L’ANTICO E IL NUOVO PATTO

 

L’ANTICO E IL NUOVO PATTO

 

            Dicendo: “Un nuovo patto”, [il Signore] ha

dichiarato antico il primo. Ora,, quel che diventa an-

tico e invecchia è prossimo a scomparire.

                                                                  (Eb 8:13)

 

            Significato della parola “Patto”

 

            Nella Bibbia in generale il rapporto tra Dio e l’umanità è definito come un “patto” o “alleanza” (ebr. berith, gr. diathéke), o anche come un “testamento”. Per questo chiamiamo le due parti della Bibbia Antico e Nuovo Testamento, ma sarebbe meglio definirle come Antico e Nuovo Patto.

 

L’Antico Patto

 

            Il Patto di Dio con Abramo

 

            Dalla storia di Abramo possiamo apprendere come sia stato Dio a prendere l’iniziativa. In Ge 12:1 ss, Dio chiamò Abramo, dicendo: “Va via dal tuo paese, va nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una grande nazione”. (Questa scelta di Dio, in termini teologici, si chiama elezione).

            Giunto Abramo in Canaan, arrivano da Dio altre promesse: “Alza gli occhi e guarda; tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra...” (Ge 13: 14-16).

            Le promesse vengono ancora rinnovate ad Abramo qualche anno dopo: “Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare: tale sarà la tua discendenza”. E Abramo credette al Signore, che gli contò questo come giustizia” (Ge 15: 5,6).

            Finalmente, in Ge cap. 17, troviamo la descrizione del “patto”. Il Signore apparve ad Abramo e gli disse: “Io sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza e sii integro; e io stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò grandemente. Stabilirò il mio patto tra me e te e i tuoi discendenti dopo di te. Sarà un patto eterno per il quale io sarò il Dio tuo e della tua discendenza” (vv. 1,2,7). Questo patto avrà un segno, che sarà la circoncisione dei discendenti maschi (vv. 9-14).

 

            Il Patto del Sinai

 

            Dopo alcuni secoli, servendosi di Mosè come “mediatore” (cfr. De cap. 5), Dio intese rinnovare in modo solenne l’impegno assunto con Abramo, e ripetuto ai suoi discendenti Isacco e Giacobbe (cfr. Le 26:42). E’ sempre Dio che prende l’iniziativa. Il Signore parla al popolo dicendo: “Il Signore, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il Signore si è affezionato a voi e vi ha scelti..., perché vi ama..., perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri” (De 7: 6-8).

            Ma questa volta ci deve essere una contropartita, cioè un impegno altrettanto solenne da parte del popolo: “Il tuo Dio è il Dio fedele, che mantiene il suo patto e la sua bontà fino alla millesima generazione verso quelli che lo amano e osservano i suoi comandamenti, ma a quelli che lo odiano rende immediatamente ciò che si meritano, e li distrugge. Osserva dunque i comandamenti, le leggi e le prescrizioni che oggi ti do, mettendoli in pratica” (De 7: 9-11. Leggere al riguardo anche De cap. 6; Es 34: 10 ss.).

            A questo, punto Mosè scrisse tutte le parole che il Signore aveva dette nel cosiddetto “Libro del Patto” ( Es 24: 4,7). E il patto ricevette ufficiale conferma con sacrifici mediante spargimento di sangue: “Allora Mosè prese il sangue, ne asperse il popolo e disse: “Ecco il sangue del patto che il Signore ha fatto con voi sul fondamento di tutte queste parole” (Es 24: 8).

 

            Dal momento in cui viene descritto il patto con Abramo, che dobbiamo considerare come un’anticipazione del patto del Sinai, nell’Antico Testamento la parola “patto” (ebr. berith) compare più di 200 volte, e pertanto può essere considerata come una delle parole a più alta frequenza.

 

            La Legge, il Tabernacolo e il Tempio

 

            “Tutte queste Parole”: si possono riassumere col termine “Legge”. In Ne 8:1 è detto che Esdra, lo scriba, doveva portare “il libro della Legge di Mosè che il Signore aveva data ad Israele”. Le norme che Mosè trasmise al popolo sono disseminate dall’Esodo al Deuteronomio, a volte ripetute e ampliate, spesso intersecantisi tra loro. Si possono suddividere in tre parti: Codice Morale (di cui fanno parte i Dieci Comandamenti), Codice Cerimoniale (con i riti per il culto nel Tabernacolo e nel Tempio), e Codice Civile-Penale.

            In Eb 9:1 leggiamo: “Il primo patto aveva norme per il culto e un santuario terreno. Infatti fu preparato un primo Tabernacolo...”. Il Tabernacolo, ossia il Santuario mobile, era il luogo dove Dio aveva deciso di “dimorare in mezzo al suo popolo” (cfr. Es 25:8). Infatti la parola tradotta Tabernacolo (ebr. mishkan) significa Dimora o Abitazione.

            In seguito il Tabernacolo fu sostituito dal Tempio di Gerusalemme, costruito da Salomone, intorno al 950 a.C. (definito dagli storici come “Primo Tempio”), e distrutto dal babilonese Nabucodonosor nel 586 a.C. Dopo l’esilio il Tempio venne ricostruito da Zorobabel, nel 515 a.C. (definito “Secondo Tempio”), restaurato nel 20 a.C. da Erode e distrutto poi definitivamente dai Romani nel 70 d.C.

            Il Tempio, dunque, era il luogo della Dimora di Dio in mezzo al suo popolo, simbolo del Patto che Dio aveva stipulato con Israele. Ma ad una condizione. Ecco le parole di Dio a Salomone (è il famoso “passo del fischio”): “Se voi o i vostri figli vi allontanate da me, se non osservate i miei comandamenti e le leggi che vi ho posti davanti e andate invece a servire altri dèi...., io sterminerò Israele dal paese che gli ho dato, rigetterò dalla mia presenza la casa (= il Tempio) che ho consacrata al mio nome... Chiunque le passerà vicino rimarrà stupefatto e si metterà a fischiare; e si dirà: “Perché il Signore ha trattato così questo paese e questa casa?”. Si risponderà: “Perché hanno abbandonato il Signore, loro Dio, il quale fece uscire i loro padri dal paese d’Egitto...” (1 Re 9: 6-9).

 

            Le Allegorie dei Profeti, la Violazione del Patto e la Speranza d’Israele

 

            Nel capitolo 5 di Isaia si parla di Israele come della “Vigna del Signore”. In questa vigna il Signore aveva fatto grandi lavori, in attesa di raccogliere un buon frutto (v. 2-4). Ma la risposta del popolo è stata ingiustizia (7), immoralità (20), disobbedienza e disprezzo (24b). La reazione di Dio sarà perciò terribile: “Ne farò un deserto” (6a); “l’ira del Signore divamperà contro il suo popolo... e i cadaveri saranno come spazzatura in mezzo alle vie” (25).

            Il profeta Osea, vissuto  nell’VIII secolo a. C., all’epoca della caduta di Samaria conquistata dagli Assiri, paragona il rapporto tra Dio e Israele a quello di un “Marito con la sua Sposa”. Questo rapporto si è però inesorabilmente deteriorato, nonostante la lunga pazienza del Signore, e Osea vive e incarna l’esperienza di un uomo costretto a sopportare una donna adultera. Il capitolo 2 di questo profeta, in particolare, contiene espressioni di grande durezza.

            Geremia, parecchio tempo dopo, all’epoca degli attacchi dei Babilonesi a Gerusalemme, riprende l’allegoria del Marito e della Sposa” (Gr 2: 2 ss.). Ora lo sdegno del Signore si rivolge a Giuda, in quanto il Regno del Nord era già scomparso, distrutto nel 721 a.C. dagli Assiri. Così Geremia ci fa sapere che il primiero affetto della sposa è scomparso (2), e anzi questa è caduta così in basso da essere paragonata addirittura ad una prostituta (20b); e come se non bastasse, è diventata più maliziosa delle peggiori donne di strada (33). E non ha neanche coscienza del peccato commesso! (35).

            Un’allegoria analoga è ripresa da Ezechiele, che scrive dopo la caduta di Gerusalemme, avvenuta nel 586 a.C. ad opera dei Babilonesi. Nel capitolo 16 (uno dei capitoli più crudi e violenti di tutto l’Antico Testamento) leggiamo: “Io ti feci un giuramento, entrai in un patto con te, dice Dio, il Signore, e tu fosti mia” (v. 8b). “Ma tu, inebriata della tua bellezza, ti prostituisti...” (v. 15a).

            In parole esplicite, nel 2° Libro dei Re si parla di “trasgressione del patto” da parte degli Israeliti del Regno del Nord, che ebbe come conseguenza la caduta di Samaria: “Dopo tre anni di assedio, Samaria fu presa. Il re d’Assiria trasportò gli Israeliti in Assiria..., e nelle città dei Medi. Infatti non avevano ubbidito alla voce del Signore, loro Dio, e avevano trasgredito il suo patto, cioè tutto quello che Mosè, servo del Signore, aveva comandato; essi non l’avevano ascoltato, né messo in pratica” (2 Re 18: 10-12).

            Fuori dall’allegoria, anche Geremia parla di “patto rotto” (Gr 11: 1-17) e delle conseguenti punizioni riguardo al Regno del Sud con capitale Gerusalemme. Dice il Signore: “Maledetto l’uomo che non ascolta le parole di questo patto, che io comandai ai vostri padri...(3,4). Io ho scongiurato i vostri padri dal giorno che li feci uscire dal paese d’Egitto fino a questo giorno, dicendo: “Ascoltate la mia voce!”. Ma essi non l’hanno ascoltata... (7,8). Essi hanno rotto il patto... (10). Ecco, io faccio venir su di loro una calamità alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò (11)”.

            Ma Dio è fedele, nonostante l’infedeltà di Israele. Così i profeti, anche nei momenti di maggiore calamità, manifestano la “speranza” in un futuro migliore. La speranza è perciò la fiducia verso il Dio che viene per liberare, il “Dio fedele”.

            La coscienza del proprio peccato e la fiducia nella liberazione sono espresse da Geremia in una stupenda invocazione, nella quale Dio è chiamato “Speranza di Israele”:“Signore, se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, opera per amor del tuo nome. Speranza d’Israele, perché saresti come un prode che non può salvare? Signore, non abbandonarci!” (Gr 14: 7-9).

            Vedremo subito che questa “speranza” si presenta con tre prospettive: la restaurazione di Israele, la venuta del Messia e la stipulazione di un Nuovo Patto. Dato l’argomento di questo studio, ci soffermeremo soprattutto su questo terzo punto.

 

            L’annunzio di un Nuovo Patto da parte dei Profeti dell’Antico Testamento

 

            I passi sono assai numerosi: Is 54:10; 61:8; Gr 24: 6,7; 31: 10, 31-34; 32: 37-40; 50: 5; Ez 11: 17-20; 34: 24,25; 36: 26-28; 37: 21-28. (Il brano di Gr 31: 31-34 è quello riportato dall’Autore della Lettera agli Ebrei in Eb 8: 8-12). Possiamo così riassumere gli argomenti trattati:

a) La nazione rinascerà politicamente;

b) I Regni divisi si riuniranno;

c) La casa di Davide regnerà sulla nazione unita per sempre, con l’avvento di un Principe

    (l’Unto, ossia il Messia);

d) Dio sarà sempre col suo popolo;

e) Il popolo osserverà le leggi del Signore non più come costrizione esterna, ma perché le avrà incise

    nel cuore (cioè, per spontanea convinzione);

f) La futura situazione si presenterà come un “Nuovo Patto”, un “Patto di Pace”, un “Patto Eterno”,

    che Dio stipulerà col suo popolo;

g) Dio farà grazia, userà pietà, dimenticherà e perdonerà i peccati.

 

Il Nuovo Patto

 

            Cambio di destinazione

 

            Abbiamo visto dunque che i profeti, parlando di un “Nuovo Patto”, pensavano di riferirsi al ristabilimento del Regno per Israele. Ma il tempo di questo evento tuttora non è noto: basti citare la risposta di Gesù ai discepoli prima dell’Ascensione: “I discepoli gli domandarono: “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno ad Israele?”. Egli rispose loro: “Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità” (At 1: 6,7).

            Perciò gli stessi discepoli si resero conto, al momento dell’Ascensione, che quello che essi avevano pensato si realizzasse subito, si allontanava invece nel tempo. Ma ecco la svolta: il passo di Geremia 31: 31-34 viene citato qualche anno dopo dall’Autore della Lettera agli Ebrei (Eb 8: 8-12), che aveva capito per la prima volta che quella profezia si poteva applicare ai Cristiani (alla Chiesa)! Ora, Geremia aveva detto testualmente: “Ecco, i giorni vengono, dice il Signore, che io concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda un patto nuovo; non come il patto che feci con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto; perché essi non hanno perseverato nel mio patto... Questo è il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo... , e avrò misericordia delle loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati”

            Teniamo presente che il motivo dominante di tutto il ragionamento teologico della Lettera agli Ebrei è la superiorità del Nuovo Patto rispetto all’Antico. E il momento cloudell’esposizione si ha proprio quando l’Autore (8:8-13) prende pari pari il passo di Geremia che abbiamo prima citato e lo applica ai Cristiani.

            Il riferimento fatto dall’Autore della Lettera a questo passo che tutti fino a quel momento avevano attribuito al futuro ristabilimento d’Israele è di un ardire vertiginoso ed entusiasmante. L’economia della Chiesa non è dunque una “parentesi” nel piano di Dio, come alcuni affermano illustrando le profezie dell’Antico Testamento. Ma la cosa più sorprendente è che Geremia in effetti “credeva” di parlare del futuro del suo popolo, mentre in realtà lo Spirito Santo gli consentì di descrivere, col Nuovo Patto, la benedetta situazione della Chiesa Cristiana, senza che lui potesse minimamente immaginare di che cosa si trattasse. Questo è il miracolo dell’ispirazione!

            Comunque, già Gesù aveva cercato di spiegare ai discepoli il “mistero del Regno” (il Regno di cui parla Gesù è uno degli aspetti del “Nuovo Patto”): “In verità io vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete, e non le videro; e udire le cose che voi udite, e non le udirono” (Mt 13: 17).

            Paolo poi aggiunge che la realizzazione dei piani di Dio con la Chiesa era un “mistero che, nelle altre epoche, non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato... Poiché questo mistero era stato fin dalle più remote età nascosto in Dio...” (Ef 3: 5,9).

            E finalmente Pietro, parlando della salvezza che si ottiene per grazia mediante la fede nell’opera di Cristo, scrive: “Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro...” (1 P 1: 10,11).

 

            Le caratteristiche del Nuovo Patto nel Nuovo Testamento

 

            Il Nuovo Patto stipulato con spargimento di sangue. Il primo accenno di “Nuovo Patto” si ha nella dichiarazione di Gesù durante l’Ultima Cena: “Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati” (Mt 26: 27,28). “Dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi” (Lu 22: 20). Lo stesso concetto espresso nel Vangelo di Luca (il Nuovo Patto nel Sangue di Cristo) lo troviamo anche nel discorso di Paolo sulla Cena del Signore, in 1 Co 11: 25. E in 2 Co 3: 6, Paolo afferma che di questo “Nuovo Patto”, Dio lo ha fatto “ministro”, cioè Dio gli ha ordinato di darsi da fare perché il “Nuovo Patto” possa essere conosciuto e utilizzato da tutti gli uomini (“L’amore di Cristo mi costringe”, 2 Co 5: 14).

 

            La legge scritta nei cuori (Gr 31:33b = Eb 8:10b). Anche Paolo in 2 Co 3:2-6, quando parla del “Nuovo Patto” di cui Dio lo ha fatto “ministro” (passo che abbiamo appena ricordato), fa riferimento a qualche cosa che viene scritto su tavole che sono “cuori di carne”, a differenza di ciò che era stato scritto su “tavole di pietra”.

 

            Io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo” (Gr 31: 33c = Eb 8: 10c). Consideriamo l’applicazione alla Chiesa fatta da Paolo in Ro 9: 24,25. Paolo spiega che Dio, volendo far conoscere le ricchezze della sua gloria verso coloro che aveva in anticipo preparati, ha chiamato il suo popolo (“noi cristiani”) non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri (= i Gentili.). E a questo punto cita il passo di Osea 2: 25 che diceva: “Io chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e amata quella che non era amata”. Anche in questo caso dobbiamo pensare che Osea nell’VIII sec. a.C. attribuisse ad Israele ciò che in realtà si riferiva alla Chiesa.

            E’ pure notevole l’applicazione che Paolo fa in 2 Co 6: 16: “Noi siamo il tempio del Dio vivente, come disse Dio: “Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed esse saranno il mio popolo”. Questa volta Paolo cita Es 29: 45 (argomento: “presenza di Dio nel Tabernacolo”) e Ez 37: 26,27 (argomento: “risveglio delle ossa secche, riunione dei due regni, patto perenne di pace con i figli di Giacobbe sotto il regno di Davide”).

 

            Voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato. Così dice Pietro ai Cristiani che vivono come forestieri, dispersi in varie regioni dell’Asia Minore. (1 P 1:1; 2: 9a). Le parole sono quelle che Mosè aveva rivolto ai figli d’Israele da parte di Dio, riportate in Es 19: 5-6. Si tratta evidentemente dell’Antico Patto, quello che Israele non seppe mantenere. Al riguardo Pietro è categorico: “Essi (cioè gli Ebrei), essendo disubbidienti, inciampano nella Parola; e a questo sono stati anche destinati”(1 P 2:8b). Ma voi cristiani, aggiunge Pietro,  siete ora “il popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia” (1 P 2: 9b-10).

 

            L’allegoria delle due donne

 

            La sostanziale differenza fra l’Antico e il Nuovo Patto è che il primo era basato sulla “legge” mentre il secondo è basato sulla “grazia”. Paolo illustra questa differenza nella Lettera ai Galati, richiamandosi a due donne ben note: Agar e Sara.

            Occorre sapere che gran parte dei Galati cristiani erano di tendenza giudaizzante, cioè davano grande importanza agli aspetti più rigidamente ritualistici della legge giudaica. Paolo, per convincerli del loro errore, fa con loro un discorso che troviamo in Ga 4: 21-31; 5: 1. Molte coppie di opposti, secondo lo stile paolino, sono inserite nel brano: carne e promessa, schiava e libera, di sotto e di sopra, naturale e spirituale. Il ragionamento può apparire a noi moderni alquanto capzioso ed eccessivamente involuto, ma faceva parte di un sistema di discussione molto in voga nelle scuole rabbiniche. Ecco dunque il discorso di Paolo, alquanto parafrasato:

 

         “O Cristiani di Galazia, voi che volete essere ancora sotto la legge come sistema, ascoltate ciò che la legge dice. La Scrittura dice che Abramo ebbe due figli, uno dalla moglie schiava e l’altro dalla moglie libera (Genesi cap. 16 e 21). Il figlio della moglie schiava, Ismaele, era nato del tutto naturalmente, ma il figlio della moglie libera, Isacco, era nato in adempimento alla promessa di Dio. Tutto questo può essere visto come una rappresentazione simbolica, perché quelle due donne possono rappresentare i due Patti. Agar, cioè la moglie schiava, rappresenta il patto fatto sul Monte Sinai; tutti i suoi figli (cioè quelli sotto quel patto) sono in schiavitù spirituale. Ma voi, miei cari fratelli cristiani, siete figli nati in adempimento alla promessa di Dio, come lo fu Isacco: noi cristiani non siamo figli della moglie schiava, ma della moglie libera. Cristo ci ha dato la nostra libertà: state saldi, e non permettete che vi fissino di nuovo addosso il giogo che porta il nome di schiavitù!”.

 

            Nella vita di Abramo e di Sara si erano manifestati i due soli modi possibili dell’atteggiamento dell’uomo verso Dio: incredulità e fede. Questo è l’elemento principale dell’allegoria.

            Come abbiamo già osservato in precedenza, per i Giudei il “Nuovo Patto” di cui avevano parlato i profeti era qualcosa di “escatologico”, ancora da venire, che apparteneva all’era del Messia. I Giudei non potevano assolutamente credere che quel giorno fosse venuto senza che loro se ne fossero accorti. E invece era così! Certamente i Giudei erano “figli del patto”, ma di quello fatto sul Sinai, basato sull’osservanza della legge (che per altro hanno trasgredito). Invece il patto con Abramo era stato fatto molti secoli prima, basato sulla promessa di Dio e sulla sua grazia, e sulla fede di Abramo stesso (cfr. Ga cap 3); è quindi un “patto eterno”, che nessuno potrà annullare (Ga 3: 15-17). Nel discorso di Pietro nel Tempio (At 3: 12-26), i Giudei ai quali l’Apostolo si rivolge e che invita a ravvedersi credendo all’Evangelo, sono chiamati “figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri” (v. 25a). Ma di che patto sta parlando Pietro? E’ quello della promessa fatta ad Abramo: “Nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette” (v. 25b = Ge 12: 3).

            E’ paradossale quindi che il “Nuovo Patto”, quello che deve sostituire l’Antico che “invecchia ed è prossimo a scomparire” (Eb 8: 13b), non sia altro che un patto più antico ancora, quello fatto col patriarca Abramo per libera scelta di Dio, con una precisa promessa alla quale Abramo dette fiducia. E Paolo afferma perentorio che “quanti hanno fede sono figli di Abramo” (Ga 3: 7).

 

            Difficoltà e problemi

 

            Ma non tutto è così facile, come sembrerebbe poter dedurre da quanto detto fin qui, e cioè che con Israele il Signore ha chiuso, e che perciò la Chiesa è il nuovo popolo di Dio. Molti studiosi della Bibbia dicono infatti che Israele (l’Israele etnico) sarà il futuro erede delle promesse dell’A.T. interpretate in senso letterale. Essi si appoggiano su decine e decine di profezie dell’A.T., e inoltre citano i capitoli 9-11 dell’Epistola ai Romani e l’Apocalisse. Fanno soprattutto riferimento a Ro 11: 28,29, dove Paolo afferma che: “Per quanto concerne l’elezione, [gli Ebrei] sono amati a causa dei loro padri; perché i carismi e la vocazione di Dio sono irrevocabili”.

            Senza dubbio questa spiegazione ha buone basi bibliche. Essa afferma che Israele dovrà tornare nella Terra Promessa (ed infatti vi è già tornato!), e che la sua resurrezione nazionale è da intendersi come segno precursore del Regno che viene.

 

            Per altro, quelli che ritengono che la Chiesa abbia sostituito Israele nei piani di Dio hanno anch’essi a disposizione moltissimi brani, come abbiamo visto in precedenza. Oltre al più volte citato brano di Geremia ripreso dall’Autore della Lettera agli Ebrei, e al passo di Paolo ai Galati che dice che quelli che hanno fede sono discendenti di Abramo, eccone altri:

 

-   (Dalla spiegazione della parabola dei malvagi vignaioli). Afferma Gesù: “Perciò vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti” (Mt 21:43).

 

-   (Dalla parabola del gran convito). Uno dei commensali dice a Gesù: “Beato chi mangerà pane nel Regno di Dio!”. Gesù allora racconta la parabola e conclude: “Io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena” (Lu 14:15,24).

 

-   Paolo definisce “Israele di Dio” l’insieme dei Cristiani, cioè la Chiesa: “Tanto la circoncisione che l’incirconcisione non sono nulla; quello che importa è l’essere una nuova creatura. Su quanti cammineranno su questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull’Israele di Dio” (Ga 6:15,16).

 

-   Paolo svela il mistero della Chiesa“Gli stranieri (= i Gentili) sono eredi con noi [che siamo Ebrei], membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (Ef 3:6).

 

            Indubbiamente, i brani ora citati hanno una grande validità, e non sarebbe corretto ignorarli. 

Tuttavia succede che il problema del rapporto fra Israele e la Chiesa dia luogo talvolta a discussioni, dove ognuno si mette a citare brani biblici per sostenere il proprio orientamento (cioè che Dio ha chiuso con Israele e perciò la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, o che c’è ancora un futuro per il popolo dell’Antico Patto). Occorre riflettere sul metodo che usiamo per interpretare la Bibbia. Forse, prendendone coscienza, diventeremmo tutti più attenti ed umili, più rispettosi e meno dogmatici.

            Così, alla domanda “chi sarà l’erede del Regno, Israele o la Chiesa” dovremmo rispondere: “tutti e due”. E anche se questa affermazione ci sembrerà paradossale e contraria alla logica, crediamo che sia l’unica possibile.

 

            Conclusione

 

            Vediamo di riassumere i fatti. Senza dubbio dalla Scrittura emerge che Dio si è compiaciuto di scegliersi sulla terra un popolo, che avrebbe chiamato “suo popolo”, ed Egli sarebbe stato il “suo Dio”. Al fine di stabilire e poi di preservare questa speciale relazione tra Sé e il suo popolo, Dio ha dato la sua parola di promessa, impegnandosi in un patto con quel riconosciuto sigillo dei patti che è il sangue sparso.

            Abbiamo anche visto che in realtà di patti ce ne furono due; però abbiamo rilevato che in entrambi era contemplato lo stesso scopo, quello di una speciale relazione tra Dio e il suo popolo. In effetti, il secondo patto è stato introdotto soltanto perché il primo era inefficace. Quindi il secondo sostituisce il primo perché realizza quello che il primo non era riuscito a compiere.

            Il primo patto fallì per due ragioni. Da una parte, il popolo che ad esso fu sottoposto mancò di soddisfarne le condizioni. D’altra parte, quel patto aveva delle istituzioni che non riuscivano a liberare veramente gli uomini dal peccato.

            Il “Nuovo Patto” è un “patto migliore” (Eb 8:6I). E’ più efficace del primo, in quanto offre una soluzione definitiva al problema del peccato. I partecipi del “nuovo patto”, ossia i Cristiani, hanno un Mediatore fra se stessi e Dio, il loro Salvatore Gesù Cristo, che è il Sommo Sacerdote il quale ha preso su di Sé i loro peccati e li ha espiati compiendo il sacrificio di Se stesso “una volta per sempre” (Eb 10: 10-14).

            Dio, nel “nuovo patto”, pone la sua legge nei cuori di coloro che appartengono al suo popolo. Essi sono stati perdonati e fatti oggetto della grazia e misericordia di Dio. Pertanto, dovrebbero essere spinti dalla riconoscenza ad osservare la legge divina. Ma Dio stesso opera per provvederli di ogni cosa buona perché possano compiere la sua volontà (Eb 13: 20,21). Dio dà ai membri del suo popolo lo Spirito Santo, perché li conduca ad osservare i comandamenti e le leggi divine (Ga 5: 16,18).

            Il secondo patto ha abrogato il primo (Eb 7: 18), il quale è scomparso (Eb 8: 13), è abolito (Eb 10: 9). Con queste realizzazioni, il “secondo patto” ha un valore eterno ed è definitivo. Non vi è necessità di qualche ulteriore atto provvidenziale di Dio. Il messaggio del Vangelo non soltanto annulla il giudaismo, ma è l’ultima parola di Dio agli uomini.

 

 

                                                                                           Davide Valente,