano focolari circolari in terra refrattaria, macine per grano, e scalini in pietra per accedere al tetto. Sui fianchi del cortile aperto si aprivano umili camerette che ricevevano luce attraverso una serie di aperture o finestre basse. Le casette erano ad un solo piano, raggiungendo appena tre metri in altezza, ed erano coperte da un soffitto leggero fatto di fango e paglia. La scoperta di questi elementi chiarisce molto bene il racconto del paralitico calato dal tetto (Mr 2:1-12): non era poi una grande impresa raggiungere il tetto dagli scalini del cortile e poi rimuoverne una parte per calarvi il paralitico nella cameretta dove era Gesù. Un altro brano evangelico ispirato a queste casupole è la parabola della dramma perduta (Lu 15:8-10): il pavimento delle case a Capernaum era a massicciata; in questo contesto era molto facile perdere una moneta fra una fessura e l'altra delle pietre e altrettanto difficile ritrovarla.

 

                Studiando attentamente il piccolo quartiere fra la sinagoga e la chiesa ottagonale, risulta chiaro che diverse famiglie vivevano insieme allo stato patriarcale, usando in comune gli stessi cortili e i passaggi interni sprovvisti di porte, come anche le poche porte che davano sulla strada. Anche questo particolare è in pieno accordo con quanto conosciamo dai Vangeli, dove per esempio le famiglie di Simon Pietro, di sua suocera e del fratello Andrea coabitavano nello stesso quartiere (Mr 1:29-31).

                Le abitazioni di Capernaum erano piuttosto povere. Colpisce subito la mancanza di servizi igienici e di drenaggi, come anche la ristrettezza delle camerette che certamente non dovevano essere molto confortevoli specialmente sotto la sferza implacabile del sole estivo. E' qui che è vissuto Gesù, povero fra i poveri.

                Gli oggetti ritrovati sono per lo più vasellame in argilla come pentole, piatti, anfore e lucerne. Compaiono anche ami da pesca, spilloni e fusi per tessere, e specialmente macine in basalto sia per grano che per olive. Le macine, azionate dagli asini, erano un vero capitale che veniva tramandato da padre a figlio per molte generazioni.

                Le macine che tutti i visitatori di Capernaum possono ancora oggi ammirare ci fanno tornare alla mente l’insegnamento di Gesù sugli scandali, che si svolse proprio in questo sito; le grosse pietre da legarsi al collo vengono chiamate “mole d’asino” (gr. mulos onikos, Mt 18:6; Mr 9:42) o “pietre da mulino” (gr. lithos mulikos, Lu 17:2), e il “mare” è il Lago di Galilea lì a due passi.

 

                A differenza degli altri quartieri, le cui case rimasero sostanzialmente immutate per secoli e secoli, l'insula (= isolato) con la casa di Pietro (che gli archeologi francescani hanno chiamato insula sacra) ha una storia molto complessa e il visitatore si trova di fronte a un labirinto di muri che in realtà appartengono a periodi differenti. Sono stati identificati tre strati principali: 1)  un insieme di abitazioni private costruite verso il primo secolo a.C. e rimaste in uso fino agli inizi del quarto secolo; 2)  la grande trasformazione nel quarto secolo; 3)  la chiesa ottagonale della metà del quinto secolo.

                La casupola in basalto, dove abitavano Pietro e i suoi familiari, era raggruppata attorno a due grandi cortili. Ben preservata è la soglia attraverso la quale si passava da uno spiazzo libero, dove si trovava il focolare, ad uno dei cortili. E' l'unica soglia al mondo di cui si può dire: qui è passato Gesù. Ma lasciamo l'archeologia e facciamo parlare i testi.

                In Marco 1:29-35 viene narrata la guarigione della suocera di Pietro e di altri infermi:

                Usciti dalla sinagoga (di Capernaum), Gesù con Giacomo e Giovanni andarono in casa di Simone e di Andrea. La suocera di Simone era a letto con la febbre; ed essi subito gliene parlarono; egli, avvicinatosi, la prese per mano e la fece alzare; la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli. Poi fattosi sera, quando il sole fu tramontato, gli condussero tutti i malati e gli indemoniati; tutta la città era radunata alla porta.

                Si noti la frase "tutta la città era radunata alla porta". Ci sembra verosimile localizzare questa ressa di popolo nella grande strada e nello spiazzo libero davanti alla porta del cortile.

                Si riaccenna nuovamente a questo spiazzo nel racconto del paralitico calato dal tetto:

                Si seppe che era in casa, e si radunò tanta gente che neppure lo spazio davanti alla porta la poteva contenere. Segue il racconto della guarigione del paralitico calato dal tetto (Mr 2:1-12).

                Ritroviamo di nuovo Gesù nella casa di Pietro quando si presentarono gli esattori per riscuotere la tassa del Tempio:

                Dopo un giro effettuato attraverso la Galilea, quando Gesù e i discepoli furono giunti a Capernaum, quelli che riscuotevano le didramme (per il tributo del Tempio) si avvicinarono a Pietro e dissero: “Il vostro maestro non paga le didramme?”. Egli rispose: “Sì”. Quando fu entrato in casa, Gesù lo prevenne e gli disse: “... Va al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che verrà su. Aprigli la bocca: troverai uno statère. Prendilo, e dallo loro per me e per te” (Mt 17:24-27).

 

                Questa casa di Pietro, dove aveva abitato anche il Signore, diventò ben presto un luogo di raduni religiosi (domus-ecclesia) della comunità cristiana di ceppo giudaico. Già a partire dalla seconda metà del primo secolo d.C., la casa di Pietro comincia a distinguersi da tutte le altre abitazioni finora scavate per certi dettagli significativi: le rozze mura vengono intonacate con cura e in seguito si ricoprono di iscrizioni; i pavimenti vengono intonacati ripetutamente; finalmente scompare quasi del tutto la ceramica casalinga e compaiono invece molte lucerne. Negli scritti del Nuovo Testamento si parla spesso di case private usate dai Cristiani per raduni religiosi. La casa di Pietro a Capernaum è oggi uno degli esempi più toccanti di queste antiche “domus-ecclesiae".

 

                Pietro considerato come “il primo” dei dodici apostoli

 

                Dopo alcuni mesi dall’inizio del suo ministero pubblico, Gesù scelse dodici dei suoi discepoli, e a loro diede il nome di apostoli (Mt 10: 1-4; Mr 3: 13-19; Lu 6: 12-16). Come è noto, il termine discepolo (gr. mathetes) significa “seguace, colui che impara”, mentre apostolo (gr. apostolos) significa “inviato in missione”. Nell’elenco degli apostoli riportato dai tre evangelisti sinottici, Pietro è al primo posto, e questo fatto non è casuale. Anzi, Matteo lo evidenzia di proposito: “I nomi dei dodici apostoli sono questi: il primo, Simone detto Pietro...” (Mt 10: 2). Secondo alcuni commentatori, ciò sta a significare chiaramente la sua funzione di guida.

 

                Il carattere impetuoso di Pietro

 

                Dunque Pietro ebbe, fin dagli inizi, un ruolo di primo piano fra gli apostoli, a causa del suo fervore, del suo coraggio, della sua energia. Due dei discepoli di Gesù erano suoi intimi amici, cioè Giacomo e Giovanni, ma nei passi che ne parlano, Pietro è sempre nominato per primo (alla trasfigurazione, Mt 17:1; Mr 9:2; Lu 9:28; alla risurrezione della figlia di Iairo, Mr 5:37; Lu 8:51; al discorso sul Monte degli Ulivi, Mr 13:3; al giardino del Getsemani, Mr 14:33).

                Ricordiamo l’episodio di quando Pietro cercò di camminare sull’acqua. Dopo aver compiuto una missione sulla riva orientale del lago, Gesù aveva comandato ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo all’altra riva, verso Capernaum. Di notte, si scatena una tempesta, e Gesù si avvicina a loro camminando sull’acqua. I discepoli gridano dalla paura: “E’ un fantasma”. Ma subito Gesù parlò loro e disse: “Coraggio, sono io; non abbiate paura!”. Pietro gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua”. Egli disse: “Vieni!”. E Pietro, sceso dalla barca, camminò sull’acqua e andò verso Gesù. Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14:22-31).

                Pietro dunque era tradito dal suo carattere impetuoso. Spesso ignorava gli ostacoli e cercava di fare qualcosa al di là delle sue reali capacità. Era certo di essere più forte, più coraggioso, più fedele di tutti gli altri.

 

            La “Confessione” di Pietro

 

                E’ nota come “Confessione di Pietro” la dichiarazione solenne con la quale egli riconosce, primo fra tutti, che Gesù è il Cristo, cioè il Messia promesso dai profeti. Il fatto ebbe luogo nella località di Cesarea di Filippo, a nord del lago. Gesù voleva sapere dai discepoli quel che pensava la gente di lui. Così venne fuori che qualcuno lo riteneva Giovanni Battista risuscitato, altri l’Elia che (secondo la profezia di Malachia) doveva tornare, altri ancora Geremia. E allora Gesù domandò ancora “E voi che dite? Chi sono io?”. Simon Pietro rispose: “Tu sei il Messia, il Cristo; il Figlio del Dio vivente”. Allora Gesù gli disse: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non hai scoperto questa verità con forze umane, ma essa ti è stata rivelata dal Padre mio che è in cielo” (Mt 16:15-17).

                Come è noto, il seguito del passo (“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”) ha scatenato fiere polemiche tra cattolici ed evangelici. Il problema è: qual è la “pietra” su cui Gesù avrebbe edificato la chiesa? In effetti è proprio Gesù che è definito nella Bibbia la “pietra angolare” (Is 28:16; 1 P 2:8; Ef 2:20) ed il “fondamento” (1 Co 3:11). Alcuni esegeti hanno quindi ritenuto che qui la roccia fosse Gesù, ma il contesto è contro una tale opinione. Occorrerebbe immaginare Gesù che punta prima l’indice su Pietro, “Tu sei Pietro”, e poi, volgendo l’indice verso se stesso: “e su questa pietra...”. (Alcuni cattolici, maliziosamente, hanno definito questo “l’argomento del dito” dei protestanti). Né è probabile che vi sia un riferimento alla fede o alla confessione di Pietro. Nel Nuovo Testamento, piuttosto che di professioni di fede, si parla di persone credenti, di apostoli ed evangelisti come di fondamenti, di colonne e di pietre vive nell’edificio della Chiesa. Interpretando la pietra come la dichiarazione di fede si verrebbe poi ad escludere qualsiasi approvazione o promessa per Pietro; ora, ad un privilegio sembra molto probabile che qui si accenni, sia pure assai diverso da quello che intendono i cattolici.

                Scartate le precedenti ipotesi, non resta che accettare che è lo stesso Pietro ad essere la roccia, ma un Pietro che professa la sua fede, un Pietro fedele ed obbediente. Riportiamo al riguardo un brano tratto dal libro “Cristianesimo e Cattolicesimo Romano” (E. Comba, Claudiana):

                   “Gesù ha inteso dire a Pietro: “Per rivelazione divina tu mi hai conosciuto e, primo fra gli altri discepoli, mi hai confessato come il Cristo, Figliuolo di Dio. Ebbene, io ti dico che tu sei Cefa, e porti bene il nome con cui ti chiamai un giorno, perché sei di salda fede: onde sarai la prima pietra della Chiesa ed avrai l'onore ed il privilegio d'essere il primo banditore dell'evangelo, comunicando la tua fede ad altre anime che saranno alla loro volta pietre viventi dell'edificio della mia Chiesa; tu, primo confessore della fede cristiana, sarai la prima pietra del fondamento, con me pietra angolare”. Privilegio del tutto personale ed onorifico, che non fa di lui il Capo della Chiesa, ma il “primus inter pares” tra i compagni nell'apostolato, ai quali il Capo supremo della Chiesa conferisce ad uno ad uno le medesime prerogative che a Pietro. Primo a confessare apertamente la fede, sarà primo ad adoperare le chiavi del Regno di Dio, vale a dire a predicare l'Evangelo che apre le porte del Regno agli uomini; e così avvenne infatti per la popolazione di Gerusalemme il giorno della Pentecoste (Atti 2), ed in seguito anche per i pagani (il centurione Cornelio, Atti 10). In tal modo si spiega la deferenza, primato d'onore, con cui Pietro era circondato nella Chiesa; nel catalogo dei Dodici ha il primo posto; nel periodo delle origini, secondo il libro degli Atti, egli si rivela uomo d'iniziativa, svolgendo una preponderante attività nel formare le prime pietre viventi della Chiesa di Cristo che nessuna forza avversa doveva riuscire mai ad abbattere. Si comprende molto bene in qual senso Cristo abbia potuto parlare di edificare la sua Chiesa su Pietro ed in qual senso Paolo ha potuto scrivere agli Efesini (2: 20) ch'essi erano “stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra angolare”.

 

                Il perdono delle offese

 

                Un giorno Gesù prese a spiegare ai discepoli come ci si deve comportare per risolvere le controversie (Mt 18: 15 ss).

                In effetti la regola pratica offerta da Gesù viene applicata raramente. Se infatti succede che un fratello “pecca” contro un altro (per esempio, lo offende, lo calunnia, lo danneggia), questi spesso è portato a parlarne con altri, cercando consensi ed appoggi. Gesù però indica come primo passo l’incontro “a quattr’occhi”. Questo ovviamente richiede all’offeso una notevole dose di riservatezza, di umiltà e di attitudine al perdono. Solo se l’incontro a quattr’occhi dovesse sfociare in un nulla di fatto, si potrebbe poi procedere con gli altri metodi indicati da Gesù: riscontro con i testimoni, appello alla comunità locale.

                Quando Gesù insegnava, Pietro era ancora giovane e inesperto, e preferiva attaccarsi a delle regolette pratiche, sullo stile dei Farisei, più facili da ricordare. E così si avvicina a Gesù e gli chiede, di nascosto dagli altri: “Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?”: E Gesù a lui: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18: 21,22).

                Molti anni dopo però, alla fine della sua missione terrena, Pietro pare aver finalmente capito la lezione di Cristo: un incontro privato con chi ci ha offesi è il primo passo dell’amore (cfr. 1 P 4: 8: Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati).

 

                La ricompensa per chi segue Gesù

 

                Abbiamo visto che, per seguire il Maestro, dopo le prime titubanze, Pietro aveva rinunciato definitivamente alla sua attività di pescatore, che probabilmente era assai redditizia,. Però in effetti Pietro era convinto che aveva fatto un buon affare: infatti, se quello era veramente il Messia, ad un certo punto avrebbe preso il potere ed i suoi discepoli avrebbero regnato con lui, ovviamente spartendosi ricchezze e privilegi. Spesso i discepoli questionavano tra loro su chi avrebbe occupato i posti migliori (cfr. Mt 20: 20-28; Mr 10: 35-45; Lu 22:24-30).

                Ma ecco che un certo giorno, commentando il fatto che un giovane pieno di buoni propositi (il giovane ricco) si era allontanato perché non aveva voluto rinunciare ai suoi beni, Gesù aveva detto ai discepoli: “Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!” (Mr 10:23). E allora i discepoli cominciarono a preoccuparsi e a discutere. Quanto a Pietro, pur convinto di aver fatto la giusta scelta, egli voleva tuttavia avere chiarimenti su quale “premio” gli sarebbe toccato. E allora chiede a Gesù: “E noi? Noi abbiamo abbandonato tutto per venire con te”. La risposta di Gesù è sorprendentemente illuminante su che cosa si guadagna, entrando nel Regno di Dio “qui ed ora”, e poi, ovviamente, nel futuro eterno:

                ”In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna” (Mr 10:29,30).

                Le cento case, fratelli, sorelle, madri, ecc. in questo tempo sono una trasparente figura dei cristiani che, durante la loro vita terrena, devono sentirsi in compagnia di una moltitudine immensa di ogni lingua, tribù, popolo e nazione, e quindi straordinariamente ricchi.

 

            Pietro durante l’Ultima Cena

 

                Gesù , interrotta la cena, comincia a lavare i piedi ai discepoli (Gv 13: 1-17), ed essi si lasciano fare, anche se ovviamente nessuno capisce il significato del suo gesto (un compito riservato di solito ai servi di casa). Ma quando arriva il turno di Pietro, questi si ribella. Lo scambio di battute tra Gesù e Pietro è di grande rilievo. Dice Pietro, stupito e indignato: “Signore, tu vuoi lavare i piedi a me?”, e Gesù a lui: “Ora tu non capisci quello che io faccio; lo capirai dopo”. Pietro, cocciuto, replica: “No, tu non mi laverai mai i piedi!”. E Gesù, paziente: “Se io non ti lavo, non avrai parte alcuna con me”. A questo punto Pietro intuisce che è finalmente arrivata l’ora della ricompensa e chiede con entusiasmo: “Signore, non lavarmi soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo”.

                Poi Gesù riprende a mangiare con i discepoli e, dopo aver distribuito il pane e il calice, rivela che uno di loro si appresta a tradirlo. Dobbiamo immaginarci i commensali sdraiati sui lettini da mensa, come era costume degli antichi, e Giovanni  -  il più giovane del gruppo  -  che poggiava il capo sul petto del Signore. Tutti rimangono perplessi chiedendosi l’un l’altro chi sarà mai il traditore. Però Giovanni, da vecchio, ricorda un dettaglio: fu Pietro a fargli cenno di chiedere al Maestro chi fosse il traditore, e Giovanni a sussurrare: “Signore, chi è?” (Gv 13: 23-25).

                Giuda se ne va, e allora gli undici rimasti che fanno? Secondo il racconto di Luca, prendono a discutere su chi fra loro fosse da considerare il più grande (Lu 22:24). Possiamo immaginare Pietro che litiga con gli altri per accaparrarsi il posto migliore. Gesù li redarguisce e annunzia che sta per essere arrestato. Vedendo che non capiscono, aggiunge che, dopo il suo arresto, sarebbero arrivati per tutti momenti difficili, e molti tra loro si sarebbero scandalizzati. Ma Pietro dichiara convinto: “Anche se tutti gli altri ti abbandoneranno, io non ti abbandonerò mai” (Mt 26:33). Gesù allora dice: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, fortifica i tuoi fratelli”. Pietro gli disse: “Signore, sono pronto ad andare con te in prigione e alla morte” (Lu 22:31-33). Gesù replica: “Io invece ti assicuro che questa notte, prima che il gallo canti , tre volte tu dichiarerai che non mi conosci”. E Pietro risponde: “Non dirò mai che non ti conosco, anche se dovessi morire con te!” (Mt 26: 34,35).

 

                Pietro taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote

 

                Segue il racconto dell’agonia di Gesù nel giardino del Getsemani, e poi quello dell’arresto. Giuda, che lo tradiva, conosceva anch’egli quel luogo... dunque, presa la coorte e le guardie mandate dai capi dei sacerdoti e dai farisei, andò là con lanterne, torce ed armi. (...) Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la prese e colpì il servo del sommo sacerdote, recidendogli l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Ma Gesù disse a Pietro: “Rimetti la spada nel fodero; non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18:2-11). E toccato l’orecchio di quell’uomo, lo guarì (Lu 22:51).

                Pietro doveva certo aver subodorato qualcosa, quella notte. Non è pensabile infatti che egli andasse solitamente in giro con una spada. Ed è forse solo la scarsa confidenza con le armi che lo porta a ferire di striscio colui che senza dubbio avrebbe voluto uccidere. Quali sono le motivazioni del suo gesto: difesa del Maestro, rifiuto viscerale dell’ingiustizia, reazione all’arroganza, nobile slancio, abnegazione, incoscienza?. Forse molte di queste cose insieme. E’ certo comunque che Pietro non aveva capito affatto il significato di ciò che stava succedendo.

 

                Siamo spesso portati a criticare Pietro, per la voglia di mettersi in mostra, per voler fare ad ogni costo “il primo della classe”, per il suo carattere impulsivo. Però talvolta anche noi siamo tentati di usare i “metodi del mondo” (aggressività, violenze verbali, azioni legali) quando ci sembra che qualcuno si comporti ingiustamente o stia ostacolando la causa di Cristo. Ma se vogliamo essere veramente discepoli di Gesù, siamo invitati ad imitare l’atteggiamento del Maestro, che non oppose violenza a violenza, ma addirittura operò in favore dell’avversario sofferente riattaccandogli l’orecchio (Lu 22:51).

 

                Il rinnegamento e il canto del gallo

 

                Satana ha molte armi nel suo arsenale. Questa volta la sfida a Pietro non arriva da un drappello armato, ma da un’inerme servetta. Pietro non avrebbe voluto andare nel cortile del sacerdote, preferiva starsene fuori, in incognito. Ma “quell’altro discepolo” (cioè Giovanni) lo fa entrare, e subito alla serva portinaia che gli fa la domanda di rito dà la ovvia risposta che quella si attende (Gv 18:17): “Sta pure tranquilla, non sono un seguace di quell’uomo che stanno interrogando”. Ma siamo solo all’inizio, purtroppo.

                Spesso anche noi siamo portati a fare delle belle dichiarazioni di fede in un ambiente favorevole, o a fare i coraggiosi quando siamo in compagnia di altri credenti. Ma chiediamo al Signore di non farci venir meno quando ci troviamo di fronte ad un pubblico ostile e beffardo.

                L’interrogatorio di Gesù si prolunga. La notte è gelida. Gli uomini hanno acceso un fuoco nel cortile. Pietro vorrebbe stare nascosto, ma tant’è: ha freddo e approfitta del fuoco per scaldarsi. Con la serva portinaia era riuscito a farla franca, chissà che non riesca ancora a cavarsela. Mettendo in parallelo i racconti dei quattro evangelisti, par di capire che Pietro fu riconosciuto da un’altra “donna” (Mt 26:71), da un “uomo” (Lu 22:58) (forse il parente di Malco di cui parla Gv 18:26 ?), e da un gruppo di persone che lo sentono parlare con l’accento galileo (Mt 26:73; Mr 14:70; Lu 22:59). Ormai l’hanno scoperto, non c’è più dubbio. E allora che fa, il malcapitato? Si mette a giurare (che significa chiamare Dio a testimonio delle proprie affermazioni), e per dare maggior forza alle sue dichiarazioni (ovviamente false) impreca e maledice (Mt 26:74; Mr 14:71). Se a questo punto ci vengono in mente delle parolacce, serviranno a rendere meglio l’idea di quel che successe. Incredibile!

                Come può un discepolo di Cristo cadere così in basso? Ebbene, può. Ma ecco che, al “canto del gallo” (preannunziato da Gesù), Pietro rientra in se stesso e si rende conto di aver rinnegato il Maestro (gli sguardi di Gesù e di Pietro si incrociano per un istante, Lu 22:61).

                Pietro si vergogna e piange amaramente (Lu 22:62). “Com’è potuto succedere  -  avrà pensato  -  proprio a me che ero così convinto di resistere?”.

                Indubbiamente, si era fidato troppo di se stesso. Coscientemente si era infilato in un ambiente subdolo ed ostile, e non avendo avuto il coraggio di dire la verità dall’inizio, si era trovato invischiato in una situazione sempre più critica, in preda ad una paura folle.

 

                Al sepolcro con Giovanni

 

                Seguono i racconti della passione e della crocifissione di Gesù. Ma Pietro non c’è. Ce lo dobbiamo immaginare smarrito e in disparte, evitato da tutti gli altri discepoli, che avevano saputo del rinnegamento. Però dopo la risurrezione Pietro ricompare. Nel cap. 20 del Vangelo di Giovanni c’è infatti il racconto di Maria Maddalena, Pietro e Giovanni  davanti alla tomba vuota.

 

                Alleluia, Gesù è risuscitato, ha sconfitto la morte. Beati coloro che han potuto vedere la sua tomba vuota! Vedere per credere? Ma non sempre è così. Questo testo ci descrive le reazioni delle tre persone che avevano “visto”.

 

                Maria Maddalena va per prima al sepolcro, di buon mattino, e vede che la grossa pietra è stata rimossa e il corpo del Signore non c’è più. Fa molte congetture, pensa ad un trafugamento. Spaventata, corre ad avvertire Pietro e Giovanni, poi torna alla tomba per piangere. Il pensiero che Gesù possa essere risuscitato non la sfiora neppure.

                Pietro, assieme a Giovanni (è lui “l’altro discepolo”), va verso il sepolcro. Giovanni corre; ma Pietro, più lento, rimane indietro. Giovanni, arrivato primo, dà una sbirciata, ma non osa entrare. Finalmente arriva Pietro ed entra. La descrizione di quel che vede è assai accurata: il corpo di Gesù non c’è più, ma i panni che lo avevano avvolto giacciono abbastanza in ordine e non danno l’impressione di un trafugamento. Il testo non dice espressamente quale fu la reazione di Pietro. Forse egli cominciò ad intuire la verità, ma la spiegazione gli sembrò tanto incredibile che non osò farne parola.

                Poi entrò anche Giovanni, e “vide” quel che aveva visto Pietro. Quando, in tarda età, scriverà finalmente il suo Vangelo, non mancherà di sottolineare che lui solo ne aveva afferrato subito lo straordinario significato (“credette”).

 

                Il colloquio tra Gesù e Pietro sulla riva del lago di Tiberiade

 

                Dal v. 1 al v. 22  di Giovanni 21 si svolge il racconto della Terza Manifestazione del Cristo Risorto (il verbo greco efanérosen, aor. pass. di faino, significa apparire, diventar visibile, manifestarsi). Il v. 14 precisa che “questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, dopo esser risuscitato dai morti”. Appare evidente, dal cap. 20, che lo scrittore considera come Prima Manifestazione quella di Gesù ai discepoli riuniti in assenza di Tommaso il giorno stesso della risurrezione, e come Seconda Manifestazione quella di otto giorni dopo, presente Tommaso.

                Cerchiamo di immedesimarci nello stato d’animo di Pietro. Dopo la Seconda Manifestazione, tutti quanti erano rimasti a Gerusalemme per un’altra settimana, forse due, ma Gesù non si era più fatto vedere. Probabilmente quegli anni passati con lui erano stati soltanto un sogno, tanto valeva allora tornarsene in Galilea. E allora, “Io vado a pescare”, dice Pietro. “Veniamo anche noi”, rispondono gli altri.

                E’ interessante scorrere l’elenco di questi pescatori. Oltre a Pietro, c’è Tommaso, quello che alcuni giorni prima aveva toccato le ferite di Gesù risorto esclamando: “Signor mio e Dio mio!”. C’è Natanaele (chiamato anche Bartolomeo), della città di Cana, e i due figli di Zebedeo, cioè Giacomo e Giovanni, che nel passato erano stati soci di Pietro. In tutto erano sette. I due non nominati potrebbero essere Andrea, fratello di Pietro, e Filippo, amico di Natanaele.

                Abbiamo prima visto che Pietro, con Giovanni, la mattina della Risurrezione aveva potuto vedere la tomba vuota, e che Giovanni, secondo il suo stesso racconto, aveva anche “creduto” (Gv 20:8). E poi tutti erano stati partecipi della Prima e della Seconda Manifestazione. Ma qual è il risultato? “Vado a pescare”, dice Pietro; “veniamo anche noi”, rispondono gli altri.

                Se uno fa una stupidaggine, ce ne sono sempre altri disposti a seguirlo. Si dovrebbe andare ad annunziare la risurrezione. No: andiamo tutti a pescare. Nella chiesa come altrove, quando uno va a pescare dei pesci quando si potrebbero pescare delle persone, garantito che si segue chi va a pescare dei pesci. Ma Gesù non è risuscitato perché possiamo andare a pescare dei pesci, cioè a fare i fatti nostri.

 

                Comunque, i discepoli si affaticano tutta la notte senza prendere nulla (così allo scoraggiamento e alla stanchezza si aggiunge anche la frustrazione: non sono più capaci neanche di pescare!). Non ci sorprende pertanto che rispondano quasi meccanicamente all’invito di quello sconosciuto che gli dice di calare nuovamente la rete.

                Ne consegue una pesca eccezionale. L’episodio ha delle interessanti somiglianze con la “pesca miracolosa” di tre anni prima, quella della “chiamata” (Lu 5:1-11). Quando finalmente la rete si gonfia per l’enorme numero dei pesci, Giovanni per primo capisce che lo sconosciuto è proprio il Signore: lo dice subito a Pietro, il quale agisce in modo impulsivo, com’è suo costume. Chissà se in quel momento i discepoli rammentarono le parole di tre anni prima: “Sarete pescatori di uomini!” (Mr 1:17). Gesù sta ad attenderli a riva; certamente vuole rinnovare la chiamata, ma questa volta non adopera parole: ha acceso un fuoco e ha preparato la colazione.

                Gesù chiede ai discepoli di portare anche qualcuno dei pesci che hanno appena pescato (10). Pur non avendo bisogno di nulla  -  siamo noi ad avere bisogno di Lui  -  egli desidera la nostra collaborazione. L’imbarazzo dei discepoli è al culmine: sanno che è il Signore, anche se nessuno osa domandarglielo (12), e si aspettano anche una solenne lavata di capo. Ma Gesù distribuisce loro il pane e il pesce senza dire una parola, ed essi neppure.

                In modo particolare Pietro, dalla famosa notte dell’arresto, vive nell’angoscia: il suo rapporto con Gesù, prima particolarmente stretto, si è inesorabilmente guastato. Gli altri discepoli lo sanno, lo guardano con imbarazzo, e nessuno osa parlargliene a tu per tu. E Pietro non osa rivolgersi al Signore per chiedergli perdono. Gesù allora assume l’iniziativa e lo prende in disparte con grande delicatezza. Così, dopo colazione, ha luogo il famoso “colloquio”.

 

                Più che un colloquio, lo potremmo definire un interrogatorio. E’ un interrogatorio penoso ma necessario. Durante il suo ministero Gesù aveva detto: “Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10:32,33).

                Gesù fa la prima domanda chiedendo agapàs me = mi ami. Il verbo greco agapao significa amare in modo nobile e incondizionato. Pietro risponde filò se = ti voglio bene (Nuova Riveduta). Il verbo greco fileo indica un tipo di affetto considerevole ma non incondizionato. Nella seconda domanda Gesù usa ancora il verbo agapao e Pietro risponde con fileo, mentre nella terza domanda Gesù usa fileo, come Pietro. Vorrei far notare che, per quanto mi risulta, finalmente per la prima volta la N.R. ha messo in evidenza in italiano la differenza tra agapao e fileo traducendoli rispettivamente con i verbi amare e voler bene.

                (Anche la TILC l’aveva fatto, però usando amare al posto di voler bene pure nella terza domanda di Gesù, vanificando così il ricupero del significato del testo originale).

                Va ancora osservato che la prima domanda di Gesù a Pietro è una domanda doppia. Gesù infatti chiede a Pietro: ”Mi ami (nel senso di agapao), e se sì, mi ami più di questi altri che ti sei portato dietro a pescare?”.

                 Pietro, nel passato, aveva fatto delle dichiarazioni reboanti, si era lanciato a camminare sull’acqua, si era offerto come paladino e difensore, aveva sfoderato la spada... Era stato il solo a fare una dichiarazione veritiera sulla figura del Cristo, meritandosi per questo un elogio solenne. Gesù aveva abitato nella sua casa, a Capernaum. E quando Gesù gli predice che lo avrebbe rinnegato tre volte (Gv 13:38), Pietro aveva appena finito di dire che sarebbe stato pronto a dare la sua vita per il Signore. Ma ora, a prescindere dalla delusione per la fine tragica del Maestro e l’incapacità di comprendere quelle sue strane apparizioni e sparizioni, il fatto è che ha perso la fiducia in se stesso. In effetti Gesù sta permettendo a Pietro di rivivere con lui i ricordi dolorosi che lo opprimono, quelli di quando aveva rinnegato il suo Maestro per tre volte, imprecando e giurando di non averlo mai conosciuto (Mt 26:72,74). Ma poi, al canto del gallo, Gesù si era voltato e i loro sguardi si erano incontrati (cfr. Lu 22:61), e Pietro allora, presa coscienza della sua vigliaccheria, pieno di vergogna se ne era uscito fuori a piangere amaramente.

                E quindi ora, anche se tutti gli altri si dimostrano frustrati e pusillanimi, lui, Pietro, non può certo sentirsi migliore di loro. Perciò alla seconda parte della prima domanda non risponde. E quanto alla prima parte, sente onestamente che non può andare oltre il fileo. Perciò dice: “Tu lo sai”. E come c’erano stati tre rinnegamenti, ora il Maestro gli fa la domanda tre volte, il che spiega perché Pietro alla fine si senta “triste” e risponda “Signore, tu conosci” (17).

 

                Un’altra differenza si trova nella definizione dei componenti del gregge di cui Pietro dovrà prendersi cura: nella prima esortazione sono indicati gli agnelli (gr. arnìa), nella seconda e terza esortazione le pecore (gr. pròbata). I termini usati fanno pensare che un cristiano al quale è affidato un ministero pastorale non si troverà soltanto a dover accudire degli agnelli, ossia dei membri di chiesa semplici e con poca esperienza, ma anche delle pecore, cioè degli elementi maturi e talvolta ribelli e immeritevoli di attenzione. Se dunque davvero Pietro è disposto a diventare un pastore di anime, dovrà sondare il suo amore per Gesù, il vero Pastore che dà la sua vita per le pecore. E soprattutto dovrà pensare che tutti, agnelli e pecore, sono di Gesù: “Pasci i miei agnelli; pastura le mie pecore”.

 

                Pietro riceve da Gesù, col perdono e la riabilitazione, anche l’annuncio del suo futuro martirio.

                L’espressione “ti cingevi da solo” (gr. ezonnues, da zonnuo = cingere, mettere la cintura, vestirsi), sta ad indicare il modo con cui gli antichi si apprestavano al viaggio. (La CEI traduce in modo più esplicito “ti cingevi la veste da solo”). L’espressione “cingersi (i fianchi)” era usata anche in senso estensivo col significato di “apprestarsi a fare qualcosa”. In 1 P 1:13 è usata addirittura in senso metaforico riguardo alla mente: “Cinti i fianchi della mente”, che ora la N.R.  -  ricalcando la CEI  -  rende con “Dopo aver predisposto la vostra mente all’azione”, mettendo in nota la traduzione letterale.

                La predizione di quel che gli succederà da vecchio si riferisce ovviamente al martirio di Pietro. L’accenno alle mani stese secondo alcuni indicherebbe la posizione in croce, in quanto Pietro, secondo la tradizione (come vedremo nella terza parte di questo studio) fu crocifisso a testa in giù (a Roma sotto Nerone, nell’anno 68). Dal v. 19a si deduce che l’autore del cap. 21 era al corrente dell’avvenuta morte di Pietro.

                Poi, dopo avergli predetto il futuro martirio, Gesù ordina a Pietro: “Seguimi” (19b). Pietro aveva già ricevuto in passato da Gesù l’ordine di seguirlo (Mt 4:19). Ora, dopo tre anni, Gesù glielo riconferma. Pietro non ha più dubbi ormai: è stato riabilitato e ha un piano già predisposto fino alla fine dei suoi giorni.

 

                Sola Riabilitazione o anche Investitura? L’interpretazione cattolica. Come è noto, gli interpreti cattolici insistono molto sull’investitura. Ecco il lapidario commento della BJ (Bibbia di Gerusalemme): “Alla triplice professione di attaccamento di Pietro, Gesù risponde con una triplice investitura. Affida cioè a Pietro il compito di reggere in suo nome il gregge (cfr. Mt 16:18; Lu 22:31 ss.)”.

                Il testo classico della dottrina romana si trova nella “Constitutio dogmatica prima de Ecclesia Christi” (Concilio Vaticano del 1870).

                Il testo vaticano afferma di fondarsi sulla testimonianza dell’evangelo e dichiara che l’Investitura a Pietro è una manifesta dottrina delle sacre Scritture. Infatti, secondo le testimonianze dei passi neotestamentari citati  -  tra i quali il famoso “Tu sei Pietro” di Mt 16:16-19 (di cui abbiamo parlato in precedenza) e “Pasci i miei agnelli, pastura le mie pecore” di Gv 21:15-17  -  il testo vaticano dice che “è stato da Cristo Signore promesso e conferito immediatamente e direttamente al beato apostolo Pietro non solo un primato di onore, ma un vero e proprio primato di giurisdizione; egli è stato da Cristo stabilito principe di tutti gli apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante”. E il testo termina con il perentorio avvertimento: “Chi nega questo, sia anatema”.

 

                In effetti, le asserzioni riportate nel testo vaticano ebbero origine nel Medioevo, per giustificare ed assecondare le ambizioni dei vescovi di Roma. E comunque, la lettura dei documenti neotestamentari induce ad escludere con assoluta certezza che l’apostolo Pietro venisse nel secolo apostolico considerato il fondamento ed il capo della Chiesa, con autorità di giurisdizione sugli altri apostoli e su tutta quanta la Chiesa, nel modo in cui l’intende la Chiesa Romana.

 

 

                                                                                        Davide Valente